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I ciacci

Bruno Ricchi
Savoniero di Palagano


«Noi facciamo la cosa più povera,
come li facevano una volta»



tempo di riposo dell'impasto
30 minuti – 1 ora per un impasto di ½ kg di farina

tempo di cottura
4 minuti

ingredienti per 10 porzioni per l'impasto
500 g di farina ‘0'
15 g di sale
circa 2 l di acqua
olio di semi vari per ungere le cotte (o una cotenna di maiale)
mezza patata per spandere l'olio sulle cotte


per il condimento
200 g di lardo macinato
1 spicchio d'aglio
1 rametto rosmarino


preparazione
Si prepara l'impasto con mezzo chilo di farina di tipo ‘0', 15 grammi di sale e acqua quanto basta. Qualcuno utilizza l'acqua minerale, ma ve benissimo anche l'acqua naturale, specialmente in Appennino dove è di buona qualità. L'impasto va preparato in un contenitore piuttosto capiente. L'acqua va aggiunta con moderazione, altrimenti si rischia poi di dover aggiungere altra farina. Si diluisce pian-piano la farina cercando di mescolare molto perchè non rimangano dei grumi. Quando la ‘colla' è fatta, bisogna lasciarla riposare almeno mezz'ora prima di usarla, cosí le molecole di acqua e di farina si amalgamano bene. Se questa operazione non è fatta alla perfezione, quando si versa la ‘colla' sulla cotta bollente, l'acqua schizza via. Prima di usare l'impasto bisogna mescolarlo ancora un po'.
Quando è il momento di procedere alla cottura bisogna scaldare le cotte, che una volta erano di ferro. I vecchi usavano el sulad, la padella rotonda che si usava sia per cuocere la torta di riso e patate sia per i ciacci. Erano in genere contenitori rotondi, grandi, in rame.
Per ungere le cotte si usa dell'olio di semi vari, e per spanderlo si può usare una mezza patata, oppure mezza mela o mezzo limone. Anzichè l'olio si può usare, come facevano una volta, la cotenna del maiale.
Quindi si versa un mestolo di impasto sulla cotta, e una volta steso ci si appoggia sopra la seconda cotta. Devono rimanere sul fuoco complessivamente 7-8 minuti, quindi sono pronti da condire. Un tempo si mangiavano con il lardo oppure, nei periodi in cui c'erano le vacche in fattura, con qualche pezzettino di formaggio.
La differenza tra i ciacci e i borlenghi è minima. Intanto nell'impasto del vero borlengo ci mettono l'albume d'uovo, ma qualcuno aggiunge mezzo bicchiere d'olio o un po' di latte. Noi facciamo la ricetta più povera, proprio come li facevano una volta.
C'è chi fa i borlenghi nei padelloni enormi: in pratica quella è quasi acqua, diventa come una carta, perchè nell'impasto non mettono dentro sette-otto grammi di lardo, come facciamo noi. In genere sfiorano soltanto il borlengo con la forchetta avvolta nella pancetta o nel lardo, e basta.
Mia nonna prendeva una teglia di terra cotta, ci metteva subito la farina e pian-piano aggiungeva l'acqua, lo preparava lí per lí l'impasto. A casa dei contadini si mangiava sempre a mezzogiorno, per chi doveva tornare al fieno o alle castagne, specialmente nel periodo di raccolta delle castagne.
Le cotte erano sempre di ferro, forse le prime le abbiamo fatte quando abbiamo costituito la Compagnia del Ciaccio e Frittellozzo nel '83-'84. Abbiamo chiesto aiuto al nostro amico e sponsor Marasti, che aveva una ferramenta. Lui le ha prese da un'azienda di Casalecchio di Reno che faceva gli stampi, e cosí abbiamo cominciato a usare queste che sono leggerissime e si scaldano molto meglio. Le altre sono pesanti, addirittura erano battute dai fabbri e non erano perfettamente pari, quindi al sulad di una volta o le crescentine venivano cotte su queste forme che non erano belle lisce. Le nostre sono un po' porose, ma quando hanno assorbito un po' d'olio sono funzionali al massimo, perchè si scaldano in fretta.