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Dolci



Gli zuccheri sono delle riserve di energia prodotte dalla fotosintesi clorofilliana; contengono carbonio, idrogeno ed ossigeno ed hanno le strutture più semplici fra i carboidrati, immediatamente utilizzabili come combustibili dalle cellule, a differenza dell'amido delle piante e del glicogeno dei tessuti animali, che hanno tempi più lenti di rilascio.

Ciò spiega l'importanza evolutiva, fra i cinque gusti, del dolce, in quanto strumento di riconoscimento degli zuccheri.

Gli zuccheri più utilizzati in cucina hanno sei atomi di carbonio. «Lo zucchero comune è costituito quasi esclusivamente di saccarosio, che è un disaccaride (zucchero doppio) composto da una molecola di glucosio e una di fruttosio unite insieme […] estratto in quantità dalla canna e dalla barbabietola da zucchero» (Harold McGee, Il cibo e la cucina, cit. p. 652).

Anche il latte contiene un disaccaride, il lattosio, composto da una molecola di glucosio ed una di galattosio.

I disaccaridi per essere assorbiti devono essere scissi da un enzima nei loro costituenti: proprio l'assenza dell'enzima lattasi negli individui adulti è la ragione dell'intolleranza al latte della gran parte della popolazione mondiale.

Fra i monosaccaridi, il fruttosio è un importante componente del miele e, insieme al glucosio, in quantità variabile, di molti frutti.

L'estrazione dello zucchero dalla canna da zucchero fu sviluppata in India verso il 500 d.c. e successivamente diffusa verso Ovest: in Europa arrivò verso il dodicesimo secolo ma si diffuse soprattutto grazie alla produzione delle colonie delle Indie Occidentali, dove vennero utilizzati come manodopera milioni di schiavi.

Soltanto a metà del '700 venne messa a punto da un chimico prussiano la tecnica per estrarre lo zucchero dalla comune barbabietola, dando luogo allo sviluppo di un'industria europea dello zucchero.

La coltivazione della barbabietola da zucchero si è particolarmente diffusa in provincia di Modena nel dopoguerra, soprattutto nella bassa, verso il Po, alimentando l'attività degli zuccherifici che vennero insediati in quella zona, la cui produzione è cessata soltanto in questi ultimi anni.

L'estrazione dello zucchero sia dalla canna che dalla barbabietola non era un procedimento semplice, che potesse essere svolto nelle aziende contadine: anzi per le rezdore lo zucchero era, con il sale e le spezie, il principale ingrediente da acquistare, ed è per questo che i dolci non erano certo un piatto quotidiano ma, seguendo il calendario religioso, riservato alla domenica ed alle feste. Non solo, per molti dolci venivano utilizzate un tempo sostanze dolcificanti alternative, in particolare il miele d'api, la cui raccolta è ancora oggi piuttosto diffusa soprattutto nell'Appennino, il mosto cotto (la saba), ma anche la frutta.

Dovendo fare una selezione, fra i tanti dolci citati nelle interviste di Storie di terra e di rezdore si è cercato di ordinarli secondo i tipi di seguito analizzati.

In primo luogo i dolci al cucchiaio, di cui, certamente, il più importante è la zuppa inglese che nel filmato è presentata in un'insolita versione in quadricromia, molto ‘maschia', preparata da Sergio Coa.

La zuppa inglese alla modenese, come indicano tutte le ricette di contorno, è basata su pan di spagna o biscotti savoiardi bagnati nell'alchermes (il chermes, come dicono alcuni, scambiando ‘al' per l'articolo determinativo singolare maschile in dialetto), ovvero nel Sassolino, che è un liquore d'anice incolore, accompagnati da crema pasticciera e crema al cioccolato tenute piuttosto dense.

Nella versione di Sergio Coa, al giallo della crema, al marron della cioccolata e al rosso dell'alchermes, si associa il verde dello sciroppo di menta e si aggiunge anche un bel bicchiere di cognac.

Tra gli altri dolci al cucchiaio, viene presentata la crema all'amaretto che, come preparazione, è simile alla zuppa inglese, ma al posto dei savoiardi vengono utilizzati amaretti imbevuti nel liquore di amaretto e la crema è resa più spumosa dall'aggiunta degli albumi battuti a neve; lo stracchino della duchessa, dove nella crema viene aggiunta la panna montata fresca; il crème caramel o il fiordilatte, a seconda di quanto viene concentrato il latte, prima di versarlo nello stampo ove si è aggiunto il caramello, per la cottura finale a bagno maria, in forno o sul fuoco.

Il secondo filone è quello delle marmellate e delle conserve di frutta ed in particolare di quelle basate sul mosto cotto, cioè sull'ingrediente con cui si fa il più importante prodotto della gastronomia modenese, l'aceto balsamico tradizionale, che viene utilizzato anche per fare, con l'aggiunta di farina, i sughi d'uva in periodo di vendemmia, la saba, uno sciroppo da conservare e riutilizzare in altre preparazioni ed in particolare per il savòr ed il pane di natale, ma anche al naturale, per esempio per insaporire un po' di neve, come ricorda Clotilde Vandelli.

La concentrazione del mosto con la cottura a cielo aperto, aumenta il tenore zuccherino fino a rendere non necessario l'utilizzo dello zucchero nelle preparazioni di dolci successive: è probabilmente questa la ragione del tanto successo del mosto cotto cantato da Virgilio nelle Georgiche, che nella cucina modenese ha mantenuto un ruolo decisamente importante fino ai nostri giorni.

Per il savòr, nel filmato è stata scelta una ricetta molto semplice, montanara, basata solo su mosto cotto e pere volpine, ma il savòr è, di solito, come emerge dalle altre ricette presentate, un prodotto molto più ricco, per la cui preparazione vengono utilizzati più tipi di frutta.

Non solo, in assenza del mosto cotto, la base del savòr può essere sostituita, come dimostrano le ricette del savòr d'anguria e del savòr di barbabietola riferite a zone della bassa dove scarseggiava la coltivazione della vite.

Il savòr e le altre marmellate e conserve di frutta venivano poi utilizzati per la farcitura di torte, tortelli e crostate, ed anche per accompagnare piatti salati, come la polenta.

Il terzo filone è quello della ciambella o del panettone, in cui riemerge prepotentemente la centralità della farina di grano tenero, come principale fonte di carboidrati: lo zucchero serve ad orientare marcatamente il sapore verso il gusto dolce, rispetto al salato dei pani.

La ciambella modenese più nota è il bensone (belsone nell'area di Carpi), di cui nel filmato vengono proposte due versioni, quella più canonica di Liliana Magri e quella caratteristica di Marta Panari che non solo spiega la ricetta in dialetto, ma per la cottura si avvale della mitica Petronilla, casseruola elettrica molto diffusa negli anni cinquanta e sessanta.

Il bensone può essere farcito con una marmellata brusca (di amarene, di prugne o col savòr), cosí come i tortelli al forno che utilizzano peraltro lo stesso impasto.

Il quarto tipo è quello dei dolci fritti.

Anche in questo caso ritorna l'alternativa dei due modi di cottura di uno stesso impasto, già incontrata per le crescenti ed i borlenghi: i tortelli si possono fare anche fritti, ripieni di marmellata o di crema.

Ma la tradizione del fritto dolce è molto più ampia e le due ricette delle frittelle di mele e delle frittelle di carnevale non gli rendono piena giustizia: manca per esempio la crema fritta, quasi sempre servita come pezzo dolce del fritto misto salato. Sono invece comprese le ricette delle frittelle di castagne, tipiche dell'appennino: anche in questo caso ritorna il tema della sostituzione della farina di frumento con quella di castagne, già visto a proposito dei ciacci.

Il quinto tipo di dolce è costituito dalle torte e dalle crostate. Ciò che le differenzia è la base che può essere un impasto tipo pan di spagna ovvero la pasta frolla.

La ricetta presentata nel filmato è quella della torta di tagliatelle, di provenienza montanara, una crostata dove, in luogo della marmellata, viene utilizzato un impasto a base di mandorle e tagliatelle secche.

La base di questa torta, secondo un'altra testimonianza, veniva utilizzata per fare la torta dei cinque minuti.

Anche nell'erbazzone dolce, pure tipico dell'Appennino, si ritrova la pasta frolla ed un ripieno a base di ricotta, erbe e mandorle.

Ma non possono non essere citate anche tutte le altre crostate sia a base di frutta fresca (ciliegie, marasche, mirtilli e altri frutti di bosco, albicocche, pesche, mele) che delle relative marmellate e che, per motivi di spazio, non hanno trovato posto nel ricettario.

Altrettanto tipica, in una provincia di mondine ed anche, nel carpigiano, di produzione di riso, è la torta di riso, di cui vengono presentate alcune varianti.

Gli ultimi due tipi di dolci sono quelli a più lunga conservazione nel tempo, storicamente preparati solo per le feste e per le ricorrenze particolari nei territori e nelle famiglie più povere.

Il primo dolce di tipo augurale è il Pane di Natale, la cui preparazione è presentata nel filmato: come racconta Luciana Nora nell'intervista per Storie di terra e di rezdore, «il Pane di Natale ha il significato più alto perchè dentro, avendo il savòr, ha di tutto, l'uva, le pere, le mele, i fichi, le noci, tutto quanto può starci dentro, e lo stesso la saba con cui viene tenuto umido; poi c'è farina e assomiglia al panetto del lievito madre che i contadini preparavano con la croce sopra che doveva essere impressa utilizzando la parte opposta alla lama, perchè il pane non si taglia mai, si spezza».

Simili come struttura e periodo di preparazione ma con l'ingrediente base diverso sono il castagnaccio (che utilizza la farina di castagne) e la spongata (pasta di mandorle).

Ma dentro questo capitolo di torte che durano non può certo essere ignorata, benchè non presente nel nostro ricettario, l'emblematica Torta Barozzi, a base di cioccolato, caffè, mandorle, uova, la cui ricetta originale, oggetto di molte imitazioni, è segreta ed appartiene alla pasticceria Gollini di Vignola.

Infine c'è il capitolo dei dolcetti secchi, dagli amaretti, diffusi un po' in tutta la provincia ma con una punta d'eccellenza a Spilamberto, territorio da cui è tratta l'intervista filmata, agli zuccherini ed al croccante, particolarmente diffusi nell'Appennino.

Quella di suor Margherita Darù del monastero delle suore di Fanano, più che una ricetta (è legata al segreto del convento e non può rivelarla) è una testimonianza: il croccante delle suore di Fanano ha fatto scuola supportando una tradizione che voleva la torta nuziale abbellita da composizioni artistiche a base di croccante.