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31/07/2006

Agricoltura


Documento senza titolo

Nirano, Frazione di Fiorano Modenese
Mirella Fiandri e Mario Bettini  
Stricchetti con i piselli e la pancetta
I prodotti agro-alimentari, usi e ricette di una volta
Progetto di piantagione degli ulivi  

PARTE 3

Mirella, quali erano i prodotti agricoli di questa zona, delle Salse di Nirano?
Mirella: potrei dire che in questi ultimi trent’anni c’è stata un’evoluzione enorme in agricoltura; prima si coltivavano delle estensioni abbastanza grandi di cereali, foraggiere perché c’era tutta una agricoltura basata sul parmigiano reggiano e in molte zone anche si facevano le barbabietole da zucchero. Oggi non è più redditizia. Spesso si lavora in perdita, allora cosa bisogna fare? Bisogna puntare sui prodotti di nicchia così chiamati, qua l’agricoltore bisogna che diventi anche imprenditore, la multifunzionalità che è una parola così bella che si usa tanto consiste anche nell’inventarsi delle cose per sopravvivere.
 Noi, a questo proposito, stiamo facendo degli esperimenti. Ad esempio, reimpiantiamo l’ulivo che da ricerche storiche è dimostrato che esisteva già tanti anni fa, però stiamo coltivando anche alcuni prodotti di orto come il cappero, il carciofo e poi anche i fichi, in questa zona abbiamo 4-5 qualità di fichi.
 Che varietà sono?
Mirella: c’è quello nero che si chiama San Pietro o Borlotto, se non mi sbaglio.È molto bello scuro di fuori e rosso di dentro, adatto molto per gli antipasti e per essere seccato; poi c’è il Verdino che è un fico piccolino ma dolcissimo; poi c’è il fico normale. A Fiorano, c’è sempre stata la tradizione dei fichi, c’è anche un proverbio che diceva “quelli di Fiorano quando vanno in là mangiano i fichi quando vengono in qua mangiano le bucce”, si vede che avevano speso tutto ed erano rimasti in bolletta, non so che signi- ficato avesse questo proverbio. Poi ci sono anche altre cose, essendo Fiorano un paese agricolo, l’agricoltura è un po’ la cenerentola però non dobbiamo sottovalutarla perché questo è l’unico polmone verde che è rimasto in questa zona e noi abitanti siamo consapevoli di doverlo mantenere per noi stessi, per i nostri figli ma anche per tutti e di coltivare delle cose di cui vada conservata l’origine e anche la memoria perché non puoi abbandonare tutto, anche recuperare certi cultivar, bisogno farlo questo.
 Lei ha parlato di carciofi, di capperi: qual è il legame tra questi prodotti e la cucina?
Mirella: c’è, eccome, perché il cappero lo si può usare in tanti modi in cucina, lo puoi usare nelle salse, lo puoi mettere sulla pizza, lo puoi mettere sulla bruschetta, lo puoi aggiungere per insaporire le cose, lo metti in salamoia, lo metti via salato, lo metti sott’olio, è cosa molto importante perché lo puoi avere tutto l’anno. I carciofi non c’è bisogno di parlarne, lo sanno tutti come vanno cucinati, vanno lessati, fatti ripieni, si possono fare impanati.
 Sugli usi culinari legati al passato, alle tradizioni di casa sua, si ricorda qualche ricetta particolare legata a questi prodotti?
Mirella: noi coi carciofi, col cuore di carciofo, si facevano anche le tagliatelle per Pasqua, che era stagione di carciofi. Addirittura si facevano benedire poi si bollivano e li mangiavi con un po’ di prezzemolo ed un filo d’olio, un po’ di pepe, questa era la ricetta originale. Il carciofo benedetto si bolliva addirittura assieme alle uova pasquali, e le uova prendevano il colore del carciofo, se ci fa caso quando si puliscono i carciofi le mani diventano nere, quindi vuol dire che contengono una sostanza ricca di ferro, non so di preciso l’ingrediente chimico, bisogna mettere del limone per non sporcarsi le mani.
 Per le tagliatelle coi carciofi come si preparava questo sugo?
Mirella: si bollivano, poi li mettevi con un pochino di sugo, mettevi aglio, un po’ di prezzemolo e appena un pochino di pomodoro e poi il solito parmigiano reggiano che da noi non manca mai, è un piatto leggero primaverile, è molto buono.
 Avevate anche l’orto?
Mirella: in tutte le famiglie c’era l’orto, erano tempi diversi. Se avevi bisogno di qualcosa non andavi al supermercato, c’era l’orto e di conseguenza usavi le cose di stagione, in primavera avevi le insalate, gli spinaci, i piselli, tutte quelle cose li; poi d’estate i pomodori, i meloni, ogni stagione aveva le proprie verdure.
 Cosa c’era nell’orto?
Mirella: c’era di tutto, tutto quello di cui avevi bisogno lo trovavi nell’orto, c’era l’aglio, le cipolle, i cipollotti, c’era un po’ di tutto perché l’orto si coltivava per il fabbisogno familiare, era un sostentamento e veniva concimato con del materiale organico, la cacca di gallina, la cacca di mucca.
 La frutta c’era? Si consumava?
Mirella: era presente ma non in modo molto elevato in queste zone. Addirittura noi ragazzini in primavera, siccome non c’era quasi niente di frutta, mangiavamo i germogli delle viti e delle vitalbe che erano deliziosi, per noi non c’era altro, hanno il gusto quasi degli asparagi. Poi iniziavi dopo, quando c’era la frutta che non la mangiavamo mai matura, perché l’andavamo a portare via e si mangiava acerba, quando era matura non ce n’era più. Dopo si sono piantate anche delle piante diverse, più produttive ma quando ero ragazza io, di frutta ce n’era poco, era una leccornia, mentre adesso vedi tutta un’abbondanza. Tu sapevi benissimo dove c’era una pianta di duroni, dove c’era una pianta d’amarena, ci muovevamo come storni noi ragazzini perché quand l’éra madùr un duròun a ‘n’amarena c’erano delle migrazioni enormi, le pere, le mele quando erano mature si facevano nuètar él sciapèd con delle griglie di vimini. Tu le tagliavi a fette, le facevi essiccare un giorno al sole sui tetti, poi finito di fare il pane, quando il forno non aveva più quel calore per fare il pane tu le infornavi.
 Che poi è frutta che si trova ancora adesso ed è importata molto dal Marocco, dalla Tunisia.
 Si ricorda che mele c’erano?
Mirella: c’erano le mele renette, le mele campanine, i rusentil, le rosette credo che si chiamassero, poi c’era una mela che noi chiamavamo verdina, aveva una polpa croccante, era sempre verde quella. Poi c’erano delle mele invernali molto dure che si mettevano fuori con sopra della paglia e duravano tutto l’inverno, però i nomi erano nomi dialettali.
 Ce li dica.
Mirella: al pòm rusentil, al campanèin, al pòm russèt, al pir carlèin, al pir spadòun, al pir sgarbèt che andava bollito con le castagne ed era duro come il sasso, al pòm éd San Zvan, le pere di San Giovanni che era una pera enorme grossa così che io non è più viste da allora.
 Cosa si faceva con le pere, come si conservavano?
Mirella: le pere quando c’erano si mangiavano, se ne appro- fittava, perché non è che ce ne fossero sempre, si mettevano via magari sciroppate, mi ricordo che mia mamma le tagliava a fette, le metteva nelle bottiglie col tappo poi si facevano bollire a bagno maria; come si mettevano poi via i piselli, i fagiolini, perché non c’erano i vasetti.
 Aggiungeva lo zucchero per fare la frutta sciroppata?
Mirella: aggiungeva un po’ di zucchero. però la roba durava, si conservava bene.
 Non si metteva alcool?
Mirella: no, ma se uno voleva poteva metterle anche sotto alcool ma non le pere, si mettevano le prugne, le amarene, dell’altra frutta le pere no.
 Le amarene solo sotto alcool?
Mirella: oppure anche al sole, le ho fatte anche quest’anno con un tot di zucchero, lo zucchero sciogliendosi secondo me produce alcool. Col sole si cuocevano perciò erano già cotte e già nell’alcool, io adesso i processi chimici non li so, ma mia nonna ha sempre fatto così, la mia bisnonna ha sempre fatto così e io faccio così e sono buone e si conservano.
 Le marmellate lei le ha sempre fatte?
Mirella: sempre fatte, io quella che preferisco è di amarene, ci vuole molto tempo a snocciolarle ma è anche la più buona, poi si fa anche di albicocche, di prugne. Io non metto molto zucchero però ho capito una cosa: chi mette appena un goccino di Sassolino si mantengono molto bene, non so il perché.
 Si faceva anche una volta così, si aggiungeva il sassolino?
Mirella: si perché noi il Sassolino lo facevamo in casa. Si andavano a comprare gli estratti di Sassolino, li vendeva una vecchia drogheria di Roteglia, qua a Sassuolo, che esiste ancora. Si sentiva un profumo particolare quando uno andava nelle drogherie, perché c’erano tutte le spezie che vendevano sfuse.
 Sentivi l’odore del sapone che allora vendevano sciolto e mi ricordo che si andavano a prendere gli estratti dell’Alkermes, di Sassolino, poi c’erano tanti altri liquori che si facevano in casa. Comperavi l’alcool, facevi bollire dell’acqua, la colavi con un tot di zucchero, la lasciavi un pochino lì. Si faceva anche il rosolio, molti confondono il rosolio con l’alkermes, il rosolio è un infuso che può essere fatto con tante cose, io l’ho fatto con anche le rose, ho una ricetta dove ci vanno 300 grammi di petali di rose, non è facile trovarli di rosa canina, ma ce n’è un’altra che è un pochino più grossa è profumatissima. Bisogna guardare che non ci siano dentro degli insetti, poi la metti in infuso anche quella, si aggiunge una bacca o due di rosa canina, che serve anche per dare il colore e a mantenerle.
 Avevate anche degli animali?
Mirella: i miei nonni hanno avuto le mucche. Tenevano qualche somarino per andare al caseificio, galline, coniglio, tacchini, anatre, oche, gli animali da cortile ci sono sempre stati non perché fossero amanti degli animali, ma perché così c’era la carne. Quando si trebbiava uccidevano il gallo: i gìvan a gh è la màchina da batèr, masèm al gal gròs, ma dopo ragionando c’era un motivo perché uccidevano il gallo, perché aveva già fatto il suo dovere, aveva già fecondato le galline, erano già nati i piccoli, erano già galline da mangiare e non serviva più, e allora dopo si allevava un altro gallo più giovane; tutto aveva un ciclo e tutto era ben studiato perché non andasse sciupato niente e per la riproduzione e la continuità.
 Questo gallo, Mirella, come si preparava?
Mirella: lo potevi fare alla cacciatora, generalmente si faceva così perché era già un po’ vecchietto, aveva fatto il suo dovere, sai non era giovane, lo potevi fare alla cacciatora con tutti gli odori, molte volte gli facevano dare una scottatina dentro il brodo, così il brodo faceva quegli occhi belli, poi ci mettevano un po’ di gallina. Era una festa quando c’era la macchina da trebbiare, noi ragazzini gli andavamo incontro perché era un avvenimento, poi si faceva festa alla sera nell’aia, erano anche incontri amorosi per quelli che erano più grandi.
Che vacche c’erano nella vostra stalla?
Mirella: in quella dei nonni c’erano delle brune alpine. Io mi ricordo che quelle facevano anche del latte, poi c’erano anche delle altre mucche bianche che erano di razza modenese che stanno cercando di reintrodurla, penso si cerchi di fare un recupero, so che facevano molto latte ed erano molto buone.
 Quando si parlava di mucche era come se fossero dei componenti della famiglia, infatti le case erano fatte così: c’era l’abitazione, c’era un portico che separava poi c’era la stalla e quando si era a tavola, per lo meno io questa esperienza ce l’ho perché l’ho fatta dai miei nonni, si parlava del capitale. Il capitale erano le mucche e avevano un loro nome con una targhetta in dla posta, si chiamava posta dove erano loro, e si parlava delle mucche come se fossero componenti delle famiglia: la bianca l’ha fat dal lat dimòndi… ma l’è calèda ad lat quando non stava bene di salute. Anche quella cultura lì si è persa, perché adesso tutti gli animali hanno una matrice qua che delle volte la perdono e non sanno più neanche loro chi sono, c’è una perdita di identità non solo nelle persone ma anche negli animali.
 La bianca modenese serviva per il latte e poi?
Mirella: serviva per il latte, purtroppo allora le mucche servivano anche per lavorare perché non c’erano gli acquedotti per prendere l’acqua da bere, dovevano prendere l’acqua dove c’era, facevano anche un servizio di trasporto, di fatica, servivano per tante cose.
 Ci diceva prima degli animali da cortile, che galline avevate voi?
Mirella: anche lì c’era la gallina modenese, poi c’erano delle altre galline che erano un po’ degli ibridi perché sai, proprio le razze era difficile saperle, c’erano quelle col collo pelato, poi quelle grigie, poi la gallina livornese.
 Com’era questa gallina?
Mirella: era piccola bianca buona da brodo, produttrice di uova: non ne faceva di grandi dimensioni come la modenese però avevano il tuorlo molto giallo ed erano galline che erano soprattutto buone da brodo.
 Quindi le migliori da brodo quali erano?
Mirella: la modenese e la livornese, perché la gallina grossa ha del grasso molto, per fare il brodo ci vuole il grasso, ma ci vuole anche della carne. Poi c’erano i polli, anche quelli si ammazzavano i gìvan èt masà al pulàstar marsulèin, perché poi in marzo erano giovani, quando cantavano facevano quel verso che non erano ancora adulti. Quelli lì erano molto buoni fritti anche perché erano giovani, avevano delle carni buone.
 Fritti come?
Mirella: fritti arrosto, si facevano dei pezzi, poi li friggevi ed erano saporiti, molto buoni.