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08/09/2006

Raccolte e Archivi Storici


Documento senza titolo

Clotilde Vandelli
Museo della Civiltà Contadina
Antiche ricette: frittelle di sangue
Pesche sciroppate  

PARTE 4

Quella pignatta invece era proprio da cucina?
Clotilde: sì, quella era una pignatta sempre piena d’acqua calda tutto il giorno. Quando avevamo bisogno di acqua calda si andava ad attingere da lì. Poi, dopo il mangiare, si faceva su una specie di fornello fatto dal muratore e in questo piano c’erano due o tre buchi e in basso c’era come un tunnel che portava a questo fornello. Allora noi ci mettevamo il carbone, la carbonella, perché noi col caseificio avevamo tanta carbonella. Quando si cuoceva la forma, e doveva essere molto caldo, il casaro metteva dentro delle grandi fascine e queste facevano subito una gran fiamma che portavano il latte subito a gradazione. Poi quando il latte era arrivato a una certa gradazione e la forma era quasi fatta, spegnevano il fuoco. Allora quegli stecchi che venivano spenti, una volta freddi erano carbonella, erano tanti pezzi di ramo cotto. Facevamo da mangiare con questa carbonella. Tornando al maiale mi sono dimenticata di dire che quando si preparava, si mettevano delle spezie nelle coppe, nelle pancette, nei prosciutti ecc; tutte queste carni venivano pulite dalle ossa del maiale, del maiale non si buttava via niente e addirittura con le ossa si faceva il sapone, non ti so dire il bello di questo laboratorio. Andavamo in paese dal droghiere che si chiamava Natalino Pincelli, c’era solo lui che aveva queste cose, tu dicevi: “mi dia la dose perché abbiamo il maiale di 300 kg” e questo signore ci conosceva perché da lui avevamo il libretto dove si segnava tutto. Allora ci dava tutti gli ingredienti, mi ricordo che c’erano degli acidi, della soda caustica, dei profumi anche; erano profumi non so di che genere per dare un po’ di profumo al sapone, poi si metteva dentro tutto in quel pentolone, i denti del maiale, la testa, le zampette, poi con questa soda caustica bollendo si tritava tutto, si amalgamava tutto, poi si metteva il profumo e si profumava tutta la stanza. Una volta cotto diventava un po’ denso, si aspettava che diventasse un po’ freddo, cioè malleabile, poi si stendeva su una lastra di marmo o di sasso e si versava ancora un pochino, tutta su questa lastra, all’altezza voluta, 5-6 cm; ancora più densa si tagliava alla forma desiderata. Prima di usarlo si doveva aspettare del tempo perché si doveva indurire, anche perché così durava di più il sapone.
Vedo che c’è una grattugia molto grande, era per il parmigiano?
Clotilde: non ti so dire, certe grattugie come queste servivano per sgranare il frumentone, le pannocchie.
Quella dietro un po’ nascosta è una cannella?
Clotilde: sì, poi ce n’è un’altra qua. Quella è vecchia?
Clotilde: no, mi sto sbagliando. Questa è una cannella, questa qua invece sai cos’era?
Serviva per sbucciare le castagne?
Clotilde: proprio, si picchiava e venivano fuori le castagne secche, ti leggo come si chiama, “sgraffio”.
Clotilde: sai questo a cosa serviva? Quando cadeva un secchio, per esempio nell’attingere l’acqua dal pozzo, usciva cioè dal moschettone, rimaneva giù nel pozzo e la catena veniva sù da sola, allora alla catena ci si metteva questo, poi dopo si buttava giù, si menava avanti e indietro fino a recuperarlo. Questo qui si chiamava al lov, io ho acquistato un vocabolario dall’italiano al dialetto modenese e questo qui è il lupo, vedi quanti denti ci sono. D’estate, mio padre del ’25 ha preso la patente della macchina e ci portava una volta o due la settimana, invece di fare il bagno in casa ci portava in Secchia. Veniva con noi la figlia del boaro. Lì facevamo il bagno ma pescare non abbiamo mai pescato.
Lì c’è il tosta castagne.
Clotilde: questo qua è il “prete” che mettevano a letto; per esperienza vissuta, quando eravamo piccolini la nonna metteva una pietra così vicino al fuoco, le mettevamo tutte qui d’intorno, poi quando andavamo a letto le pietre erano belle calde, le avvolgevamo in uno straccio e andavamo a letto con la nostra pietra calda. Successivamente è nato il prete, allora io ho chiesto a una signora che mi ha dato due versioni, dalla parola preda in dialetto sia nato prete e poi c’è chi dice quella che versione che sai tu; vuoi sapere la mia? Tu mi dici poi la tua? Allora c’era una vedova che piangeva sempre perché era rimasta senza marito, specialmente la sera quando andava a letto; aveva un freddo terribile, allora siccome si andava a confessare spesso, il prete le diceva: vedrai che col tempo passerà questo freddo, allora cosa faceva il prete, andava a casa sua prima che andasse a letto, le scaldava a letto poi dopo quando veniva a letto lei le lasciava il posto… non è mica sporca questa qua, e la tua com’è?
Uguale!
Clotilde: volevo spiegarti che non avevamo il bagno in casa e questi erano i nostri vasi da notte, nelle comodine avevamo questi vasi da notte perché non ci potevano mandare fuori, specialmente d’inverno. Allora, quando mi sono sposata due miei nipotini mi hanno regalato questi due vasi da notte, quindi fai conto che sono 57 anni che siamo sposati, hanno 57 anni. Questo era un vaso da notte del nonno, perché il nonno che era vecchio e malato aveva una seggetta. La chiamavano così, era un mobile in noce stile impero che si alzava su un coperchio e lui si metteva a sedere, c’era una seggetta, c’era un buco e sotto c’era quel vaso alto lì. Questi due vasi che ci hanno regalato quando ci siamo sposati erano seguiti da questo bigliettino “il nostro piccolo presente non sarà certo splendente ma l’articolo in verità è di primissima necessità”. Questi qua sono i piatti di casa mia.