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11/08/2006

Seghi Rino, Seghi Amedeo


Documento senza titolo

La Sega di Fanano
Rino e Amedeo Seghi
Contadini
Aspetti di vita in un piccolo borgo di montagna  

PARTE 2

Altri piatti che si preparavano con la farina di castagno?
Rino: polenta come la polenta di granoturco che è stata la mia dannazione io non la potevo vedere, o quella o niente.
Rino: la raccolta dei frutti di bosco ci permetteva di guadagnare qualcosa perché c’era l’albergo Roma a Fanano, in particolare le fragole, i lamponi, i mirtilli li cercavano e noi andavamo per i boschi anche lontano, alla Madonna dell’Acero. Per arrivarci presto, la mattina eravamo già su alle ultime case di Ospitale, per poterne raccogliere di più il giorno dopo, poi si veniva giù, c’era un toscano che li comperava, ci dava quei quattro soldi che stabiliva lui.
Amedeo: io sono andato anche alla Madonna dell’Acero, si partiva il lunedì mattina e si tornava giù il sabato, si dormiva là.
Rino: poi naturalmente arrivavano i funghi e più se ne trovava e meglio era, se non si consumavano freschi i funghi si seccavano e si consumavano durante l’anno, si usava a fare qualche ragù.
Oltre ai funghi, anche radici ed erbe, cioè raccoglievate anche qualcosa d’altro?
Rino: noi abbiamo sempre, è un discorso particolare il mio, raccolto sementi di tante specie per l’Ansaloni di Bologna, nocciolo, ciliegio, tutte quelle cose lì. Ansaloni piante e sementi era ed è ancora una delle ditte più grosse di quel ramo, ci dicevano “me ne serve 10 quintali”. Noi si passava parola, la gente li andava a raccogliere, noi facevamo come deposito, li tenevamo qui poi quando era pronto, loro se li venivano a prendere. Questo l’estate, mentre durante l’inverno per procurarci qualcosa e non stare qui a far niente quando c’era un bel metro di neve per terra si usava le scarabattole, le racchette che vanno ai piedi per andare al Lago Pratignano, perché il lago quando faceva 10 sotto zero o anche di più era ghiacciato. Un giorno si arrivava fino a un certo punto, l’altro un po’ di più fin che si arrivava lassù, quando si arrivava là si trovava il ghiaccio alto così, il pesce sa quant’è che era là chiuso dentro il ghiaccio? Allora cominciavano a fare dei fossi ma non rompendo tutto il ghiaccio, il ghiaccio lo andavano a rompere solo alla fine, un bel buco che come aprivano il pesce veniva sù così, andava sotto, lo filavano in quel canale aperto e poi fuori, tanto moriva perché se era gelato così vuol dire che era freddo anche fuori. Ma tanto lo portavo giù, lo buttavano nella padlura, quella che adoperavano per uccidere il maiale per pelarlo, dei contenitori più grossi possibili, glieli buttavano dentro e tanti tornavano a vivere, si riprendevano, se li tenevano e se li portavano fino a primavera avanzata per avere qualcosa da mangiare oltre a quei famosi ciacci che si parlava.
Che pesce si pescava?
Rino: ah c’è solo un tipo di pesce lassù, solo tinca, c’è tanto fango e quella vive nel fango.
Come si cucinava questo pesce?
Rino: ma in tanti modi, solo che sapesse di qualcosa di diverso dalla farina a noi andava bene, eravamo ragazzotti, ci pensavano i genitori.
Quando siete andati lassù quanti anni avevate?
Rino: ah appena eravamo buoni ci prendevano, perché tutto faceva brodo andar su, perché c’era un metro di neve per andarci, bisognava pestarla con le racchette, si faceva 100 metri un giorno, 200, 300 fino ad arrivare.
Poi vi fermavate a dormire là?
Rino: eh no tornavamo indietro, perché dopo venire indietro si andava bene perché era già pestata, ma arrivarci ci voleva un giorno o due, come si arrivava su la prima cosa, perché allora la Pratignana era piena di faggi e grossissimi, quelli che ci sono vicino al lago, il primo lo accendevano e bruciava fino a primavera per scaldarsi.
Lo bruciavate intero?
Rino: sì, non c’era pericolo di incendio con un metro e mezzo di neve intorno.
Come facevate a farlo prendere?
Rino: ma piano piano, con della carta intorno, nello zaino si portava un po’ di stecchini allora piano piano, sono vecchi gli alberi e nell’incavo della pianta c’è sempre una parte adatta.
Prima ci avete parlato di vacche, ogni famiglia ne aveva una, c’erano anche altri animali?
Rino: pecore.
Amedeo: noi avevamo due capre, animali da cortile come galline e conigli ne abbiamo avuti.
Rino: ma non tante, qualcuno si teneva, per avere qualche uova. Con quella farina lì - ritorniamo al castagno - facevano dei mescoloni e poi a quelle galline ce ne davano dei mestoli su delle pietre e poi si arrangiavano anche loro.
Amedeo: anche con della semola e ortiche, si faceva cuocere, si aggiungeva della semola di grano e con quella si dava da mangiare ai polli.
Un po’ di pane si faceva?
Rino: avevamo i forni qui, ogni famiglia ne aveva uno.
Si faceva con la farina di grano o di castagno?
Rino: di grano, di castagno, si usava l’uno e l’altra.
Amedeo: le patolle erano dei panini così di farina di castagno a cui mia madre aggiungeva un poco di farina di grano, poi le cuoceva in forno, ogni settimana faceva una infornata di questo pane e si mangiava tutta la settimana, alla fine era un po’ vecchio ma insomma, si mangiava quello.
Rino: con quella farina diventava una cosa odiosa quel pane, per me aveva un dolce che non mi piaceva.
Qui alla sega nascevano i bambini?
Amedeo: ah sì, io sono nato in quella casa lì.
I dottori c’erano in queste circostanze?
Amedeo: no, c’erano due donne, due levatrici. Ce n’era una che si chiamava Eva, ti dava tre colpi su un ginocchio e aveva il suo detto “fot fot che to purta me vte” diceva, “sono io che ti ho fatto nascere”, è si l’era la Clelia.