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08/09/2006

Vandelli Clotilde


Documento senza titolo

Clotilde Vandelli
Museo della Civiltà Contadina
Antiche ricette: frittelle di sangue
Pesche sciroppate  

PARTE 2

Il nostro vino, poi, era speciale. Mi è venuto in mente un aneddoto: questo fratello di mio padre che è morto in guerra - pensa che mio marito ed io abbiamo avuto due parenti morti per la spagnola in guerra - questo mio zio era un ragazzo molto intelligente, lo zio Venerio.
Aveva una passione per il vino?
Clotilde: l’avevano tutti la passione per il vino, perchè quando veniva la bovara ad apparecchiare tutti i giorni, metteva una bottiglia di vino davanti a tutti i commensali, qualsiasi commensale, e quando mia madre si è sposata hanno messo una bottiglia anche davanti a lei e mia madre ha detto: “no, io la ringrazio”, perché poi mia madre era una cittadina, abitava a Sassuolo, e il vino non l’ha mai bevuto. Ha avuto un bel da dire mio nonno per farle bere del vino, ma non c’è mai riuscito. Tornando a questo zio, faccio un altro passo indietro: mio nonno ha conosciuto la nonna a Castelnuovo ne’ Monti, lei era la maestra del paese. Il nonno era un carabiniere a cavallo, faceva il servizio militare, era un bell’uomo alto, biondo con il pizzo, una testa di capelli ricciuti poi con la divisa da carabiniere… Allora ha conosciuto questa maestrina che tutte le mattine alle 8 e mezza andava a fare scuola. Si sono conosciuti e non so se sia stato un colpo di fulmine, in tutti i modi si sono un po’ frequentati. Lei usciva da scuola e lui sempre in groppa a questo bellissimo cavallo, si vede che è scattata questa simpatia, il nonno le avrà fatto delle avances e la nonna ha voluto sapere ancora dei particolari, che cosa faceva a casa sua; lei aveva un lavoro, e lui? E lui le ha detto che faceva l’agricoltore, aveva a Sassuolo questi appezzamenti di terreno, circa 100 biolche, tre poderi tutti uniti. Solo che la nonna, quando ha sentito dire che faceva il contadino, ha avuto un arresto e ci ha pensato un pochino, poi si vede che l’amore ha avuto il sopravvento e si sono sposati.
Parliamo di che anni?
Clotilde: sarà stato nel 1870-75.
Quindi il pregiudizio dei cittadini verso gli agricoltori è di vecchia data?
Clotilde: devi sapere che questo zio che è morto in guerra la nonna lo aveva fatto studiare, era diventato agronomo; non è che fosse una laurea come c’è adesso, era un diploma. Un giorno questo zio era in casa che studiava, il nonno era sull’aia - un’aia bellissima, grande 70 metri - nell’aia facevamo il vino, veniva la macchina per trebbiare, avevamo tutto lì. Arriva un professore di questo zio Venerio, siccome era molto birichino a scuola, mia madre mi raccontava che questo professore era a scuola con lei. Allora si parlava sempre in dialetto anche in famiglia, è stata con la nostra generazione che abbiamo iniziato a parlare in italiano. Quando lo zio Venerio si è affacciato alla finestra e ha visto questo professore ha detto “o Dio, io sono già spopolato, messo alla berlina” perché questo professore era venuto a lamentarsi di questo ragazzo; lui allora si è alzato alla finestra e avrebbe detto: “papà l’è gnu sol per baver an bicerot”.
Vediamo questo museo fatto degli oggetti della campagna.
Clotilde: siccome avevamo il pollaio, le uova le facevano le galline solo d’estate, d’inverno chiocciavano e si cercava la gallina che fosse adatta per covare le uova. Si metteva in un nido con le uova che dovevano essere fecondate prima, e nel giro di 20 giorni nascevano i pulcini. In inverno con questo lavoro non avevamo le uova, allora si conservavano. Vedi quei trani? noi mettevamo ad agosto le uova fresche dentro, ne venivano riempiti 5 o 6 di questi trani, oppure avevamo anche delle damigiane col collo largo e lì ci poteva entrare anche la mano a raccogliere le uova, poi la mamma faceva un intruglio con acqua e calce (il guscio dell’uovo è fatto di calce) allora vuotando quest’acqua dentro ai trani le uova venivano sommerse da quest’acqua, la calce dell’acqua faceva col guscio dell’uovo una protezione, e per Natale, per Pasqua, fino in aprile le uova si consumavano. Poi dopo si ammazzava il maiale.
Quanti maiali avevate?
Clotilde: delle centinaia, perché avevamo il caseificio.
Li ingrassavate e li vendevate ai commercianti?
Clotilde: no, si ingrassava solo il maiale che doveva essere ucciso da noi.
Con il maiale cosa si faceva?
Clotilde: non andava perso niente del maiale, il fegato, il cuore e tutte quelle cose delicate che non servivano a fare niente. Anche il sangue si mangiava a pranzo, la mamma faceva un impasto con olio, formaggio, sale, come sgozzavano il maiale la mamma era pronta con questa bacinella per raccogliere il sangue appena uscito, poi diventando freddo, si coagulava. Si metteva tanto formaggio - noi avevamo le forme in casa - poi si friggeva, erano delle frittelle buonissime. Si mangiava anche molta polenta.
Perché, avevate il mais?
Clotilde: sì, sì, facevamo molte cose fatte in casa perché usavamo i prodotti della nostra terra.
Le mucche solo da latte o quando morivano mangiavate anche la carne?
Clotilde: solo da latte e da carne, quando si vendeva.
Avete fatto sempre parmigiano reggiano?
Clotilde: sempre, perché era proprio la zona, il nostro terreno era il fiume Secchia che passava vicino al cortile, perché la nostra casa l’hanno fatta proprio sull’argine del fiume Secchia; con l’andar dei secoli si è spostato circa 4 km verso il reggiano, è proprio al confine con Reggio e Modena.
Tra gli insaccati che si facevano col maiale ce n’è uno che chiamano Sassolino, lei se lo ricorda?
Clotilde: noi non lo facevamo ma è una specie di zampone, non è che fosse molto in auge allora, eravamo nel 1930, io i miei primi ricordi li ho avuti a tre anni, nel ’30 avevo già una certa età per potermi ricordare certe cose; facevamo la coppa di testa, i ciccioli, le coppe…
Il lardo…
Clotilde: il lardo lo mettevamo dentro quei recipienti lì e anche lo strutto, mio marito al tempo dei partigiani era a casa sua con degli partigiani che avevano fame e avrebbe detto: “vi faccio il gnocco”. I suoi erano tutti a letto, la farina l’hanno trovata in cantina; allora quando hanno tirato il gnocco che era ora di friggerlo, invece di attingerlo nel tranio dello strutto l’ha attinto nel barattolo del lardo… in tutti i modi era sparito tutto, l’avevano mangiato lo stesso.
Questo corno a cosa serviva ?
Clotilde: quando ammazzavano delle mucche si vede che queste corna le hanno tenute; le usavano come recipienti, dentro ci mettevano una pietra focaia che si chiamava cote, prima di andare a segare l’erba in campagna - perché i contadini dovevano andare a segare l’erba per dare da mangiare alla mucche sia al mattino che alla sera e allora arrotavano gli attrezzi - allora questo qua era pieno d’acqua, la cote ce la mettevano dentro, la bagnavano e poi dopo cominciavano. Questi qua sono tutti campanozzi, siccome noi aveva dei tori che erano immensi…
Si ricorda di che razza erano, di che colore era il mantello ?
Clotilde: il mantello era tutto bianco e poi col tempo è venuta la frisona olandese. Questa invece è la frisona italiana, Umberto ha fatto la tesi sulla frisona. Noi ne abbiamo avute molte bianche.
Quindi erano quelle nostrane?
Clotilde: questo era un carro della famiglia di mio marito, l’ho dovuto smontare per portarlo sù, questo qua è tutto ferro perché il carro più era agghindato, più era lavorato, più il contadino aveva un certo prestigio. Questo carro aveva le ruote, due davanti e due dietro, proprio come il telaio di una macchina. Questo era il frontale e questi erano gli assali, le parti del carro davanti e di dietro, e in questa parte qua c’è scritto Bucciarelli Giuseppe 1849.