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22/08/2006

Sacerdozio


Documento senza titolo

Pievepelago
Don Antonio Galli
Sacerdote  
Il ruolo del sacerdote in montagna  

PARTE 1

Lei ha sempre fatto il parroco a Pievepelago?
Don Antonio:Sant’Andrea e Pievepelago, cinquantotto anni di parrocchiato.
 Quando ha iniziato?
Don Antonio:sono venuto parroco a Sant’Andrea nel 1933, ho la bellezza di 99 anni, sono del 1908, sono entrato nei 99, sono quindi una memoria storica abbastanza longeva.
 Dove ha fatto il seminario?
Don Antonio: sono stato prima a Fiumalbo e poi a Modena. Un anno sono stato nell’istituto sordomuti dell’istituto di Saliceta San Giuliano perché avrei dovuto diventare direttore al posto di Monsignore Gerosa il famoso fondatore della Caritas a Modena. Invece mi ammalai e mi mandarono in montagna; era vacante allora la parrocchia di Sant’Andrea e quindi venni sù nel ’33, la guerra l’ho fatta lassù e ho scritto anche un diario di questa guerra, come l’ho vissuta.
 Lei è nato qua a Pieve?
Don Antonio: sono nato qua a Pieve e poi morto il parroco di Pieve, Don Bernardi, nel ’48 divenni parroco fino al 1991. Dopo sono stato dieci anni a Bologna con una nipote. Morto il marito della nipote sono tornato qui al paese con lei, e così vivo gli ultimi anni nel paese dove sono nato e dove sono stato parroco per tanti nati.
 Quindi una vita dedicata alla parrocchia di Pievepelago?
Don Antonio: sì, sono stato anche insegnante quattordici anni quando c’era il seminario di Fiumalbo qui vicino, ho insegnato lettere nel ginnasio superiore.
 Il sacerdote è sempre stato una figura di riferimento per i contadini?
Don Antonio: il parroco, soprattutto tempo addietro, era il centro del paese, della comunità. Si rivolgevano a lui non solo per motivi pastorali ma anche per motivi economici, per brighe, liti che nascevano per cercare di portare la pace. Insomma poi anche perché aiutasse, come ho fatto io, lo sviluppo del paese dal punto di vista turistico ed economico, come abbiamo fatto durante la guerra un’altra missione terribile per salvare la gente il più possibile, per cercare il modo - soprattutto quando è venuta la pace - che non ci fosse spargimento di sangue dopo tutto quello che c’era stato prima.
 Eravamo un centro, un punto di riferimento per tante cose che riguardavano l’ordine, la pace, lo sviluppo da un punto di vista spirituale ma anche economico, turistico ecc.
 La parrocchia possedeva della terra?
Don Antonio: la parrocchia sì, aveva dei terreni, aveva il contadino, il mezzadro. Io avevo il mezzadro però lasciavo fare molto a lui perché non ero molto dentro le questioni agricole; era un gran galantuomo, per anni e anni ha mandato avanti questo terreno, questa possione come si diceva, e il sostentamento mi derivava dai frutti dell’agricoltura. E poi allora era abbastanza sviluppata l’agricoltura in senso generale; adesso è quasi a zero, non c’è più quasi nulla dal punto di vista agricolo.
 Abbiamo fatto una cooperativa, abbiamo messo sù il caseificio e quello funziona ancora per quelle poche proprietà del bestiame che ancora possono fornire il latte per l’uso civico della popolazione.
 Ci racconta un po’ questa vicenda della cooperativa e del caseificio, come è nata?
Don Antonio: è nata dalla necessità di valorizzare la conduzione agricola dal punto di vista del latte e poi anche da una necessità che c’era qui, veramente, di dare alla popolazione dei cibi genuini che venivano prodotti in loco. Quindi forse anche dal punto di vista economico c’era un risparmio, abbiamo fatto questa cooperativa che poi si è sciolta perché sono venute a mancare le risorse; adesso sono pochissime le proprietà dove c’è il bestiame necessario a produrre quello che opera nel caseificio, adesso c’è ancora ma il lavoro è ridotto.
 In che anni si costituì ?
Don Antonio:noi l’abbiamo fatto negli anni Cinquanta.
 Il latte dove si portava prima?
Don Antonio:il latte prima lo portavano alle case, i contadini avevano i punti di riferimento però c’erano anche un latteria qui a Pievepelago che vendeva il latte, il formaggio, burro ecc. Adesso invece il burro e il formaggio si va a prendere direttamente nella sede dove viene prodotto. Il formaggio lo vendevano anche, la produzione del formaggio andava anche fuori della nostra zona, veniva acquistato il formaggio parmigiano. Quindi l’esigenza fu quella di valorizzare appunto il latte che veniva prodotto e quindi un po’ di arricchimento per chi lo produceva, i contadini, e i padroni, insomma quelli che erano interessati all’agricoltura; poi per fornire la gente con maggiore comodità senza dover importare il parmigiano, il burro, averlo lì comodo e anche a un prezzo più conveniente. Sarà stato negli anni ’55-’56 che si formò la cooperativa e venne fatto il caseificio.
 È quello sulla strada per Sant’Anna?
Don Antonio: sì, è il caseificio sulla via che porta a Sant’Anna, sulla destra.
 Fu una iniziativa portata avanti da lei?
Don Antonio: io sono stato il promotore, poi ho lasciato fare agli altri.
 Lei collaborava con altri sacerdoti della zona?
Don Antonio: prima ogni parrocchia aveva il suo parroco, il vicariato di Pieve comprendeva undici o dodici parrocchie e tutte avevano il loro parroco. Ora i sacerdoti sono ridotti ai minimi termini, io qua sono in pensione ma vado ad aiutare il parroco di Sant’Andrea, altrimenti ci sono i parroci che hanno tre-quattro parrocchie da amministrare e poi fortunatamente vengono sacerdoti dall’estero qui nella nostra zona: a Fiumalbo oltre al parroco c’è un prete polacco, a Pieve c’è un prete della Nigeria oltre il parroco, a Riolunato c’è un prete nero, non so se sia della Nigeria; a Montecreto un altro prete estero, a Sestola ce n’è un altro polacco, mancano le vocazioni…
Si collaborava tra sacerdoti? La cooperativa di cui ci ha parlato l’avete voluta in più sacerdoti o era lei il solo sacerdote?
Don Antonio: non c’entravano i sacerdoti, ero io come parroco, come uno che possedeva della terra, che era interessato anche lui ad avere questa cooperativa; ma io sono entrato e ho cercato di fare tutto quello che era possibile perché le cose andassero il meglio che si poteva, poi ho lasciato fare a loro, ma erano laici, non c’erano sacerdoti.
 Il suo contadino che cosa coltivava?
Don Antonio: coltivava il frumento, l’erba per il bestiame e basta.
 Quindi aveva anche del bestiame lei?
Don Antonio:sì, era una delle possessioni più ampie questa, avevo fino a venti capi di bestiame.
 Di che razza erano?
Don Antonio: li mandavano a prendere più che altro a Sondrio, in quella zona lì: erano brune alpine.
 Qualche maiale ce l’aveva?
Don Antonio: lo teneva il contadino, io no perché non posso mangiare carne di maiale. Ad ogni modo la produzione dei maiali era soprattutto affidata a una cooperativa che aveva una porcilaia, quelli che facevano parte della cooperativa avevano diritto ad avere il maiale ad un prezzo buono quando si trattava di ammazzarli.