03/10/2006
Agricoltura
Carpi
Umberto Neri
Ex mezzadro
Mezzadria: organizzazione e funzionamento.
Grande trasformazione agricola degli anni ‘60
PARTE 1
Umberto, ha una storia di famiglia di mezzadri?
Umberto: noi siamo una famiglia di mezzadri, mio padre e miei due zii avevano
un podere di 25 biolche di terreno da coltivare. Negli anni 29-30 hanno subito
la grande gelata dove si sono gelate tutte le piante, le viti e così via
quindi è stato un anno di molta magra, io sono nato in quegli anni,
poi nel decennio che va fino agli anni Quaranta la famiglia giustamente si è ripresa
e in effetti è riuscita a mettere a coltura anche un pezzo di terreno
che era oltre il canale, lo chiamavamo la Valle di Migliarina, che era lo svuoto
canale, confinava col reggiano: avevamo là 5 biolche di terreno dove
appunto anche lì si è coltivato la vite, il grano...
Come era organizzata l’azienda a mezzadria?
Umberto: il mezzadro parte da un contratto colonico che divide il 50% il prodotto
con la proprietà.
Che cosa si coltivava?
Umberto: nel nostro terreno si coltivava grano, granoturco, erba medica che serviva
per il bestiame, c’era una rotazione poi si mettevano delle colture specializzate
anche allora, si mettevano le bietole e così via, quindi le colture erano
differenziate però prevalentemente la produzione più importante
era l’uva; ricordo che un anno che è stato eccezionale negli anni ‘41-‘42
sul nostro terreno si fecero 500 quintali di uva, eravamo a casa, mio padre,
i miei due zii erano a militare, mio fratello, io e mia madre. Quindi è stato
un periodo importante però gli anni ’30 hanno avuto un grosso sviluppo,
in effetti le colture si sono andate via via specializzando.
Anche la selezione genetica?
Umberto: sì, anche la selezione genetica perché si valutava anno
per anno il tipo di grano da seminare. Il mezzadro nella zona nostra che era
Carpigiana, Migliarina, Budrione, era una delle famiglie che ha dato parecchio,
ha reso molto produttivo il terreno perché allora erano pochi i coltivatori
diretti.
L’uva era in filari?
Umberto: ah si era in filari maritata all’olmo, questa era la logica che
poi negli anni ’60 è saltata tutta e hanno cambiato tutto.
Nel campo quindi c’era l’alternanza di graminacee e leguminose?
Umberto: sì, ogni anno si cambiava la coltura. Poi avevamo una stalla
con una decina di mucche che facevano il latte ovviamente che si portava al caseificio
in bicicletta col cariolino dietro.
Che vacche erano?
Umberto: vacche bianche.
Modenesi?
Umberto: modenesi che erano abbastanza produttive, poi le usavamo per arare il
mattino o per coltivare il terreno perché allora non esistevano trattori
e altri mezzi, noi ci alzavamo alle cinque al mattino, il somaro davanti con
noi, davanti al somaro a guidarlo, due buoi e mio padre con l’erpice o
con l’aratro ad arare o a sistemare il terreno; quando erano le otto e
mezza – nove arrivava la nonna con la zuppa di acqua con burro e formaggio
ed era la nostra colazione.
Il caseificio vi pagava il latte... il caseificio che aveva anche
i maiali?
Umberto: sì, il caseificio era un elemento integrativo di quello che era
il prezzo poi del latte perché il casaro annotava su un libretto il quantitativo
di latte da portare il caseificio poi a fine anno... e qui interveniva il proprietario
che voleva la sua parte.
Il caseificio vi dava anche il maiale?
Umberto: no, se uno lo voleva lo poteva comperare... noi avevamo il maiale nostro.
Noi abitavamo in centro di via Roma, Migliarina, dove tutto intorno c’erano
i braccianti che allora li chiamavamo i cammarant, quella povera gente
che faceva pochissime giornate, avevamo la stalla da novembre fino a marzo, venivano
nella stalla al mattino, pomeriggio, la sera si stava insieme.
Era un modello comunque di azienda agricola che aveva la sua floridezza,
perché alla fine riusciva ad avere sia il prodotto del campo, il latte,
l’uva...
Umberto: debbo dire che nella situazione di allora, di fronte alla miseria che
era intorno a noi il mezzadro tutto sommato stava bene...
Chi decideva la colture?
Umberto: c’erano dei proprietari che a volte volevano decidere sul tipo
di colture in base a un andamento economico, al mercato, però c’erano
anche dei mezzadri che ne sapevano molto di più del proprietario e il
padrone furbo confidava molto sulla capacità del mezzadro nel governare
non solo la stalla ma anche il podere perché era una rendita sicura, se
tu fai fare qualcosa a qualcuno che non è d’accordo è un
po’ più complicato, per questo il proprietario nostro era una persona
molto duttile con cui si ragionava. Mio padre e mio zio discutendo con Tapparelli
che arrivava con la balilla da Carpi, allora decidevano: quest’anno ci
orientiamo qui e quindi facciamo queste colture. Poi tenendo conto della stalla
si doveva produrre erba medica, si faceva la foglia nelle piante nel periodo
estivo quando c’era poca erba, allora mia madre e mio zio andavano sugli
alberi a prendere la foglia, noi andavamo in campagna col somarino e caricavamo
e portavamo a casa.
Al sac e la cavagna...
Umberto: il periodo più critico per noi è stato durante la guerra,
uno va in Africa, uno in Dalmazia in Jugoslavia, eravamo rimasti a casa mio padre,
mia madre, mia nonna, io e mio fratello; noi avevamo 10-11 anni, ricordo che
noi a Migliarina siamo stati i primi ad andare a scuola a Carpi dopo le scuole
elementari però quando tornavamo da Carpi generalmente a piedi, mio padre
aveva già preparato un piccolo ferro per tagliare l’erba e così via
e andavamo in campagna ad aiutarli a tirare avanti il podere, per noi è stata
una grande fatica.
Durante la guerra c’è stata una distribuzione diversa?
Umberto: no, è la distribuzione è sempre stata al 50%, mio padre
poi era molto corretto.
Il bestiame di chi era?
Umberto: il bestiame generalmente era dato dalla proprietà, poi avevamo
gli animali da cortile che servivano da mangiare, conigli, galline... ripeto,
sono uno che dice che la mezzadria è stato già un passo avanti
rispetto alla terziaria, rispetto ad altri patti che esistevano in precedenza,
già il mezzadro contava e poteva dire la sua.
Abbiamo visto che in quel periodo in montagna le proprietà erano
molto più piccole quindi le aziende molto più povere; qui invece
la mezzadria nonostante fosse tutto a metà, e la distribuzione al 50%
era molto più ricca di quanto non fosse l’azienda di proprietà in
montagna...
Umberto: esatto, noi avevamo un terreno molto fertile, lo è ancora.
Che problema c’era allora di mettere in discussione questo
contratto di mezzadria dopo la fine della guerra?
Umberto: non è così perché alla fine non si capiva perché il
proprietario doveva avere il 50% quando alla fine la manodopera, il lavoro tutto
era fatto dai mezzadri, tanto è vero che dopo la guerra subito ci fu un
grosso impegno per ottenere il lodo de Gasperi, cioè i mezzadri avevano
chiesto il 55 e il 60% nella divisione del prodotto, dovette intervenire il Governo
e il Parlamento chiamandolo lodo De Gasperi quel provvedimento che dava il 57%
al mezzadro e il resto alla proprietà, però i proprietari non sono
stati d’accordo tanto è vero che mio padre, quando venivano le macchine
per trebbiare il grano, divideva il 57%. La proprietà ci hanno denunciato
e mio padre è andato in galera e ci è rimasto otto giorni, perché inizialmente
non lo volevano accettare, poi piano piano è andata avanti questa ipotesi.
La mezzadria ha dato un grosso contributo dando lavoro ai braccianti cioè coloro
che dopo la guerra non sapevano cosa fare, veniva della gente a casa nostra a
fare le cosiddette migliorie fondiarie, c’erano le canalette, sistemavano
le carreggiate, vangavano le piantate e così via, è stato anche
lì una grossa solidarietà tra una categoria che erano davvero dei
miserabili nel senso buono della parola perché erano i più emarginati
e dei mezzadri che tutto sommato erano quelli che stavano meglio in quella situazione,
questa solidarietà ha pagato alla fine.
Quando è finita questa esperienza per la sua famiglia?
Umberto: diciamo nel ’49, fino al ’49 siamo rimasti sul terreno,
quando sono tornati i miei zii dalla guerra ognuno si è fatto la sua famiglia,
all’epoca non c’erano più le ragioni per fare i mezzadri,
ognuno delle tre famiglie poteva benissimo imboccare una strada diversa; mio
padre per esempio è andato con la cooperativa muratori braccianti di Carpi,
e abbiamo acquistato una casa a Migliarina dove è nato Ciro Menotti.
Il podere che fine ha fatto?
Umberto: quel podere lì è stato lavorato da un altro, è passato
in economia, il proprietario ha dato in economia a lavorare alla collettiva,
alla cooperativa, o anche a singoli che avevano le attrezzature.
Cosa vuol dire lavorare in economia?
Umberto: vuol dire questo, che sul terreno io proprietario concedo a te di lavorare
la terra perché tu disponi di macchine, di attrezzature; allora si erano
costituite le cooperative.
In affitto?
Umberto: una specie di affitto, con un contratto io ti lavoro la terra e aveva
un reddito sia l’uno che l’altro, allora passava da una gestione
a mezzadria in economia ecco.