HOME PAGE
\ Interviste \ Più viste \ Santi Francesco, Santi Enrico\ Santi Francesco, Santi Enrico \ leggi testo

23/07/2006

Mulino


Documento senza titolo

Trentino, Frazione di Fanano
Enrico e Francesco Santi
Mugnai
Il mulino e le diverse varietà di grano. Il recupero di qualità rare  

PARTE 2

Enrico, quanti anni ha funzionato questo mulino?
Enrico: esattamente non lo sappiamo, sappiamo che è un mulino che è stata costruito almeno 300 anni fa, fu costruito per opera del Comune di Trentino perché in quel tempo Trentino era un Comune. Allora c’era necessità di un mulino oltre a qualcun altro che c’era già, però erano insufficienti.
Voi avete ereditato questo mestiere da vostro padre?
Enrico: sì, mio padre cominciò a fare il garzone mugnaio all’età di 20-21 anni appena tornato dal militare in un mulino detto mulino di Paletta a Rio San Martino di Montese.
Voi avete lavorato sempre in questo molino?
Enrico: mio padre allora prese in affitto il mulino stesso dove aveva fatto il garzone, poi dopo andò in un altro mulino dei Meccagni detto mulino di San Martino di Montese sempre fino al ’57. Dopo di che mia madre e mio padre, poi c’erano già i miei fratelli più grandi, acquistarono questo che era di una sorella dello stesso Meccagni, proprietario di quello dove eravamo.
Fino a quanti anni fa è stato in funzione?
Enrico: diciamo che il mulino non ha mai smesso, non ha mai finito la sua attività da quando è stata costruito, avrà avuto dei periodi di minore intensità però diciamo che totalmente non ha mai smesso.
Cosa macinava questo mulino?
Enrico: in genere in tutti i mulini della montagna principalmente si macinava il grano, il grano per uso famiglia, poi si macinavano i cereali a uso zootecnico: orzo, granoturco, avena, fave, veccia, e poi anche la cicerchia, poi le ghiande seccate che servivano per fare un farinaccio per la alimentazione dei maiali. Il mulino in certi casi si usava ancora per scardare il seme dell’erba medica, quando non c’erano le trebbiatrici per trebbiare l’erba medica, i coltivatori, i contadini, i produttori di erba medica la portavano già ridotta perché la pianta non la portavano. Portavano il cardo secco che veniva fatto passare tra la macina e questo rompeva il cardo e si recuperava il seme. Poi ho trascurata la castagna perché è un altro elemento importante che nel periodo autunnale, a incominciare dalla fine di ottobre- novembre, si protraeva fino quasi a Pasqua. Un tempo, tutti i mulini erano occupati nella macinazione delle castagne in particolare, si continuava anche con gli altri prodotti ma in maggioranza erano le castagne.
Che qualità di grano c’erano?
Enrico: il grano tenero in particolare ma specie come il Novara, il Mentana, il Torrenova, il Virgilio. Poi dopo è venuto il San Marino, il Rosso gentile, poi nei tempi più recenti il Mec, il Panda, il Bolero. Sono rimasti questi ultimi tre e si sono perse le altre specie perché erano qualità che non si adattavano molto alla lavorazione di mietitrebbia moderne. Le mietitrebbia avevano bisogno di grano dalla pianta più corta, i produttori avevano bisogno di razze che producessero di più ma la qualità poi lasciava a desiderare.
Che farine si ottenevano da questi tipi di grano?
Enrico: le farine derivate da questi tipi di grano, le migliori almeno nelle nostre zone, erano le farine di Mentana, di Novara perché era una farina che si prestava molto sia per fare la sfoglia sia per fare il pane o per fare anche le crescenti che voi chiamate le tigelle. Il Torrenova era un grano un po’ più duro che faceva la farina di un colore più scuro ma che conteneva più semola. Sostanza ne aveva forse di più, però era un po’ meno usato appunto per la difficoltà maggiore nella lavorazione, perché la sfoglia si strappava più facilmente mentre con quell’altro grano la sfoglia rimaneva più elastica e compatta. Ogni specie di grano, qualche volta si poteva mescolare, ma in genere ogni tipo di grano si faceva integralmente per conto proprio e qui ogni tipo di grano aveva il suo tipo di farina, tutte adatte alla lavorazione familiare, in famiglia; non come i tempi moderni che passano attraverso lavorazioni super speciali e allora la produzione, il lavoro fatto manualmente richiedeva certi tipi di grano che oggi sono purtroppo spariti.
Parliamo dell’organizzazione del lavoro: una volta il mulino era un centro di vita sociale.
Enrico: sì, al mulino magari si ritrovavano clienti o persone che venivano da diverse frazioni, potevano essere nel caso in cui vivevamo a San Martino, gente che veniva da San Giacomo, da Ranocchio, come potevano venire da Maserno, da Montespecchio o diciamo a distanza tra uno e l’altro di dieci chilometri. Non si erano mai incontrati, al mulino facevano conoscenza poi mentre il mugnaio, mio padre o mia madre, sbrigava il lavoro con le macine, loro si mettevano a fare chiacchiere, a fare una partita. Le donne si portavano dietro il bucato da sciacquare nel torrente come facevano qui chi andava lì nella Gora a sciacquare il bucato. Altre donne, come questi giorni, andavano al fiume a tagliare vimini da pelare e portavano a casa il loro fascio di vimini pelati; altri potevano partire con il cesto e andare a raccogliere le more che nelle siepi, nei rovi in zona si trovavano. Le raccoglievano e le portavano a vendere per pochi spiccioli ma importanti.
Il momento d’oro dei mulini era forse ancora quello quando si andava coi carri trainati dagli animali.
Enrico: quando era il produttore che personalmente portava al mulino il prodotto, aspettava o tornava magari in un’altra occasione a riprendersi la farina. Ma venendo da lontano, i più aspettavano che fosse pronta, allora era questa l’occasione di dialogo, di socializzazione, qualcuno magari andava a trovare qualche amico e si faceva una bevuta e tornava la sera magari barcollando e c’era il buonsenso dei buoi che portavano a casa la farina, il carro e anche il contadino ubriaco.
Organizzavate anche voi la raccolta del grano?
Enrico: sì, c’è stato un periodo in cui tutti non avevano più il mezzo di trasporto e allora mio padre e i miei fratelli maggiori, anch’io per le mie modeste forze, andavamo con le bestie da soma che poteva essere un bue o un asino. Si andava alle case dove ti consegnavano il grano e tu gli riconsegnavi la farina.
Come era il vostro rapporto con i contadini?
Enrico: diciamo che era un rapporto amichevole, magari c’erano le osservazioni da subire delle volte perché non sempre il lavoro era riuscito secondo le pretese della rezdora, però capivano anche loro che una volta poteva essere che la macina era scalpellata di fresco. Poteva essere un’altra volta che si era macinato precedentemente del grano non perfettamente pulito; poteva essere delle volte che a differenza dell’anno precedente, avevano un grano che non era sullo stesso livello, più secco o meno secco, più maturo o meno maturo, o anche poteva essere che non era secco come doveva e magari si era preso una muffa.
Le osservazioni venivano dalla rezdore ?
Enrico: si, perché erano loro che facevano la sfoglia che magari si strappava, erano loro che dicevano: “ma è più scuro”; erano loro che dicevano: “il pane non lievita bene come l’altra volta”. Allora c’era da parare anche tutti questi contrasti.
Qual era, secondo lei, il ruolo sociale che aveva il mugnaio? Come veniva visto il mugnaio nella vostra comunità?
Enrico: il mugnaio aveva anche un ruolo organizzatore perché il mugnaio essendo appunto al centro, essendo in un luogo d’aggregazione, spesso era anche il sindacalista di questa gente che vedeva in lui un riferimento. Anche nella storia, se vedete, i mugnai erano sempre un po’ intrallazzati con i movimenti e le proteste, tutte queste novità che venivano avanti allora.
Voi vi facevate pagare con la farina o con i soldi?
Enrico: questo era a discrezione del cliente. Un cliente che aveva poca produzione se poteva pagava, se non poteva magari veniva a prestare qualche opera quando c’era da fare i lavori di ripristino nel canale, nel fiume, le prese d’acqua, la pulitura del canale o altri lavori che era in grado di fare. Invece chi aveva sufficiente produzione magari ti lasciava il grano, ne aveva anche magari da vendere e delle volte ti dava l’incombenza di venderne ad altre persone e tu dovevi incassare anche per lui. Questo era il modo di pagare.