HOME PAGE
\ Interviste \ Più viste \ Rinaldi Remo\ Rinaldi Remo \ leggi testo

31/07/2006

Cucina


Documento senza titolo

Nirano, Frazione di Fiorano Modenese
Mirella Fiandri e Mario Bettini  
Stricchetti con i piselli e la pancetta
I prodotti agro-alimentari, usi e ricette di una volta
Progetto di piantagione degli ulivi  

PARTE 1

Mirella: vorrei che vi soffermaste su questa pancetta perché questa ha delle peculiarità, guardi la stagionatura, l’umidità giusta. Una pancetta che è come una miss Italia: “l’è 90 per 90 come misuri”.
 Mirella, cosa ci prepara?
Mirella: io direi di fare due stricchetti con i piselli e la pancetta.
 Ha un nome questa ricetta?
Mirella: un nome particolare direi di no, ma è una ricetta tipica modenese e anche le nostre nonne e le nostre mamme la facevano dalle nostre parti, perché erano ingredienti che si trovavano nelle nostre case. Innanzitutto la farina che non mancava mai, i piselli che si raccoglievano nell’orto e soprattutto questa pancetta, che direi merita di spendere due parole perché è veramente un capolavoro di stagionatura. Questa qua si scioglie in bocca, poi osservate la stagionatura perfetta. In più io mi sono permessa di usare queste uova.
 Che uova sono?
Mirella: queste sono uova, noi li chiamiamo francesine. Sono galline piccoline, non è che siano francesi di nazionalità, però hanno la peculiarità di avere un tuorlo molto molto giallo, tipo la gallina modenese, che noi vogliamo tornare ad introdurre perché dà dei risultati ottimi per la pasta. Questi sono gli ingredienti base, ma poi ci vanno delle erbe dentro: cipolla, un po’ di sedano e pomodoro.
 Partiamo dalla sfoglia: nella sfoglia ci vanno farina e uova.
 La sfoglia come deve essere?
Mirella: la sfoglia deve essere morbida per poterla tirare, adesso vi faccio un esempio.
 Deve essere sottile?
Mirella: sottile ma non esagerata, devono avere una consistenza, perché è roba che si fa asciutta.
 Quando si usava mangiare questo piatto?
Mirella: questi piatti si usava mangiarli quando c’erano i piselli, io ne ho ancora alcuni, però la stagione dei piselli è ormai andata, adesso abbiamo la fortuna di avere anche il modo di poterli conservare. È un piatto veramente squisito, perché secondo me il dolce dei piselli con il gusto saporito della pancetta è una cosa veramente squisita.
 Una volta i piselli si potevano conservare in qualche modo?
Mirella: sì, li bollivano e li mettevano via, come si mette via la frutta. Mi ricordo mia nonna che li metteva via nelle bottiglie, poi si usavano d’inverno, perché non si trovavano tutte le robe confezionate ai supermercati come adesso. In questa stagione, in tutte le aie, si vedeva al fugòun, dove si faceva il pomodoro, le marmellate. Diciamo che si facevano le scorte per l’inverno sia di frutta che di verdura, un po’ di tutto.
 Ricorda altre verdure che si mettevano via per l’inverno?
Mirella: dunque, mettevamo via i fagiolini, mettevamo via le cipolle, i cetrioli sotto aceto, i peperoni, i capperi che qua dalle nostre parti è un prodotto particolare, sono molto molto buoni.
 Che tipo di capperi sono questi della vostra zona?
Mirella: un cappero a cuore veramente molto particolare.
 Come si usavano e come si usano tuttora in cucina questi capperi?
Mirella: questi capperi si possono mettere un po’ dappertutto negli spaghetti, nella pizza, nelle insalate, si potevano mettere via sia in salamoia, salati e anche sottolio. Non c’erano problemi.
 C’è qualche ricetta tradizionale dove si mettevano questi capperi?
Mirella: noi facevamo coi capperi le bruschette anche quando non si chiamavano bruschette, a gh gìvan pan sbrustlî. Si abbrustoiva il pane con un po’ di sale, un pochino d’olio, due tre capperi, un po’ di pomodoro, si metteva un po’ quello che c’era. Era come una pizza improvvisata, con del pane che era cotto nel forno.
 Questa era una merenda o era proprio un pasto?
Mirella: era fame, si mangiava quando c’era, in qualsiasi orario. Non c’era l’aperitivo, il cocktail e quella roba lì, quando c’era la roba a-s magnèva. Non c’erano gli orari predeterminati dell’aperitivo o della merenda, quando c’era la roba si mangiava; anzi mi ricordo che c’erano le dispense chiuse a chiave.
 Chi aveva la chiave?
Mirella: la razdóra, la reggitrice, la donna, perché le donne, quelle furbe, hanno sempre comandato.
 Erano loro che avevano le chiavi della dispensa, le avevano attaccate alla cintura, portavano il foulard così, il grembiule e attaccato alla cintura c’era la chiave. Quella della cantina sfuggiva, perché gli uomini bevevano, ma quella della dispensa ce l’aveva la razdóra e allora si andava lì e si chiedeva, poi si mangiava il pane col burro e lo zucchero, altro che merendine!
In questa dispensa si ricorda cosa c’era?
Mirella: ah mi ricordo sì, perché delle volte mi hanno sorpre- sa in questa dispensa non a rubare la marmellata, perché io sono sempre stata poco golosa. Prendevo quello che c’era a disposizione: qualche salamino, qualche salsiccia. Mi ricordo che il burro si teneva a bagno nell’acqua, c’era un perché: l’acqua faceva da sottovuoto e non si deteriorava il prodotto. Poi si metteva dentro alla muscaróla per ripararlo dalle mosche, poi si metteva anche nel pozzo quando era proprio caldo caldo.
 Mi ricordo sì, cosa c’era nella dispensa, c’era di tutto.
 La spesa quante volte si faceva?
Mirella: quand a gh éra i sòld , non c’erano dei giorni comandati, io mi ricordo che si prendeva un litro d’olio, dipende anche dalla consistenze delle famiglie, un litro di olio alla settimana, un chilo di lardo, due etti di salsiccia. Adesso, dicono che la roba di maiale fa male, allora non faceva mica male, perché un chilo di maccheroni si condiva con un pezzettino di salsiccia così. Adesso per forza fa male se ne mangia troppa. Allora, non faceva male niente, l’aerobica si faceva quando si andava a lavorare nei campi.
 E le salsicce come si conservavano?
Mirella: c’era chi le metteva sotto strutto, sotto la cenere con tanti mezzi, anche lì si creava una specie di sottovuoto.
 Che salsicce erano?
Mirella: in questa zona, di suino.
 Ma si facevano tipi diversi di salsicce?
Mirella: in questa zona, che mi ricordi io, erano con il pepe, ma c’era chi metteva un po’ d’aglio.
 Si andava dal droghiere e si diceva “a mî da dèr la cunsa per un porch da d´ì quintèl”. Allora loro ti davano il pepe, i garofanini, la cannella, il macis, che non se ne sente più parlare, ma aveva un profumo buonissimo.
 Che cos’è?
Mirella: il macis è l’involucro della noce moscata. Io ho la fortuna di averne e ne metto un po’ anche nel nocino: è un mio segreto, sono una appassionata di spezie.
 Quelle salsicce erano fatte sempre con la stessa carne di maiale?
Mirella: nelle salsicce si mettevano tante cose, per i prosciutti c’era una carne particolare, cioè le cosce e pò a gh èra i spalòt, che erano le spalle davanti, poi si tenevano le carni un po’ più pregiate per i salami. Con le cotenne si facevano cotechini, nelle salsicce ci andava un po’ di tutto.
 C’erano quelle più pregiate e quelle meno pregiate?
Mirella: no, la salsiccia era salsiccia. Ecco è un pochino grossa, adèsa a la taièm. Mia nonna mi diceva sempre “tirla in i àngul, che in dal mez la vin sèimper sutìla” . Allora si faceva così, ma adesso ci sono le macchine.
 Allora è stata sua nonna a insegnarle a fare la sfoglia?
Mirella: sì, poi dopo mia mamma.
 Quanti anni aveva?
Mirella: avevo neanche 10 anni, cioè quando arrivavo al tavolo. Era la prova del fuoco, era l’iniziazione.
 Ma non sempre veniva bene la sfoglia?
Mirella: le prime volte ci venivano dei buchi.
 Allora cosa succedeva?
Mirella: succedeva che visto che i buchi non si mangiano si aggiustava… si facevano i maltagliati.
 Invece quella per i tortellini la tiravano proprio quelle brave, quando arrivavi a tirare la sfoglia per i tortellini eri già in prima classe, eri al top.
 E solitamente quando si arrivava a questo traguardo?
Mirella: dipendeva anche dalla disposizione delle persone, dalla capacità, perché c’è della gente che rimane indietro tutta la vita. Bisogna che le cose piacciano e aver della passione.
 A casa sua, la sfoglia quante volte si faceva?
Mirella: noi la facevamo tre volte la settimana, ma tenga presente che non si faceva come ho fatto io oggi tutta stemprèda d’óv, a-s gh mitìva anca d’l’aqua, perché le uova erano abbastanza pregiate.
 Quindi si aggiungeva un po’ d’acqua?
Mirella: perbacco, ecco vi faccio vedere come si fanno i strichèt.
 Il sugo si faceva sempre in questo modo?
Mirella: ma si poteva anche variare, si faceva con quello che si aveva.
 Per esempio, quando c’erano i piselli con cosa si faceva?
Mirella: si faceva anche con solo un po’ di pancetta, di lardo… ecco poi si faceva così… ecco questi un po’ più raffinati c’era una mia zia che li faceva così, tipo cestino: veniva da Bologna lei, ma nutèr a-i-èm sèmpar fat acsè… che son poi le farfalline della Barilla che lè i-n han inventê gnint, a vòi dir che i fèvan anca nuèter, guardi come sono belline, sembrano uccellini che prendono il volo, questa sembra una rondine, quast che pò i andèvan cotti lo stesso.
 Cosa si faceva con questi scarti?
Mirella: questi scarti se ce n’erano molti li tenevano per fare la minestra coi fagioli, altrimenti si mettevano in mezzo alla pasta e via, si cocevano. Contava molto il clima, la temperatura.
 Per la sfoglia dice?
Mirella: perché quando è troppo caldo si inasprisce, quando è troppo freddo anche allora si impastava poi si teneva lì un pochino in mezzo a due piatti.
 Quindi si lasciava riposare un po’.
Mirella: sì un pochino, poi ci si metteva all’opera.
 I tortellini quando si facevano?
Mirella: noi li facevamo abbastanza spesso per i compleanni, si facevano per Natale, per Pasqua, per Natale. C’era il cappone, i tortellini, il manzo. Al mattino si andava a messa presto, quelli che non erano stati a quella della mezzanotte si metteva a bollire il manzo, un bel pezzo di girello con un bel pezzo di cappone. Il brodo: prima doveva essere alto il bollore, poi si schiumava, poi doveva bollire pianino pianino. In dialetto dicevano bisogna c’al grélla.
 Quante ore?
Mirella: anche cinque ore, quando si veniva a casa da messa si sentiva un profumo… io mi ricordo, e poi si faceva la salsa verde con il lesso, poi c’era l’arrosto, tante cose, quelli che potevano.
 Il ripieno dei tortellini lei come lo prepara?
Mirella: allora per il pesto dei tortellini ognuno ha la propria ricetta e crede di essere nel giusto, verso il bolognese li fanno un pochino diversi. Io metto: lonza di maiale, un po’ di mortadella, metto anche un po’ di prosciutto però il prosciutto non mi piace magro magro perché tutti hanno la mania di prendere della roba magra ma la roba magra è salata, ci vuole la roba con tutto il suo bel grasso attorno che vuol dire che l’animale era adulto e poi matura bene. È come una donna quando è troppo magra, a-n va brisa bèin; poi metto un petto di pollo se c’è in giro, perché quando si ammazzava il cappone o la gallina si teneva indietro il pezzettino più pregiato per fare i tortellini. Formaggio: l’importante è il parmigiano reggiano, quello che stabilisce la bontà del tortellino è il parmigiano reggiano, e poi c’è chi ci mette un po’ di salsiccia, chi vuole fare molto sul delicato e ci mette del vitello giovane. Io sono contraria al vitello giovane, perché tu paghi dell’acqua, cioè le carni molto giovani si ritirano molto e hanno poco consistenza.
 Parliamo di pesto crudo o cotto?
Mirella: il pesto io lo facevo cuocere appena appena un pochino, non troppo perché perde molto di sapore a cuocerlo troppo, questa era la ricetta di casa mia, però le dico da pianerottolo a pianerottolo variano le ricette. Ad ogni modo, in questa zona si mangiano molto bene, i tortellini sono buoni poi sa che c’è tutta la tradizione l’ombelico di Venere, tutte quelle cose lì ma non ci si pensava mica all’ombelico di Venere, si pensava a mangiar bene e a gustare un bel piatto di tortellini con sopra quel bel brodo nuètar al ciamèvan con i och, cioè c’era sopra dell’unto che adesso guai bisogna tirare via tutto, bisogna mangiare male, c’è anche da dire che mangiamo un pochino troppo.