06/09/2006
Allevamento
Pompeano, Frazione di Serramazzoni
Claudio e Valerio Poggioli
Allevatori
Bianca modenese al pascolo
Bianca modenese e Parmigiano Reggiano
Cura Omeopatica e auto-medicazione
PARTE 2
Ursus, visto l’imponenza che ha, se vai dentro a toccare i vitellini,
queste cominciano a correrti dietro. L’idea sarebbe avere quel bosco,
quella macchia là, così si riuscirebbe a tenerle fuori 365 giorni
all’anno, costruire una struttura là dentro che vengano a farsi
mungere, poi appena le hai munte le lasci libere, però ci vuole un territorio
come quelle, perché i nostri terreni d’inverno col fango soffrono
gli animali. Il bosco invece permette agli animali di stare riparati, quindi
stanno bene, sarebbe la loro casa quella con la struttura e il pavimento giusto,
sarebbe un sogno avere una stalla e un bosco come quello, che sarà 50
ettari.
Le curate tutte con l’omeopatia le bestie?
Claudio: sì, solo in casi estremi di vita o di morte per salvare l’animale
si usa l’antibiotico, spesso e volentieri se non riusciamo con l’omeopatia
abbiamo sperimentato che non c’è niente da fare, i miracoli non
li fa né l’omeopatia né la tradizionale. In casi estremi
si interviene con la medicina tradizionale poi l’animale viene isolato
e tenuto per 3-4 mesi separato per poi rimetterlo nella mandria quando è passato
il periodo di riconversione. Anche noi ci curiamo con l’omeopatia. Qui
stiamo arando con uno di quei letami che parlavamo: quel letame ha 3-4 anni e
quando lo dai via non puzza, profuma; una parte è secca però dentro
sembra burro. Vedi la conformazione della chianina è diversa come conformazione
sia dalla bianca che dalla frisona, è un animale molto alto. Loro si vanno
a curare da sole vanno nei prugnoli selvatici, nella bella donna... tutte quelle
erbe le vanno a raccogliere.
Mangiano quello che gli fa meglio in quel momento?
Claudio: esatto, se tu glielo porti in stalla non lo mangiano... in certi momenti
tu vedi che vanno proprio a cibarsi di queste cose, il che vuol dire che si vanno
ad auto-medicare. Poi abbiamo notato che quando c’è bagnato, quando
ha piovuto, loro vanno nel bosco, nelle radure più secche perché l’erba
essendo troppo ricca di acqua gli farebbe male; loro cambiano e si spostano da
sole.
Valerio: abbiamo problemi con i vitellini, nascono già malati, forse per
colpa dello stesso fieno che gli si dà, la vita sedentaria dell’animale,
il non movimento, invece creando questi spazi in cui loro possono stare liberi
per il 60% della loro vita e fare ginnastica dovrebbe fargli bene.
Siamo a Pompeano dalla famiglia Poggioli in compagnia di Claudio
e di Valerio, nell’azienda agricola di famiglia, voi conducete questa azienda
assieme ai vostri fratelli Sauro e Fausto. Voi qui allevate la bianca modenese?
Claudio: sì, alleviamo la bianca modenese anche.
Quanti capi avete?
Claudio: abbiamo una ventina di capi adulti, totale una trentina tra vitelle
e manze.
Sono allevate tutte al pascolo queste vacche?
Claudio: noi riusciamo a far pascolare tutti i nostri capi per 6-7 mesi all’anno,
poi la mandria che mungiamo per forza di cose adesso dobbiamo averla in stalla.
Quali altre razze avete oltre alla bianca modenese?
Claudio: in questo momento stiamo puntando molto, tutto, sulla bianca modenese
però abbiamo delle frisone e delle chianine, le chianine sono solo da
carne, le frisone solo da latte, con la bianca modenese vorremmo puntare a fare
il parmigiano reggiano di altissima qualità di bianca modenese che era
una nostra razza antica, vecchia, che abbiamo sempre avuto quando c’era
anche il nostro papà, poi per i tempi che correvano abbiamo smesso e adesso
la stiamo riprendendo.
Claudio sta dicendo che volete arrivare a produrre parmigiano di
sola bianca, vi servono quindi più capi di quelli che avete già?
Claudio: ci servono 30 capi almeno in mungitura perché la media di questi
animali è di 15-20 kg a capo, perciò facendo un calcolo veloce
15 kg per 30 animali fa 4 e mezzo quintali di latte, è il minimo per poter
fare una forma di parmigiano reggiano. Stiamo cercando di coinvolgere anche gli
altri soci della nostra cooperativa Santa Rita, dove stiamo già producendo
parmigiano reggiano da agricoltura biologica, a prendere tutti in un po’ di
animali per mettere in moto questo progetto al più presto.
Lei ricorda ancora questa forma di parmigiano reggiano di sola bianca
che si faceva?
Claudio: io ho dei ricordi da piccolo: era bianca modenese ma più che
il latte di bianca, qua erano tutte così, era la forma nera che ricordo,
perché allora si faceva così. Di conseguenza parlo dei primi anni ’60,
io ero proprio un bambino e andavo al caseificio con mio padre e vedevo queste
forme grossissime tutte tinte di nero; oggi come oggi viene chiamata la nera
che presto vorremmo riproporre.
Perché tinte di nero?
Claudio: è un metodo vecchio messo in disuso per la meccanizzazione del
taglio del formaggio, dopo i 12 mesi questo formaggio veniva tinto di questo
impasto fatto di terra e di cenere, era un modo per conservarlo, per non continuare
a pulirlo, a rivoltarlo; bloccava, rallentava un po’ la stagionatura, questo
nero impediva alla muffe di aggredire la crosta del formaggio.