09/08/2006
Caseificio
Montecenere, Frazione di Lama Mocogno
Raffaella Baldoni
Imprenditrice
Salumificio Baldoni: salumi, prosciutto, razze suine
La vostra famiglia come si è organizzata visto che avevate più di
una attività in un tempo?
Raffaella: tutto parte dalla prima guerra mondiale. Mia nonna Maria Bortolani
veniva da Coscogno, aveva sposato Giuseppe Baldoni che aveva una posta dove
ci sono i portici. Allora passavano coi cavalli e lui faceva le carrozzine
e metteva i ferri ai cavalli. Lei aveva sempre fatto solo la moglie sposando
quest’uomo, ma lei veniva da una famiglia che aveva un negozio di generi
alimentari a Coscogno; allora durante la prima guerra mondiale due figli più vecchi
che erano mio padre e mio zio sono stati chiamati in guerra e lei è rimasta
con altri tre figli piccoli. Lei non sapeva fare questo lavoro perché nel
frattempo suo marito si era malato e mentre i figli erano in guerra è poi
morto. Lei sapeva fare il mestiere che faceva a casa sua a Coscogno, allora
ha cominciato a mettere sù una piccola attività di generi alimentari
per lo zucchero e per il sale, allora poi erano poche le cose che compravano
i contadini. Poi durante gli anni lei prendeva dai contadini: siccome i contadini
allevavano il maiale e durante l’inverno lo macellavano per farsi i salumi
da mangiare loro, lei prendeva i prosciutti e dava per l’importo del
prosciutto lo zucchero e il sale durante l’anno, la pasta, insomma quello
di cui avevano bisogno. Ha cominciato così a fare stagionare questi
prosciutti e li vendeva l’anno dopo d’estate perché passavano
di qua i signori di Modena, andavano alla Santona, a Barigazzo dove c’erano
le ville. Ha cominciato così praticamente. Nel frattempo è finita
la guerra e sono tornati a casa i figli, lei ha tenuto questo negozio di generi
alimentari, durante la guerra erano disastrati tutti, durante la prima guerra
mio padre ha avuto l’ammasso del grano, i contadini portavano il grano
all’ammasso.
Gestiva lui questo ammasso?
Raffaella: sì, lo gestiva lui, lo faceva per conto del consorzio agrario.
L’attività di salumificio è incominciata negli anni ’50,
perché poi nella seconda guerra mondiale il fabbricato fu preso dai
tedeschi e ci fecero una cucina. Era già adibito alla lavorazione di
salumi ma roba da poco perché anche i figli avevano continuato a fare
questo scambio dei prosciutti dei contadini con altri generi alimentari. Negli
anni ’50 i figli iniziarono a dedicarsi a questa attività, incominciarono
a macellare loro dei maiali, a fare dei salumi, a fare dei prosciutti e alla
fine degli anni ’50 incominciarono a salare dei prosciutti per degli
altri stabilimenti; uno dei primi fu Maletti di Casinalbo, Palmieri sempre
di Casinalbo, alcuni vecchi nomi dei salumifici modenesi.
Negli anni in cui si iniziò con il salumificio che razze di suino
c’erano?
Raffaella: c’era anche di cinta senese, di quelle razze lì ma
non erano moltissime, erano adatte per la stagionatura dei salumi, adesso non
sarebbero più adatte perché era un suino che aveva una quantità di
grasso notevole, veniva allevato per 12 mesi o anche di più. Adesso
ci sono delle razze incrociate e i maiali non vengono tenuti più di
9 mesi.
Quelle razze che prosciutti davano?
Raffaella: la stagionatura del prosciutto è sempre stata dai 12 mesi
in avanti a seconda anche della grossezza, è logico che i prosciutti
che derivavano dai maiali allevati dai contadini erano maiali più grossi,
più grassi e la stagionatura era più lunga perché se lei
prende un prosciutto che da fresco è 13 chili a 12 mesi, è un
prosciutto che è già pronto per il taglio. Se lei prende un prosciutto
che è 15 chili, all’inizio è un prosciutto che lo deve
portare per lo meno a 18-20 mesi, può fare anche 24 perché ha
uno strato di grasso superiore, di conseguenza mantiene il magro più morbido,
non si secca sul davanti e si mantiene bene.
Quali erano i locali della stagionatura?
Raffaella: lo stabilimento è sempre quello, è stato ingrandito
ma dietro la casa praticamente dove siamo entrati lo stabilimento è quello
lì.
Però oggigiorno c’è dell’acciaio, allora come
erano?
Raffaella: allora era più che altro del legno. Venivano messi su dei
bancali di legno che avevano tre, quattro, cinque piani per la salagione, poi
dopo venivano lavati manualmente dentro le tinozze di legno, asciugati naturalmente… non
come adesso che ci sono tutti i macchinari che fanno loro l’umidità,
la temperatura…
Si aprivano le finestre?
Raffaella: si aprivano le finestre.
Quindi l’aria di Montecenere…
Raffaella: era a una altitudine giusta perché noi siamo più alti,
nel parmense se lei prende Langhirano, Felino sono a cavallo dai 500 ai 600
metri, non sono molto alti. Infatti Parma ha un clima un po’ più umido,
qui c’è un aria più frizzante che come colore il prosciutto
lo mantiene molto meglio, ha un colore bello rosso il nostro.
Negli anni ’50 i prosciutti a chi venivano venduti?
Raffaella: alla gente di Modena. Noi siamo stati i primi a fare la stagionatura
dei prosciutti sull’Appennino modenese, poi hanno cominciato quei salumifici
della pianura: Maletti, Palmieri, Veroni di Correggio, a portare sù dei
prosciutti da salare; si faceva per conto loro, perché appunto avevamo
fatto una attrezzatura di un certo genere.
Voi qui avevate anche l’allevamento e la macellazione?
Raffaella: sì, poi dopo abbiamo tolto tutto a partire dagli anni ’80
quando sono uscite delle norme igienico sanitarie che non si poteva assolutamente
incrociare i prodotti, perché noi facevamo tutti i tipi di salume, siamo
stati i primi a fare lo zampone e il cotechino cotto.
In che anno?
Raffaella: 35 anni fa, li abbiamo fatti per un certo periodo e poi abbiamo
continuato solo col prosciutto, anche lì dovevamo eventualmente fare
uno stabilimento a parte, non si possono incrociare i prodotti nel corso della
lavorazione. Anche dai prosciutti - lei ha visto - siamo entrati dove
escono ma dove arrivano è dove ci sono le celle, lì arrivano
i camion per scaricare.
Oltre al salumificio la vostra famiglia aveva anche un caseificio, ci diceva
che siete stati i primi a fare il parmigiano. In che periodo?
Raffaella: direi dopo la guerra, era mio padre che avendo avuto l’ammasso
aveva cominciato negli anni ’30. Lui era legato ai contadini, insomma
a chi produceva, a chi aveva gli animali, era lui che comperava i maiali e
aveva questo caseificio, aveva una porcilaia e faceva il parmigiano reggiano. E
alla fine degli anni ’50 fece una cooperativa, lui ne è stato
presidente per tantissimo tempo, tanto è vero che nella cooperativa
faceva il parmigiano e lui aveva mantenuto per suo conto l’allevamento
dei maiali. Dopo ad un certo momento è passato poi tutto alla cooperativa,
ma il primo che ha fatto il parmigiano reggiano è stato lui.
Il latte lo andavate a raccogliere voi?
Raffaella: lo portavano qua. Se no c’era il casaro degli addetti che
andavano a raccogliere il latte alla mattina e alla sera. Poi mio padre quando
ha dato l’attività del caseificio a questa cooperativa ha fatto
il raccoglitore di burro per la Prealpi di Varese, raccoglieva il burro in
tutti i caseifici di Sestola, Fanano – qua intorno ce n’erano diversi – due
volte alla settimana andava a raccogliere il burro e una volta alla settimana
lo portava a Modena dove la Prealpi aveva un magazzino e lo portava lì. È sempre
stato legato alla lavorazione della roba da mangiare cominciando dall’ammasso. La
prima era stata la nonna, perché come Baldoni si aveva una posta, dove
c’era il cambio dei cavalli, la sosta dei cavalli, si sellavano i cavalli,
si facevano le carrozze, ma è stata lei che veniva da una famiglia che
lavorava nei generi alimentari e trovandosi sola ha pensato “faccio un
mestiere che conosco”. È stata una donna che è morta all’inizio
della guerra, ha mantenuto unita tutta una famiglia, i figli stavano tutti
assieme con le famiglie, assieme a lei.
Da dove nasce il nome il “Bacio del Cimone”?
Raffaella: è stato il commendatore Villani che aveva un figlio, il
papà del dr.Villani presidente del salumificio di adesso, che era al
sanatorio a Selva dei Pini perchè era malato di tubercolosi e allora
lui veniva sù ma per arrivare ci metteva due giorni. Allora le strade
non erano come adesso e si fermava da mia nonna che lo ospitava a dormire e
a mangiare, poi si fermava anche quando tornava indietro, e allora con mio
padre, mia mamma e miei zii gli venne in mente di tirar fuori questo nome: “Bacio
del Cimone”. Eravamo a cavallo della guerra.
Il mulino invece ha cominciato quando?
Raffaella: è venuto dopo, era di un fratello di mio padre, era uno
dei cinque figli, uno è morto giovane e i suoi figli hanno aperto il
forno. Adesso ci siamo rimasti noi, ho due cugine ma la più vecchia
sono io nell’ambito del lavoro.
E questa nuova iniziativa (lo spaccio) che avete fatto?
Raffaella: è stata una idea mia, era un po’ che ci pensavo perché su
nel Trentino, nel Friuli, a San Daniele i salumifici hanno tutti una prosciutteria
, era un po’ che ci pensavo…
La interrompo per tornare alle attività di un tempo, le attività per
esempio di casaro che aveva iniziato suo padre: il parmigiano che faceva dove
veniva distribuito?
Raffaella: una parte la teneva lui e la commercializzava lui e una parte la
dava ai commercianti. Allora c’erano dei grossi commercianti di parmigiano,
a Modena ce n’erano molti.
Si ricorda il latte che veniva raccolto di che razze animali era?
Raffaella: no, non mi ricordo.
Caseificio, salumificio, un forno Baldoni...
Raffaella: i figli di quello che aveva il mulino hanno fatto il forno.
Però è una cosa recente?
Raffaella: sono cose degli anni ’70, ’80, il mulino è diventato
quel palazzo di appartamenti in sasso… insomma, sono cambiate molto
le cose. Una volta si lavorava forse meglio, infatti il parmigiano reggiano
e il prosciutto sono due tipi di produzione che sono vecchi e non sono adeguati
ad oggi. Non è possibile infatti che il parmigiano che viene stagionato
almeno 24 mesi costi la metà dello stracchino, c’è una
grossa crisi, sono pochi i giovani che continuano a tenere le stalle e a fare
certe cose. Bisogna andare sulla qualità, infatti per il parmigiano
reggiano e il prosciutto la questione è rimasta solo quella di puntare
sulla qualità, ma la maggioranza del prosciutto oggi come oggi è tutta
roba di cosce estere olandesi, tedesche, francese, danesi. Castelnuovo
Rangone è il posto dove provengono queste cosce che vengono dappertutto.
Stesso discorso anche per il parmigiano reggiano: per fare del parmigiano ci
vuole del latte buono, di una certa qualità, di mucche di una certa
razza che non devono fare 40 litri di latte al giorno. Stessa cosa se
si vuole fare una stagionatura di 24 mesi da un suino che ha 9 mesi di età ed è 170
kg, è impossibile, ci salta fuori qualcosa di mica buono; ci vuole un
suino che abbia più di un anno, che sia stato alimentato in un certo
modo e che abbia un peso di 180-190 kg. Mantenere la qualità però diventa
sempre più una nicchia piccola, sono sempre meno quelli che sanno mangiare,
molti mangiano sempre fuori, se le famiglie hanno educato i figli in un certo
modo si mantengono le tradizioni.
Ricorda, per esempio nel dopoguerra, quanti prosciutti si facevano in un
anno?
Raffaella: facevano 100 prosciutti alla settimana, non potevano fare di più,
ho dei ricordi molto vaghi, erano quei 50, 60 prosciutti che portavano. Poi
non si facevano tutto l’anno, si facevano nei mesi invernali, in maggio,
giugno, luglio non si facevano. Si tornavano poi a fare ad agosto, prima di
settembre. Il mese peggiore per fare la salatura del prosciutto è maggio,
ci sono ancora alcune vecchie ditte a Parma che loro il mese di maggio ancora
non salano il prosciutto.