04/08/2006
Acetaia
Spilamberto
Francesco Saccani
Già Gran Maestro della Consorteria
L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena
PARTE 3
Il palio di San Giovanni che ruolo ha avuto in questo gruppo della
Consorteria, forse è stato la chiave di volta…
Saccani: sì, il Palio di San Giovanni che all’inizio veniva svolto
in maniera un po’ così …non del tutto folcloristica ma,
insomma … in forma un po’ sperimentale.
In giuria c’era un po’ di tutto…
Saccani: in giuria c’era un po’ di tutto.
Diciamo cos’è il Palio di San Giovanni, è una
competizioni tra gli aceti che si svolge nei giorni della fiera di San Giovanni …
Saccani: da una ventina di anni a questa parte, proprio in virtù dei compiti
che la Consorteria si era posta, ha caratterizzato lo svolgimento del Palio di
San Giovanni sicuramente dal punto di vista del riconoscimento nei confronti
di colui che è in grado di produrre un ottimo balsamico, ma gli scopi
principali e fondamentali sono due. Primo è quello di vedere come la produzione
del balsamico avviene all’interno del territorio di sua competenza. Cosa
vuol dire questo? Vuol dire che attraverso l’esame di un migliaio di campioni
- un migliaio può essere anche inserito nella legge dei grandi numeri,
non sono quaranta campioni, non sono duecento campioni, quest’anno sono
stati 1.046 campioni, è un numero ragguardevole - dall’esame di
questi campioni, anche se è poi un lavoro piuttosto pesante, ma lo si
fa tranquillamente perché fa parte dei scopi della Consorteria, tu ti
rendi conto di come stanno le cose dal punto di vista della produzione familiare,
soprattutto, il resto è complementare, ci deve essere, ci può essere
ma è complementare, come varia nel tempo. Oltre all’esame organolettico,
cosa fa la Consorteria? Fa l’esame di tutti i campioni attraverso il suo
laboratorio, che ha allestito una decina di anni fa, delle due grandezze fondamentali:
l’acidità e il grado zuccherino. Così facendo ha la possibilità di
trasmettere ai soci, ma anche ai non soci - ha un notiziario che viene spedito
a 3.500 persone- di inviare i segnali in modo tale che i parametri fondamentali
della tradizione vengano rispettati. Poi è chiaro che ognuno si fa il
balsamico che vuole, però la Consorteria ha questo compito fondamentale.
Guardate che la produzione del balsamico in provincia di Modena è tale
per cui l’acidità sta subendo una variazione in negativo troppo
elevata: siamo arrivati a 4,5 gradi acetici con un grado zuccherino di 73-74-75
brix :non è possibile, così viene violentata la tradizione, perché quello
non è più un prodotto che può essere chiamato aceto balsamico
tradizionale e tanto meno non è più il prodotto dei padri, è qualcosa
che assomiglia oggi a una confettura. Questo non toglie che io abbia una batteria
che conduco in quel modo e poi uso quell’aceto lì da mettere sul
gelato o sulle fragole, questo è un altro discorso, ma dal punto di vista
generale, dal punto di vista della difesa di un prodotto particolare come è questo
che nasce qui, si produce qui, ha queste caratteristiche… bene, la Consorteria,
per esempio, dieci anni fa ha stilato una tabella di riconversione dell’acidità e
del grado zuccherino, tabella decennale perché le trasformazioni in una
batteria avvengono molto lentamente e oggi come oggi si può dire che i
4,5 gradi acetici non ci sono più, oggi ci attestiamo intorno ai 6-6,20
e il nostro obiettivo, che segnaliamo, è quello di arrivare sugli 8 e
mezzo con una concentrazione zuccherina che non vada oltre i 72 brix, che vuol
dire 72% di zucchero. Questo è uno dei compiti fondamentali per il quale
il palio viene svolto, perché se tu non avessi la possibilità di
esaminare oltre mille campioni, questi discorsi non li potresti fare: poi è chiaro
che a lato c’è anche il riconoscimento a colui che è riuscito
a produrre. L’altro aspetto è quello di professionalizzare i soci,
che sono 350-360, che sistematicamente frequentano la Consorteria, che sono divisi
in allievi, assaggiatori e maestri ma non solo: durante la gara del Palio che
dura due mesi all’anno aprile e maggio, tre assaggi alla settimana, venti
tavoli di assaggio per sera, sei assaggiatori per tavolo. Professionale perché,
a un certo punto, tu sai, puoi parlare, sempre in fase di ipotesi, per il balsamico
ma se conosci il problema. Gli assaggiatori attraverso la gara del Palio, attraverso
gli assaggi di allenamento che la Consorteria fa tutti gli anni da settembre
a marzo, perché non si può esaminare l’aceto solo due mesi
all’anno, ha la possibilità di fare in modo che a un certo punto
chi assaggia un balsamico, chi è chiamato a valutare un balsamico, sia
veramente in grado di potere dire entro limiti di approssimazione accettabili
che cosa si intende per finezza, cioè la qualità dei profumi, essere
in grado di percepire la qualità dei profumi, cosa si intende per armonia,
che cosa si intende per pienezza, che è il sinonimo del corpo del vino:
questa è la ragione fondamentale per la quale la Consorteria svolge ogni
anno la gara del Palio di S.Giovanni.
Quante persone hanno fatto il corso per diventare allievi assaggiatori,
perché imparano anche la tecnica per mettere su un’acetaia non
solo ad assaggiare ma anche a fare…
Saccani: quanti sono…sono diverse centinaia, perché da diversi
anni il corso si fa con ottanta partecipanti, di più non è possibile
perché le quattro serate d’assaggio richiedono poi il prodotto.
Di questi ottanta che ogni anno frequentano il corso, mediamente la metà prosegue
e, secondo un regolamento molto preciso e molto severo, la metà continua
e nel corso di otto anni può acquisire la qualifica di maestro assaggiatore.
Oggi ci sono mediamente, dopo quarant’anni di attività e dopo la
fisiologica scomparsa di qualcuno perché in quarant’anni succede
anche questo, ci sono circa 120 maestri, 110 assaggiatori e 160-180 allievi.
Voglio portarti un po’ a generalizzare il discorso perché noi
ti siamo venuti a intervistare perché stiamo facendo questa ricerca sulla
tradizione gastronomica di questo territorio e soprattutto su come quella che è stata
la modalità tradizionale, da sempre nella storia dell’uomo, di
trasmissione di queste tradizioni, che è la trasmissione da una generazione
all’altra, sia stata un po’ messa in crisi in questo secolo che abbiamo
appena trascorso. A me sembra che il ruolo, questa storia della Consorteria dell’aceto
balsamico dimostri, sia veramente esemplificativo di, cosa bisogna fare, cosa
si può fare oggi di fronte anche alla crisi di un modello tradizionale
di trasmissione appunto delle conoscenze per intervenire in modo positivo. Perché?
Perché la Consorteria dimostra, da una parte, che c’è bisogno
di conoscere profondamente un prodotto. Il prodotto di tradizione non è mai
una cosa semplice, abbiamo visto che è una cosa molto complessa, che ha
bisogno di essere apprezzata, innanzitutto, anche da un punto di vista sensoriale
ma, i sensi vanno addestrati e per addestrarli ci vuole una educazione che è fatta
anche di insegnamento quotidiano e anche poi di prova dei sensi e quindi di pratica
sensoriale che può essere fatta per esempio tramite gli assaggi che tu
descrivevi ma dall’altra ci vuole anche che chi produce il prodotto si
mantenga fedele alle caratteristiche di questo prodotto e non lo violenti in
nessun modo con obbiettivi che sono diversi appunto da quelli del creare il prodotto
nella sua naturalità, nella sua genuinità. Ecco, la Consorteria
dell’Aceto balsamico dimostra che su un prodotto, l’aceto balsamico
tradizionale, si possono fare allo stesso tempo le due cose perché un
corso come quello che fate voi in realtà insegna a chi vuole soltanto
ad assaggiare ma a chi vuole anche a produrre e alla fine diventa un movimento
nel quale da una parte ci sono sempre gli appassionati che producono ma dall’altra
c’è come dire un gruppo di appassionati assaggiatori che sono in
grado di giudicare quello che questi altri fanno, spesso sono anche gli stessi
produttori e comunque diciamo che sono due cose che si rinforzano l’un
l’altra e garantiscono che c’è, molto diffuso, un saper fare,
un conoscere all’interno di questo territorio questo prodotto che è la
migliore garanzia che poi vengano mantenute queste tradizioni.
Saccani: il problema io lo vedo così. In provincia di Modena ci almeno
6-7000 famiglie che in solaio hanno anche soltanto una batteria. Per costoro
non c’è nessun problema, magari potranno interpretare in parte o
adottare in parte le indicazioni della Consorteria, ma poi si accorgono nella
conduzione della batteria che seguendo le indicazioni, anche soltanto in parte,
il loro prodotto sicuramente migliora. Per costoro, per chi produce il balsamico
per se stesso, per uso familiare e per regalare qualche boccetta a chi lo merita,
grossi problemi non esistono, non esistono perché hanno una particolare
attenzione nei confronti di quel prodotto e quindi nel momento in cui lo usano
loro, automaticamente, ma lo offrono anche a coloro che vanno a casa loro, c’è una
attenzione tale per cui il discorso segue naturalmente il suo evolversi. Il problema
invece si presenta in maniera più pressante e più importante sotto
altri due aspetti: il primo è quello della vendita del prodotto e il secondo è quello
della ristorazione, del balsamico che si conosce attraverso la ristorazione.
Dal primo punto di vista chi produce il balsamico per la commercializzazione,
la commercializzazione non è mica un aspetto da demonizzare, ma per carità,
però bisognerebbe riflettere molto su questo aspetto perché dal
1794 quando arrivarono i francesi a Modena e cominciarono a vendere il balsamico
del Duca fino al 1813 quando ci sono rimasti, il balsamico del Duca, ci sono
i documenti, loro l’hanno sempre venduto all’asta, come vendono all’asta
ancora tutt’oggi lo champagne millesimato. Dal punto di vista della vendita
indubbiamente bisognerebbe fare in modo che il balsamico che viene collocato
nei negozi corrisponda ad un prodotto che sia in grado di rilevare anche all’inesperto
in virtù dei profumi e dei sapori le caratteristiche del medesimo, voglio
dire un prodotto di qualità, un prodotto che se valutato come si diceva
prima dal punto di vista degli assaggiatori con una scheda raggiunga su 400 punti
almeno 280-290: allora in questo caso chi lo usa si pone dei problemi nel senso
che dice effettivamente questo è prodotto che porta la parola aceto ma
con l’aceto di vino che conosco non ha nulla a che fare, va valorizzato
in funzione delle mie richieste dal punto di vista enogastronomico, dal punto
di vista dell’interpretazione del mio essere in tavola. L’altro aspetto
dovrebbe essere molto più semplice, che è quello della ristorazione.
Con quello della ristorazione la Consorteria fino ad oggi non c’è riuscita
molto, è un problema aperto ma è un problema da affrontare nella
misura in cui i ristoratori sono disponibili, perché il problema è questo,
proprio per fare dei discorsi di carattere fondamentale sull’uso del balsamico, è questo
il punto: spesso e volentieri ristoranti che usano il balsamico tradizionale
lo usano in forma impropria perché non ne conoscono le caratteristiche.
Un ristoratore che ha le batterie, e molti hanno le batterie, dovrebbe almeno
sapere, se ne ha tre, che quelle tre batterie lì le deve condurre in un
determinato modo e ho dei dubbi che lo sappia. La prima la può condurre
con del mosto cotto, molto poco concentrato, come avveniva una volta, destinato
a produrre un balsamico che difetta sicuramente in armonia ma che va bene per
tutte le crudità: è quello il balsamico da usare perché se
tu condisci l’insalata con un aceto da 320 punti non ottieni l’effetto
che speri. La seconda batteria la conduce come avviene nella stragrande maggioranza
dei casi con un mosto mediamente concentrato sui 30 gradi e allora quel balsamico
lì lo puoi usare per tutti i cotti, tutti i cotti poi in maniera adeguata,
non con tre gocce, perché tre gocce non bastano, q.b., il ristoratore
me lo deve insegnare, q.b., quanto basta: allora impressioni colui che gusta
il tuo piatto. Poi la terza batteria la conduce come vuole, se ha sua moglie
che gli piace dolce usa un mosto in partenza un mosto cotto concentrato al 50%,
otterrà un balsamico che va bene per le fragole, va bene per il gelato…