03/10/2006
Agricoltura
Cortile, Frazione di Carpi
Mario Schiavi
Proprietario terriero
La fine della mezzadria
Le cantine sociali – Varietà e colture
PARTE 1
La prima domanda è relativa al luogo dove ci troviamo,
una azienda agricola che da lungo tempo appartiene alla sua famiglia, da
quanto tempo esattamente?
Mario: dai primi del ‘900, io nacqui qui nel ’25, in precedenza nacque
mio fratello che era del ’12, colpito e ammazzato dai tedeschi in Corsica;
l’azienda risale in precedenza.
Suo padre, quindi, era proprietario?
Mario: proprietario conduttore; conduceva l’azienda sua, del fratello e
della sorella, tutti e tre uniti in una azienda unica, allora era di 300 ettari.
Un’ azienda già abbastanza consistente che veniva gestita
con contratti di mezzadria?
Mario: contratti di mezzadria perché qui è senza dubbio la mezzadria
che si impone.
Parliamo del ventennio, dagli anni ’20 al ’40. In questa
prima fase c’erano dei poderi di che dimensioni?
Mario: di quaranta biolche, 10-15 ettari mediamente.
Famiglia del mezzadro?
Mario: famiglia del mezzadro che conduceva… la vite.
Quindi l’agricoltura su cosa era basata allora?
Mario: stalle, latte, vite e cereali.
La vite era a filari?
Mario: la vite era a filari con tutore l’olmo.
Il campo invece era coltivato a foraggio.
Mario: a rotazione.
Come era la rotazione allora?
Mario: l’erba medica essenzialmente, erba medica e poi grano.
Diciamo quindi che era un ciclo perché alla fine i prodotti
erano l’uva?
Mario: il latte.
All’epoca il latte veniva già usato per produrre parmigiano
reggiano?
Mario: sì.
Veniva poi conferito ai caseifici o avevate un caseificio vostro?
Mario: avevamo un caseificio nostro, anzi due caseifici: uno dislocato a Cortile
e l’altro a Ponte Motta.
Privati?
Mario: sì, privati con soci anche esterni.
Il grano o il granoturco?
Mario: essenzialmente grano.
È un modello di policoltura-allevamento che garantiva un
costante rinnovamento della fertilità anche del suolo, chiaramente con
la stalla si aveva tutta la concimaia che veniva utilizzata come letame da spandere
nei campi. Lei si ricorda anche i tipi di grano?
Mario: c’era il damiano allora che era quello che dominava, poi
arrivò il mara, il marzotto, il mieti. Oggi c’è il
mieti, il grano era valorizzato allora.
In effetti durante il fascismo ci fu la famosa battaglia del grano,
quindi una selezione genetica; forse ci si concentrò anche troppo sul
grano a scapito dell’allevamento di altre cose?
Mario: l’allevamento non era come l’allevamento attuale, che è essenzialmente
concentrato sul latte, era un allevamento concentrato su duplice o triplice attitudine:
lavoro, carne e latte.
C’erano quindi delle mucche adatte a questa doppia o triplice
attitudine.
Mario: ecco perché non era tesa a una selezione in un settore, bisognava
conciliare le tre esigenze: il lavoro, il latte e la carne.
Quindi avevate le bianche modenesi.
Mario: le bianche modenesi che scomparirono con la guerra.
Che erano animali già di per sè selezionati?
Mario: sì, e poi concentrandosi sul latte subentra l’olandese con
le varie selezioni americane, la Carnesion, non so se lei si ricorda
questo nome, e le varie selezioni.
Quella era una vacca da latte alimentare quindi per fare il parmigiano
reggiano probabilmente non era adatta.
Mario: no, relativamente ecco.
Come mai allora si è deciso comunque di sostituire la bianca?
Mario: perché il reddito era maggiore, la bianca non reggeva, scomparso
il fattore lavoro con l’introduzione delle macchine e della carne, rimaneva
il latte, il latte nel confronto con le altre razze non reggeva.
Una scelta di tipo economico?
Mario: essenzialmente di tipo economico.
Non sarebbe stato possibile selezionare di più la bianca?
Mario: sarebbe stato possibile ma c’era la guerra e il dopoguerra, momenti
di tensione sociale per cui era difficile conciliare queste esigenze, trovare
l’assenso di tante forze. Allora c’era Guglielmo Baccarani che era
il reggente zootecnico dell’Ispettorato di Modena che si batteva per la
razza modenese, anche quello fu travolto…
Si batteva a favore della selezione genetica anche perché probabilmente
alcune erano più adatte da carne, altre erano più adatte da latte… com’è che
questa azienda agricola a un certo punto scompare?
Mario: con la scomparsa della razza modenese, con la batosta a seguito di varie
calamità, fillossera e gelo della vite, non poteva rimanere un substrato
per il lavoratore, un substrato economico.
E poi c’è anche il famoso problema della battaglia della
mezzadria nel dopoguerra…
Mario: appunto.
Allora cosa successe? Che scelte fecero gli agricoltori di fronte
a questi fatti?
Mario: si adattarono, si adattarono a sostituire le razze, la vite subì delle
batoste incredibili, ci fu un tracollo produttivo. Guardi quel caco li... subì una
gelata nel ’29 e rimase una parte e si vede anche, per cui si trovarono
in una dif- ficoltà enorme... la superarono questa crisi del ’29 –’30
ma si arrivò alla fine della guerra in una situazione tragica, subentrarono
le lotte di mezzadria e non si sapeva come affrontarle. Tenga presente che lo
sforzo dell’imprenditore fu enorme perché tutte le case fatte, probabilmente
se avessero avuto un altro indirizzo avrebbero retto di più, fare tanti
poderi vuol dire costruire delle case.
Tante stalle?
Mario: di conseguenza stalle, quando si parla di casa si intende la casa, la
stalla e il fienile.
Poi ci fu la fuga della campagna, di quali anni parliamo?
Mario: verso gli anni ’60, adesso se lei va in campagna tutte le case a
mezzadria sono morte.
Quindi si dovette sopperire l’assenza di manodopera con la
meccanizzazione spinta?
Mario: sì, anche lì a seconda delle zone, la meccanizzazione più spinta
era logica ma in certe zone c’è ancora la presenza della manodopera
e questo accentuava il processo di lotta. Il sindacato imponeva per esempio la
manodopera, la manodopera che non era necessaria, d’altronde il sindacato
imponeva la manodopera per dare da mangiare a questa gente, ma bisognava affrontarlo
in un modo diverso, era un problema sociale di carattere diverso, non circoscritto
al podere.
Come cambiò la produzione in questa tenuta agricola dopo la
fine della mezzadria?
Mario: si continuò, ci fu la trasformazione del filare della vite in vigneto,
tipo belussi, si abbassarono notevolmente i costi, poi ci fu la batosta della
gelata e fu abbandonata. Fu fatto successivamente nel 1980 il vigneto a spalliera,
quello che lei vede meccanizzato: induce a una riduzione enorme di manodopera,
questo determinerà poi la crisi eh…
Però i vitigni sono rimasti gli stessi, sono stati impiantati
i lambruschi?
Mario: sì.
Su piede americano?
Mario: sì.
Invece il campo?
Mario: fu abbandonata praticamente la medica in grande percentuale, fu mantenuta
invece la stalla, questi coltivatori si riunirono per fare una stalla sociale.
Le stalle grandi?
Mario: ce n’è una a Cortile enorme di 800 capi.
Di che anni parliamo, quando sono state fatte queste stalle?
Mario: recentemente.
Come mai qua si è deciso di fare le stalle così grandi?
Mario: per abbassare i costi di costruzione delle stalle e anche di gestione.