HOME PAGE
\ Interviste \ Più viste \ Pasquali Almo\ Pasquali Almo \ leggi testo

09/08/2006

Giornalista


Documento senza titolo

Renno, Frazione di Pavullo nel Frignano
Andrea Pini
Giornalista, scrittore
Passaggio dall’agricoltura all’industria in montagna – Comunità e vita sociale  

PARTE 1

Ci vuole raccontare come era organizzata la vita sociale in questo territorio?
Andrea: intanto ci troviamo nella vallata dello Scoltenna, che ha delle tradizioni, degli usi e dei costumi diversi da altre vallate. Erano vallate abbastanza chiuse che conservavano e tramandavano tradizioni leggermente diverse anche nel dialetto, anche nella preparazione dei cibi, un po’ diverse, non dico completamente diverse dalle altre vallate circostanti. Probabilmente la mia generazione ha vissuto una trasformazione epocale, cioè dalla vecchia civiltà contadina diciamo alla nuova società per cui io e la mia generazione abbiamo vissuto gli ultimi sprazzi della civiltà contadina e contemporaneamente vissuto la trasformazione. Io più che testimone posso essere un raccontatore di ciò che ho sentito dire, perché quello che ho vissuto l’ho vissuto marginalmente per l’età e perché la civiltà allora si stava trasformando. Una società completamente diversa da quella attuale, dove le differenze riguardano i rapporti all’interno dei membri di una comunità di un paese ma anche i rapporti tra le comunità di una vallata. Per esempio oggi le differenze che io noto sono queste, io personalmente e anche i miei amici conoscevamo persone di Olina, di Camatta, di Sestola, di Gaiato; oggi i ragazzi non conoscono nessuno, conoscono qualcuno del paese, della comunità ma non sanno niente delle comunità circostanti.
Quindi c’era una volta uno scambio maggiore tra le diverse comunità: perché?
Andrea: questo perché vi erano delle occasioni, soprattutto le sagre, dove noi anche a piedi andavamo a Camatta a Olina per partecipare a queste sagre che erano fondamentalmente religiose ma anche sagre dove ci si poteva divertire ed incontrare. Questo faceva sì che poi si potevano intrecciare anche rapporti di amicizia, ci si incontrava anche in altri posti e questa amicizia continuava. Oggi questo non avviene più, l’unico punto di riferimento non sono tanto le frazioni quanto Pavullo, le frazioni non sono sentite come tali, le comunità cioè dei paesi non sono sentite come tali ma sono luoghi dove si dorme e dove si vive ma il punto più importante è Pavullo, il capoluogo.
Ci vuole spiegare meglio questo rapporto tra le diverse comunità, i motivi di scambio erano solo dettati dal piacere di stare insieme o c’erano anche degli interessi?
Andrea: sicuramente era il piacere di stare insieme perché poi fondamentalmente erano momenti in cui ci si divertiva, una volta per divertirsi c’erano queste occasioni in cui si andava in questi paesi e lì si partecipava agli eventi che venivano organizzati. Io sto parlando degli anni ’60.
C’erano anche degli scambi economici tra una comunità e l’altra?
Andrea: gli scambi economici erano più che altro di tipo agricolo, ma questo tipo di scambio direi che negli anni ’60 era già decaduto. Avvenivano a livello di fiere però negli anni ’60 anche queste fiere, questi mercati che avevano caratterizzato la società contadina soprattutto dello Scoltenna nei secoli precedenti non esistevano più. Io ricordo le tre fiere di Pavullo: c’era quella di San Bartolomeo in agosto, la Paciarina, come si dice, che era una fiera primaverile e quella di San Martino appunto per San Martino a novembre, erano le tre grandi fiere. Io ricordo perfettamente che i miei genitori mi raccontavano che anche durante l’anno lungo le grandi strade c’erano le fiere agricole di bestiame più che altro, in località che oggi non si potrebbe pensare che venissero. Allora queste grandi fiere erano a Gaianello, a Val di Sasso, a Gaiato, in località che oggi sono sperdute, dove non ci abita nessuno; dove avvenivano queste fiere in genere era lungo le grandi strade di collegamento tra la pianura e l’alta montagna. Negli anni ’60 queste fiere erano scomparse ed erano rimaste solo le tre fiere di Pavullo che però erano già in un momento di grande decadenza, poi scomparse nel giro di poco tempo.
Volendo fare una analisi storica, ad esempio, prima della guerra come era la vita in questi posti? come erano i rapporti tra una comunità e l’altra? Cosa è cambiato nel tempo?
Andrea: il cambiamento è fondamentale soprattutto negli anni ’50-’60, quando da noi è stata introdotta l’industria che ha fatto scomparire in modo graduale la civiltà contadina ed è stato introdotto un tipo di economia nuovo.
Le comunità montane una volta erano più chiuse o più aperte rispetto adesso?
Andrea: le comunità montane rurali dei piccoli paesi una volta da un certo punto di vista erano molto più aperte, nel senso che si intrattenevano dei rapporti con le altre comunità, come dicevo prima, rapporti di amicizia, di conoscenza anche con paesi molto lontani, erano 10-20-30 km che si percorrevano per raggiungerli per partecipare a un ballo, a una fiera, a una festa, per andare anche a comprare ad esempio una mucca. Quindi erano comunità molto più aperte, basate su questo tipo di rapporti, nello stesso tempo però vi erano anche degli aspetti che oggi sono completamente scomparsi: erano gli aspetti campanilistici che avevano come conseguenza un certo tipo di chiusura. Per esempio incontrare una ragazza di un altro paese e magari incominciare un rapporto amoroso voleva dire correre dei grossi rischi perché i ragazzi di quel posto erano molto gelosi e facevano di tutto perché questo rapporto terminasse. Io ricordo di un mio amico che oggi ha ottant’anni e si chiama Gianetto, che andava a morose appunto a Cà Baratta sempre, e racconta che lui andava a piedi e quando tornava indietro molto spesso incontrava degli agguati, dei ragazzi che gli tiravano dei sassi in modo da farlo desistere da questo rapporto. Questo campanilismo si esprimeva da noi in una maniera abbastanza originale che penso non esista in pianura, ma neanche nelle province vicino. Ogni paese aveva un soprannome, a Renno sono le upupe, a Olina erano i finocchi, a Montecenere gli scarcai cioè gli spunti, a Monzone i maiali, a Camatta i verri, a Gaiato i ragni, a Casine i topi, a Castellaro i gatti.
Lei prima ha accennato al passaggio dall’attività agricola a quella industriale: ci vuole raccontare cosa è avvenuto all’interno delle famiglie?
Andrea: per Pavullo, stiamo parlando della fine degli anni ’60, quando fu costruita la prima ceramica che si chiamava La Campanella. Intanto questa era un’occasione di lavoro completamente diversa da quella contadina, era un lavoro sicuro, più remunerativo anche, mentre quello contadino era un lavoro che sì rendeva, ma rendeva anche abbastanza poco anche perché da noi il contadino era il piccolo contadino, il piccolo proprietario quindi che produceva lo stretto necessario, il fabbisogno per la famiglia, un prodotto che era sempre soggetto all’andamento del tempo. La presenza di un lavoro sicuro che offriva la fabbrica, la ceramica, ha spinto molti a fare il doppio lavoro inizialmente. Molti contadini andavano a lavorare come operai alla ceramica poi secondariamente conducevano il lavoro: questo ha fatto in modo che pian pianino il lavoro agricolo è diventato un lavoro secondario. La famiglia un tempo patriarcale con molti figli - alcuni si dedicavano al lavoro esterno e la maggior parte al lavoro agricolo - è diventata (negli anni 60-70) una famiglia più piccola, non più patriarcale, dove c’era il padre, la madre e un figlio. Questo figlio si faceva studiare o lo si avviava a un lavoro diverso da quello contadino, verso un lavoro artigianale. Per questo motivo il lavoro contadino da noi è andato perdendosi, oggi come oggi in un paese come Renno dove fino agli anni ’50 tutti erano contadini, sono due o tre persone che conducono una attività agricola, i campi sono completamente abbandonati, ci sono questi contadini che magari vanno a fare il fieno nei campi di altri proprietari però non si può dire che i campi siano coltivati a questo punto.
Questi cambiamenti hanno in qualche modo inciso sull’alimentazione?
Andrea: sicuramente, nel senso che la cucina tipica montanara contadina, che era una cucina povera ma anche ricca di sostanza, si è andata via via arricchendo, soprattutto si è andata trasformando anche per un pregiudizio che rilevo in tanti ambiti. Per esempio in ambito linguistico si abbandona completamente il dialetto perché si pensava che parlare il dialetto fosse segno di una appartenenza sociale piuttosto bassa, così anche per un certo periodo di tempo si abbandonarono i cibi tradizionali come le crescentine, come tanti altri cibi, i borlenghi, la pasta fritta, eccetera, perché si riteneva che questi cibi fossero legati a un tipo di civiltà inferiore rispetto a quella che stava sopraggiungendo dalla pianura, che era tipica della città. La cucina delle famiglie si è completamente trasformata, si è arricchita: per esempio un tempo la carne era una rarità, si mangiava carne solamente in grandi occasioni, la domenica ma soprattutto in occasione delle grandi feste. Si è arricchita anche di prodotti che fino ad allora non si conoscevano, poi successivamente negli anni ’80-’90, soprattutto da un punto di vista snobistico, si è cominciato a recuperare le vecchie tradizioni contadine quindi vi è stato il recupero di vecchie ricette e tradizioni abbandonate.