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11/08/2006

Agricoltura


Documento senza titolo

Fanano
Almo Pasquali
Giornalista e scrittore
Usi e tradizioni agrarie, coltivazioni e tecniche – La castagna  

PARTE 2

Quando è arrivata questa macchina?
Almo: negli anni ’30, io ho scritto un libro su queste prime macchine come anche il grano. Qui lo battevano con i cerci, cioè sono due bastoni legati con una funicella. Ne prendevano uno e battevano l’altro sulle spighe di grano e si faceva la battitura. Successivamente veniva pulito dalla pula, quando c’erano quei venticelli con una pala volava via la pula e cadeva giù il grano. L’aia veniva cosparsa di un impasto liquido di sterco di bovino e poi con una granata veniva messa sull’aia. Quando essiccava faceva una pellicola che impediva la dispersione del grano. Anche qui negli anni ’30, giù nella bassa, arrivarono prima a Trentino, così arrivò la macchina da battere a vapore ma non poteva andare in alta montagna, allora qui incominciarono le macchine. C’era poi la Balilla, erano macchine piccole che trascinavano coi buoi attraverso i campi. Invece le macchine da pestare, siccome i castagneti sono sparsi nelle zone più impervi, si caricavano, la smontavano, se la caricavano addosso motore macchina e poi andavano dappertutto. Uno dei primi è stato Domenico Monari di cui ho scritto, ho la storia nel mio libro uscito adesso, un tipo particolare che diciamo diede inizio alla meccanizzazione in agricoltura nell’alta montagna, nella nostra zona. Per finire sul metato, dopo un mese facevano questo lavoro e poi venivano portati ai mulini, ma dei mulini aveva un calce e un cespuglio, c’era un mulino dapertutto.
Chi era l’addetto al metato?
Almo: il proprietario in generale, anche lì per far fuoco quando sradicavano un castagno secco tenevano questi ciocchi e questi ciocchi li mettevano per far fuoco, bruciavano a fuoco lento; per esempio ci andava la sera e ci tornava la mattina perché non doveva mai spegnersi altrimenti le castagne, siccome siamo in autunno inoltrato, rinvenivano subito. Poi c’erano i ciacci, la polenta, la farinata…
Cosa erano questi piatti?
Almo: i ciacci erano un impasto e nei primi tempi - anche lì siamo fino agli anni ’30 - si faceva nelle tigelle. Voi della pianura quando dite tigelle intendete il prodotto da mangiare, invece le tigelle sono quelle forme di terracotta che servivano per cuocere il prodotto. Tra una tigella e l’impasto si mettevano delle foglie di castagno, prima le tigelle venivano scaldate sul focolare tutte incasellate, messi nel tigellatore, poi presa una per una tigella, foglia, impasto, foglia, tigella.
I ciacci qui a Fanano se ho capito bene erano una specie di crescentine, però fatte con la farina di castagno e cotte nel fuoco con le tigelle?
Almo: esatto, le tigelle arroventate nel camino, poi dopo messe una sopra l’altra, tigella, foglia, impasto, foglia, tigella, foglia, impasto, foglia, tigella… e così via, poi si passavano e si levavano le foglie. Mi ricordo anch’io quando ero un ragazzo, ci piacevano moltissimo perché erano dolci, le mangiavamo con le foglie a momenti.
Con che cosa si mangiavano i ciacci?
Almo: col formaggio ma anche così.
Altri piatti sempre con le castagne?
Almo: c’era la polenta che invece di essere di frumentone era così; c’era la farinata che era un impasto molto lento di farina di castagno e di vinello.
Vinello?
Almo: si impastava col vinello.
Col vino?
Almo: no, il vinello. Quando avevano pestato l’uva del tino levavano il vino, poi aggiungevano acqua fino a livello della graspa e quello lì era il mezzo vino, in italiano Vinello. Il primo, poi si levava quello lì, ci si aggiungeva dell’acqua e quello era il vinello e mez vin del second ma c’era anche chi lo faceva del terzo e poi si dice che c’erano di quelli che mettevano ad asciugare la graspa e poi se la fumavano nella pipa. Ci rimaneva sempre un pochino di alcool, allora questa farinata quando si faceva ti faceva venir caldo alle orecchie.
Si impastava quindi la farina di castagno col vinello?
Almo: poi una volta cotta diventava come una gelatina.
Dove si cuoceva?
Almo: sul camino, nel paiolo, nel paiolo come la polenta. La ciacciana era una specie di torta, mettevano sempre questo impasto con un po’ di olio e qualche sementina, non mi ricordo di che, e lo tagliavano a fette; c’era al patol cioè era un impasto sempre di farina di castagno fatto ad ocarina con qualche sementina dentro e la cuocevano nel forno quando facevano il pane. Poi le frittelle, anche i ciacci, si dice una volta per prendere la volpe perché una volta fritti facevano un profumo particolare… cioè per prendere la volpe che una volta era un po’ un guaio perché coi pollai mangiavano le galline… facevano la strategia: un pezzettino qui di ciaccio fritto, un pezzettino qui e qui, la volpe arrivava nel posto dove volevano, poi la tiravano e la prendevano. Con questa volpe andavano in giro dalla gente che gli dava un uovo o due. Non è che voglia farmi pubblicità ma siccome ho raccolto negli anni, io dalla fine del ’45 sono corrispondente di vari giornali tra cui il Carlino, allora in questo periodo ho raccolto un mucchio di storie e ho già scritto tre libri su queste cose, come vivevano i cambiamenti fino a che mi ricordo e prendendo su lo spunto da quanto io ho scritto.