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15/09/2006

Sacerdozio


Documento senza titolo

Parrocchia di Gombola, Frazione di Polinago
Don Gualtiero Meliconi
e le sue collaboratrici:
Irene, Anna, Oriele, Maria e Silvana
Sacerdote – imprenditore  
Preparazione dei “tortellini del prete”
Racconti di 50 anni vissuti come sacerdote: fondazione dei caseifici sociali, i corsi professionali, le aziende  

PARTE 5

Lei ci ha parlato di corsi legati alla attività edilizia, alla maglieria e alla camiceria, e in agricoltura?
Don Gualtiero: in agricoltura avevamo aperto uno stallone sociale e poi purtroppo come quasi tutti è andato male, abbiamo costruito un caseificio sociale .
Lei dice abbiamo…
Don Gualtiero: sì perché io ero presidente e gli altri mi aiutavano.
 Gli altri erano i contadini della zona?
Don Gualtiero: tutti contadini, io ho ottenuto i finanziamenti, ho fatto la società cooperativa , ho fatto corsi di preparazione, e poi si è costruito il caseificio che ancora oggi lavora anche se purtroppo mentre 10 anni faceva 14 forme, adesso mi sembra ne fa 9.
 Quale fu la spinta che fece nascere questi stalloni e questo caseificio?
Don Gualtiero: fu il desiderio, diciamo, di organizzarsi per guadagnare di più, perché qui c’erano le stalle piccole. Mi ricordo una volta che alla televisione di Modena, un casaro fu interpellato “perché oggi non si fa più il formaggio buono come una volta?” . Ai miei tempi per esempio c’era anche il grana di 7 anni, oggi sarebbe marcito e disse “perché ci sono stalle troppo grandi, mucche che fanno troppo latte e – non scandalizzatevi – caseifici troppo puliti”. Allora a questo casaro anziano fu chiesto: “ma perché?”, “intanto gli stalloni grandi anche bravissimo il contadino non si possono controllare come si controllavano quelle stalle di 5-6-10 bestie; troppo latte perché per avere il latte bisogna sforzarle a fargli fare più latte”, il guadagno lei sa che nelle mattonelle uno più ne fa meglio è, anche se poi magari dopo ne deve scartare il 10%. Spesso nel latte non è possibile perché magari te ne accorgi tre giorni dopo che quella a venire le olandesi, infatti io per lo stallone andai ad un’asta a Trento e misi tutti olandesi mucca aveva il latte che stava per andare male e quindi ti ha rovinato un po’ di forme dei giorni precedenti. “Poi troppa pulizia perché si adoperano troppi detersivi”, il detersivo ammazza la fauna, i microrganismi, e quindi quando si arriva al periodo della fermentazione il formaggio non fermenta come dovrebbe e allora magari dopo scoppia. Come in tutte le cose si è partiti a volere il guadagno, oramai una stalla di 10 bestie non vive più e allora si fanno gli stalloni con le relative conseguenze.
Che bestie c’erano nelle stalle?
Don Gualtiero: qui c’erano molte bestie bianche allora, le modenesi, e cominciavano, sbagliando.
 Come sbagliando?
Don Gualtiero: perché si scende nella qualità anche se si migliora nella quantità, c’era qualche rossa reggiana, che adesso stanno scomparendo, e qualche montanara, che venivano dall’alta montagna e adesso non esistono più. Oggi sono tutte olandesi.
 Quanti contadini portavano il latte al caseificio sociale?
Don Gualtiero: partimmo con 33 soci, oggi ce ne saranno una decina perché dall’80 non sono più presidente, giustamente devono andare avanti da soli.
 Da che anno ha iniziato a fare il presidente?
Don Gualtiero: dal ’68 incominciammo a fare le prime riunioni.
 Lei diceva che non si guadagnava più ma il mercato era andato in mano a dei grandi gruppi?
Don Gualtiero: non i grandi gruppi di oggi. C’erano quei 10-15 grossisti che compravano il formaggio.
 Mi viene in mente Pellacani, quello di Castelfranco, lì poi ce n’erano tre o quattro però bisognava cadere in mano a loro per le vendite, non è questa una parola che mi faccia onore anche se sono sempre stato un sostenitore delle cooperative. Non è che andasse peggio di adesso che ci sono le varie unioni di cooperative, perché sono diventati dei carrozzoni come l’Enel. Finchè avevamo un produttore di energia elettrica qui di Gombola, se bruciava la cabina partiva con un mezzo di fortuna, andava a Parma, l’aggiustava, e la sera avevamo la luce. Quindici giorni dopo che passò sotto all’Enel bruciò una cabina: vennero prima quattro operai a vederla, poi ne vennero altri quattro a prendere giù con la gru la cabina, siamo stati 5 giorni senza luce.
 Prima del caseificio sociale i contadini tenevano il latte loro e cosa facevano con questo latte?
Don Gualtiero: facevano varie lavorazioni private, perché c’erano anche altre cooperative; per esempio qui su al confine c’era una cooperativa, tra l’altro andava molto bene, che esisteva già da anni. Esisteva anche qui una cooperativa che era nata per iniziativa del mio predecessore che però è fallita, cooperativa sempre di latte. C’erano anche degli industriali privati perché allora si accontentavano di lavorare tre-quattro mila quintali di latte a uso familiare, guadagnavano abbastanza.
 Questa iniziativa di convogliare tutto il latte al caseificio fu accolto in modo positivo dai contadini o con diffidenza?
Don Gualtiero: certamente c’era molta diffidenza e appunto dovemmo fare molti corsi preparatori e poi di fatto hanno collaborato e agito molto bene, tanti conferivano il latte a quei tempi, al prezzo di tre cooperative ai privati.
 Al prezzo di tre cooperative?
Don Gualtiero: sì, a prezzi medi di tre cooperative.
 Facevano una media dei prezzi di tre cooperative?
Don Gualtiero: spesso mettevano anche la cooperativa di Gombola assieme a quella di Sassomorello di Casa Matteazzi, per dire, era una di quelle che non portava il lumicino di coda.
 Lei ci ha parlato di questi corsi che organizzava, erano corsi di avviamento all’attività agricola, chi li faceva?
Don Gualtiero: intanto io ho fatto Scienza per la produzione animali a Bologna. A oltre quarant’anni ho frequentato, anche se non ho finito gli esami perché “chi fa molti mestieri fa la zuppa in un paniere” dicono da noi, fare il parroco e dare degli esami all’Università si faceva molta fatica però ho frequentato tutti i quattro anni. L’Ispettorato all’agricoltura di Modena che c’era allora in Via Cesare Battisti dava una mano, le cooperative avevano dei bravi tecnici che venivano qui.
 Quali materie si insegnavano?
Don Gualtiero: direi un po’ tutte, dall’alimentazione alla pulizia delle stalle, spesso erano a carattere di propaganda, erano ditte che avrebbero venduto l’attrezzatura per fare il formaggio e allora venivano a far vedere i loro macchinari come erano e come funzionavano.
 Dove si tenevano?
Don Gualtiero: in sala parrocchiale, qui in canonica.
 Questa chiesa è antica?
Don Gualtiero: no, è stata inaugurata nel ’56 la canonica e la Chiesa nel ’54.
 Lei aveva dei contadini?
Don Gualtiero: sì, adesso come sapete sono passati all’Istituto diocesano per il sostenimento del clero però io li ho presi in affitto dall’Istituto, li faccio lavorare io.
 Quanta terra ha?
Don Gualtiero: una quarantina di biolche.
 Come sono coltivate?
Don Gualtiero: una parte a fieno, un po’ di frumento che uso per le mie bestie, orzo e poi l’uva.
 Che uva ha lei?
Don Gualtiero: buona parte uva tosca, è un vitigno montanaro, un vino frizzante…
La taglia con qualcosa o la fa in purezza?
Don Gualtiero: lo taglio sempre con le mie viti.
 Un anno ho preso il lambrusco ma non sono stato contento perché snatura il nostro vino, ho anche un po’ di uva nera.
 Che uva è?
Don Gualtiero: la chiamano uva nera, penso che il nome non ce l’abbia perché sono vitigni ancora di una volta, purtroppo tutti gli anni ne sparisce qualcuno, io ho voluto conservare i vecchi filari e abbiamo anche provato ad innestarli e via… divento poi vecchio anch’io e forse finisco prima io delle mie viti però tutti gli anni ne sparisce qualcuno perché o il trattore va troppo vicino o la pianta è vecchia…
Sono tutte piante innestate?
Don Gualtiero: no no. Avevamo provato quando ero più giovane, sa, c’era anche più iniziativa di innestare il vitigno della tosca, ma la natura spesso si ribella.