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02/10/2006

Cucina


Documento senza titolo

Campazzo, Nonantola
Massimo Bottura e Lidia Cristoni
Lo chef e la sua “maestra di sfoglia”  
La sfoglia  

PARTE 1

Massimo ci vuoi raccontare di questa tua amicizia con Lidia?
Massimo: correva l’87. Mi sono ritrovato in questa trattoria, a Nonantola, senza nessuna esperienza, solo perché amavo la cucina, con questa idea di ristorante. Avevamo una compagnia dove tutti eravamo molto dentro alla ristorazione, e cosa ho fatto? Mi sono ritrovato in questa trattoria senza nessuna esperienza appunto, in due mesi mi ricordo che persi sei kg di peso proprio perché sai, uno senza esperienza in un ristorante... è tutto facile da fuori, in realtà tutta Modena si riversò per vedere cosa stavamo facendo, fu una cosa quasi imbarazzante, fino al giorno in cui si presentò al ristorante questa signora che aveva allora 35 anni di esperienza in cucina tradizionale e mi disse: “guarda se hai bisogno, io abito qua dietro, volevo andare in pensione”. “Non lo so - le dissi – guardi, si fermi qua, guardiamo: cosa sa fare?” Da lì è nata questa amicizia che non è amicizia, è un rapporto molto più profondo che una amicizia normale, perché effettivamente è stata la persona che mi ha segnato da un punto vista proprio del territorio, è stata la persona che mi ha fatto capire cosa significa lavorare e cosa significa la cucina di tradizione. Dopo un paio di anni ho avuto l’opportunità di conoscere in profondità George Cogny, il grande chef, che è mancato lo scorso luglio, lui mi ha introdotto alle basi di cucina tecnica francese. Ecco, da lì c’è stato proprio lo sviluppo di quella che era la cucina che facevamo alla Trattoria del Campazzo, una cucina legata profondamente al territorio, con basi di cucina classica francese, cosa molto interessante per l’epoca e la Lidia naturalmente era l’anima di questa cucina che stava nascendo nelle cucine della Trattoria del Campazzo.
 Avete lavorato insieme per molti anni quindi?
Massimo: sono stati sette anni circa, poi io ho avuto l’opportunità di andare a lavorare con Alain Ducasse, sono andato a Montecarlo, poi sono partito per New York, poi ho aperto l’Osteria la Francescana, però la Lidia è sempre rimasta con me, quando io ho mollato ha chiuso anche lei con la trattoria del Campazzo perché chi è subentrato a me aveva una visione diversa, però il mio rapporto con la Lidia è sempre continuato proprio perché l’Osteria Francescana ha queste basi, queste radici profonde legate al territorio e la Lidia non può naturalmente non essere con me.
 La vostra è una collaborazione che continua da sempre?
Massimo: certamente.
 La prima sfoglia che hai fatto possiamo dire che te l’ha insegnata a fare la Lidia?
Massimo: devo dire di no, è stata la Loredana.
 Lidia: no, la nonna.
Massimo: la prima sfoglia hai ragione... la nonna; adesso tra l’altro a Squisito siamo andati a presentare questo tramezzino di lasagna che era proprio un ricordo di questa sfoglia, mia nonna era di Festà, sulle colline modenesi vicino a Pavullo, e aveva il coupe de foie proprio alla francese, quando tirava la sfoglia noi rubavamo questi pezzi di pasta, era quella pasta non tagliata in modo perfetto e la cuocevamo sul coupe de foie, diventava questa pasta, una specie di piadina fatta con la pasta sfoglia, croccante poi naturalmente a fianco c’era sempre del ragù, c’era della nutella e noi andavamo a mangiarlo sia dolce che salato. A San Patrignano ho presentato questo tramezzino di nutella che era questo ricordo della pasta tagliata a triangoli servito con un ragù battuto a mano di bianca modenese e una spuma di besciamella fatta di parmigiano reggiano, profumata con la noce moscata: ecco, quello comunque era il mio primo approccio con la sfoglia. Comunque andiamo avanti Lidia Cristoni se no perdo del tempo eh...
Lidia: tè t’é-n gh è mai dal tèimp da pérder, guèrda. Allora qui come percentuale ci va un uovo ogni etto di farina, poi ogni 10 uova mettiamo tre-quattro uova embrionali sempre per migliorare la qualità della pasta e il sapore.
Massimo: abbiamo sviluppato queste proporzioni nel tempo, il fatto di lavorare con i tuorli, sempre relativo al fatto che dovevamo tirare la pasta a mano, quindi una pasta troppo piena di tuorli diventava troppo dura, si seccava immediatamente e non si riusciva a tirare, avevamo bisogno di elasticità quindi del bianco dell’uovo invece della forza e della profondità del sapore e così c’è venuta questa idea di prendere le uova embrionali dalle galline, sempre lavorando al limite della legalità.
 Lidia: è capace di telefonarmi e dirmi “ho pensato che nella pasta ci va” e io provo a fargli il campione, poi se gli va bene lui continua altrimenti cambiamo perché mi fa sempre fare da cavia.
Massimo: a quel punto con le uova embrionali hai questa forza, questa profondità della qualità della pasta, Lidia adesso sta impastando: questo è uno dei momenti principali perché qua sta tutto il discorso del sapore della pasta, del fatto che si riesca a tirare in modo perfetto, c’è un detto che dice “la pàsta bèin mnèda l’è mèza tirèda”, proprio perché il fatto di impastare a mano con i palmi delle mani si riesce a dare alla pasta una elasticità che è fondamentale nel momento in cui si va a tirare con la cannella. Un’altra cosa fondamentale nel discorso della pasta tirata a mano è il momento nel quale uno va a cuocere, a condire perché appunto noi abbiamo una tagliatella al ragù adesso in carta, nella carta dell’Osteria Francescana, e la tagliatella essendo tirata a mano viene cotta dentro il brodo e poi adagiata su un contenitore che contiene un ragù battuto a mano senza parmigiano e senza burro, un ragù cotto sotto vuoto a bassa temperatura per una cottura prolungata. La pasta una volta cotta viene adagiata su questo contenitore e poi viene rigirata con doppia forchetta in modo che comincia ad assorbire, non c’è bisogno che vada sul fuoco perché non deve evaporare niente, la nostra tagliatella deve assorbire quindi girando la pasta, una volta, due volte, tre volte va ad assorbire tutto ciò che è il succo delle carni e del ragù, quindi viene rigirata e servita nel piatto, deve diventare come una spugna...
 Massimo: “vuoi darmene metà per tirare?”
Lidia: no, per impastare, perché a-s fa piò fadìga.
 Massimo: toh, allora ciàpa un a tè e un a mè, va bèin?
Lidia: come a-m divèrt...
Massimo: ecco, il movimento è sempre un movimento di grande forza del palmo della mano, qui mi ricordo che mi dicevano sempre che era fondamentale il calore che ognuno ha nella propria mano, con il calore si riesce a mantenere a temperatura la pasta senza farla raffreddare, perché dopo la ritroverai nel momento in cui la vai a tirare.
 Lidia: po’ bisàgna c’a fàg él sfiòpli.
 Massimo: poi come suggerisce la Lidia bisogna che si creino delle vesciche sulla pasta, che si creano dal fatto che incorpori aria.
 Lidia: nella menatura...
 Massimo: nella menatura, in italiano...
 la Lidia l’ha sugerî nella menatura, bene... grande Lidia.
 Quindi bisogna lavorarla bene?
Lidia: sì, almeno 10 minuti, adesso noi ne abbiamo di già pronta, adesso se volete tiro quella là intanto che questa si riposa.
 Il movimento com’è esattamente?
Massimo: un movimento di pressione dall’interno verso l’esterno, premi e vai, hai proprio un movimento di forza dall’interno verso l’esterno.
 Poi giri?
Massimo: sì, poi ci scambiamo la pasta, la tagliamo per uniformarla una con l’altra, perché sai le mani delle persone... quando sei in due è un conto, quando sei in 10 a preparare la pasta ogni mano è diversa, quindi si miscelano, soprattutto così non c’è competizione perché sai quando hai delle signorine di novant’anni tipo la Ines che si mettono a litigare per chi l’ha menata meglio...
 Lidia: quando si facevano 150 uova di pasta impastate dentro una bacinella e poi si doveva tutta menare così in trequattro hai voglia, ci vogliono delle spalle buone.
 Massimo: la mia è sempre meglio della tua.
 Lidia: non è vero ... fa vàder! Fa vàder! Guèrda.
 Cosa state guardando?
Lidia e Massimo: quella più liscia!
Massimo: la mia è nettamente la migliore...  scusa eh Lidia.
 Lidia: adesso si fa una unica, poi dopo la metto riposare e tiro quella che ha già riposato.