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22/08/2006

Fornaio


Documento senza titolo

Pievepelago
Pasquale Pagliai e Pierluigi Galli
Fornai di montagna
Il forno Forme e prezzi del pane Lievito naturale e farina  

Pasquale: Ho fatto sempre un lavoro esterno da casa perché non mi piaceva il modo di vivere… ognuno ha la sua testa.
Cosa faceva?
Pasquale: Ne ho fatti tanti di mestieri, ho insegnato in un centro di addestramento professionale tre anni a Montecreto, poi ho insegnato tre anni alla media unificata allora, tanti anni fa, poi ho lavorato sei anni col commercio estero, allestivamo mostre internazionali per l’ICE, l’Istituto Commercio Estero, poi alla fine sono andato in municipio perché non ce la facevo più con due bambini piccoli a girare per il mondo.
Ha fatto il vigile?
Pasquale: Ho fatto il vigile per vent’anni.
 I suoi genitori invece cosa facevano qui a Pieve?
Pasquale: I miei genitori avevano forno e alimentari, dopo la guerra subito facevano un po’ di trattoria dove la gente veniva col fazzoletto dentro la borsa, avevano il formaggio e il pane, venivano e prendevano un quarto di vino, praticamente usavano la tavola per loro. Mia madre era veneta e cominciò poi a fare lo stracotto, che qui lo facevano in un certo modo, lei invece lo faceva solo con la cipolla e qualche chiodo di garofano, con l’intingolo che veniva fuori veniva condita la pastasciutta e poi lo stracotto a fette come si usa fare.
La sua famiglia come si chiama?
Pasquale: mio padre era di Fiumalbo di sù del Balzo, una frazione di Fiumalbo. Mia madre era di Crespadoro della Valle del Chiampo di Vicenza.
Come si sono conosciuti?
Pasquale: eh, 15-18 nella guerra, mio padre era militare lassù e ha conosciuto mia madre.
L’attività del forno è stata sempre della vostra famiglia o è iniziata con suo padre?
Pasquale: con mio padre, appena finita la guerra comperò un podere a Vignola, a Ravitano, poi non aveva salute perché in tempo di guerra avevano patito, gli avevano ordinato la montagna. Lui venne sù a Pieve e cominciò ad aprire il negozio e il forno a legna.
Questo successe subito dopo la guerra?
Pasquale: mio fratello era del ’20 e nacque giù a Vignola, poi vennero sù e aprì il forno che allora era a legna. Non facevano il pane, poca roba da vendere ai clienti che avevano soldi, famiglie bene. Di solito invece le famiglie portavano la tavola col pane sopra, quindi cuocevano il pane per la gente, hanno cominciato così, era dura all’inizio. Tutti facevano il pane in casa e lo portavano a cuocere al forno.
Tutti i giorni?
Pasquale: no, una volta alla settimana facevano 7-8 pagnotte, in base alle persone che c’erano in casa, e duravano una settimana; invece per Pasqua e per Natale venivano le donne con i biscotti, noi avevamo le teglie grandi, li mettevano a posto e usavano il nostro forno per cuocerli.
Come si organizzavano queste infornate?
Pasquale: al pomeriggio, quando al mattino era stato fatto o cotto il pane dei privati, si riscaldava il forno, bisognava mettere dentro la legna perché allora il forno non era a vapore come sono venuti dopo. Queste donne venivano e aspettavano il loro turno, noi avevamo tante padelle, le donne stesse le riempivano. Una lira o mezza lira a padella prendevamo.
Quando avete iniziato voi a fare il pane?
Pasquale: mio padre ha iniziato nel ’21 –’22, all’inizio facevano solo un po’ di pane per qualcuno, la maggior parte si cuoceva il pane per le famiglie che lo facevano a casa e lo portavano a cuocere.
Tutti i giorni il forno funzionava?
Pasquale: tutti i giorni ma a famiglie alterne, ogni famiglia faceva il pane per una settimana, poi tenevano il lievito naturale, non c’era il lievito di birra allora; facevano il lievito naturale, lo rinfrescavano tutti i giorni nel senso che ci aggiungevano un po’ di acqua e farina poi quando arrivavano a fare il pane tenevano indietro un pezzo di pasta a rigenerare il lievito.
La legna si comprava?
Pasquale: sì, si compravano le fascine, il forno si scaldava con le fascine perché fanno una fiamma veloce. La farina la compravamo da Marmi a Vignola, credo ci sia ancora a Vignola il mulino di Marmi, all’ingresso di Vignola sulla destra, mi ricordo da ragazzetto, col mio babbo andavo giù.
Che farina si prendeva?
Pasquale: prendevamo la farina 0, grano duro, poca per- ché si faceva poco il pane bianco, di solito erano pagnotte tipo toscano, pagnotte da un kg o da mezzo kg.
Che forme di pane c’erano?
Pasquale: ce n’erano diverse, forse anche il pane bianco di uso comune: c’erano le varie forme, c’erano le pagnottine, i riccioli, i baffi, cioè tanti tipi di pane, però le farine erano due: grano tenero o grano duro, solo che il grano duro costava parecchio.
I baffi com’erano?
Pasquale: erano panini fatti come i baffi, allora li chiamavano baffi. Ai primi tempi non c’erano le formatrici come adesso che uno butta dentro la pasta e vengono fuori due, poi si univano in mezzo, si schiacciavano e venivano fuori i baffi.
Poi quali altre forme?
Pasquale: c’erano le banane, le rosette.
Le banane?
Pasquale: le banane erano arrotolate, di solito pane francese, pasta molto morbida, molto soffice. Poi c’erano le rosette che si facevano a mano, poi c’era uno stampo particolare dove si imprimevano di modo che quando cuocevano venivano vuote dentro, erano di moda a quei tempi le rosette con la mortadella.
Ma questo quando?
Pasquale: nel dopoguerra, facevano questi panini che erano una bontà, mio padre vinse anche un premio non so dove, a Ferrara o a Modena, per un certo tipo di pane, poi subentrarono i figli, gli altri, io ero uccel di bosco. A me piaceva lavorare per conto mio, loro hanno tirato avanti il forno e il negozio e io ho scelto un’altra strada.
Nel forno si portavano a cuocere anche dei piatti che si facevano a casa?
Pasquale: no, ricordo che ero ragazzino, una volta portarono un castagnaccio dentro quelle padelle di rame con il manico che di solito si usavano a friggere, però nel rame il castagnaccio veniva bene e mi ricordo che venne l’Igiene che veniva spesso, prelevava il pane per vedere se c’era troppa umidità, era un bel lavoro. Trovarono dentro al forno questa pentola di rame… un macello… uh andarono persino alle mani perché non si poteva, guai… adesso ci sono i vigili sanitari, allora c’era l’Igiene ma quella non scherzava mica.
Questo nel dopoguerra?
Pasquale: dopo l’ultima guerra, sì.
Piatti di carne quindi non si cuocevano nel forno?
Pasquale: non si poteva, guai, il forno era per il pane e basta, non permettevano assolutamente di cuocere altro. Dolci e crostate sì, come tutti i prodotti inerenti alla farina, niente secondi, niente paste.
Del grano di qua voi non lo usavate? C’erano dei mulini qui?
Pierluigi Galli: i contadini di Sant’Andrea alto veniva giù lunedì al mercato con mezzo quintale di grano, la settimana dopo lo portavano a casa macinato, dei mulini ce n’erano dappertutto.
Pasquale: soltanto che noi avevamo bisogno di farina forte, mentre invece la farina di qua era grano normale. Nel dopoguerra venivano sù i ferraresi, delle famiglie intere: si portavano dietro uova, un po’di tutto e portavano la farina, una farina speciale perché aveva molta forza, loro portavano la farina e in cambio prendevano il pane, perché adesso i fornai fanno un sacco di soldi ed è giusto che sia così, ma ai tempi di mio padre lavoravano per la resa, da un quintale di farina venivano fuori 120 kg di pane, praticamente i venti kg servivano per pagare la legna, la manodopera…
Rimaneva poco insomma?
Pasquale: il prezzo era dettato dalla prefettura, uno non faceva il prezzo che voleva, era vincolato, la prefettura diceva il pane all’olio costa tanto, la pagnotta tanto, c’era poi il pane comune… quello che la gente non sapeva, mio papà me lo diceva, per esempio il pane di pagnotta era quello che costava meno però era obbligo avere il pane comune. Se uno veniva a chiedere del pane comune che di solito se ne faceva poco, lui poteva chiedere il pane all’olio o quello che c’era al prezzo del pane comune; c’era l’obbligo.
Perché se ne faceva poco di pane comune?
Pasquale: perché costava poco e si guadagnava poco, se uno sapeva la legge chiedeva un kg di pane comune, se non c’era gli si doveva dare un pane differente al prezzo di quello comune, però logicamente non lo sapeva nessuno.
Il prezzo variava spesso?
Pasquale: in base a quello che diceva la Prefettura.
Come lo stabiliva la Prefettura?
Pasquale: c’era un comitato che stabiliva il costo della farina eccetera… lo facevano loro, cioè gli interessi del fornaio li faceva la Prefettura, era un sistema anche quello bello… a seconda di chi lo vede.
Quanti eravate nel forno a lavorare?
Pasquale: C’era mio padre che poi lasciò lì presto, i due fratelli facevano loro d’inverno, d’estate prendevano due operai, uno toscano e uno emiliano, perché c’è sempre da imparare a fare i mestieri. Il toscano magari gli dava alcune dritte per il pane toscano e il modenese per altri tipi di pane, quasi sempre erano i soliti che venivano, stavano con noi, mangiavano con noi, avevano la loro camera.
Quando le famiglie hanno smesso di portare il loro pane a cuocere al forno?
Pasquale: sarà stato nel ’60, fino ad allora il forno lavorava per cuocere il pane dei privati.
C’era solo un forno a Pieve?
Pasquale: no, ce n’erano due, ce ne sono stati anche tre, Marchetti ma lavorava poco, poi c’era il nostro e Polacci.
Allora c’era più gente a Pieve?
Pasquale: come locali sì. Pierluigi Galli: il pane in casa, specialmente nel periodo di guerra quando c’era il razionamento, si poteva optare invece di prendere tutti i giorni il pane o tutti i giorni la farina, di prendere il mensile. Allora davano l’equivalente di 50 kg di farina per un mese intero; noi eravamo in sette, otto o dieci, a noi ce lo dava il consorzio agrario mezzo quintale alla volta.