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23/08/2006

Cucina


Documento senza titolo

Magrignana, Frazione di Montecreto
Giuliana Gianni
Rezdora
I ciacci 

Giuliana, cosa ci fa vedere?
Giuliana: vi faccio vedere la preparazione dei ciacci di castagno, fatti con la nostra farina. Si usa farina di castagno, un pizzichino di sale, e poi si prende un po’ d’acqua e si comincia la stemperare questa pastella, si va piano perché i grumi non dovrebbero venire, e facciamo questo movimento da poter fare questo tipo di crema. Quindi gli ingredienti sono: farina, pizzico di sale e acqua naturale del nostro rubinetto, perché noi qui abbiamo ancora acqua potabile delle sorgenti. Si mescola bene e si comincia a sentire la densità, perché non deve essere né troppo tenero, né troppo duro perché poi dobbiamo mettere questa pastella dentro le cotte di ferro.
 Quando si preparavano solitamente questi ciacci?
Giuliana: di solito nei tempi dei nostri nonni venivano fatti alla mattina per colazione; ai tempi di guerra questo qui era il pane dei poveri, qui sono riusciti a tirare avanti con questo tipo di mangiare; scambiavano la farina con un po’ di fagioli, granoturco, i nostri paesani andavano verso le zone di Pavullo. La farina di castagno era oro perché si mangiava, si riusciva a mangiare, c’era addirittura chi faceva un tipo di pane che veniva chiamato la mistocca. Ecco pronto l’impasto dei ciacci.
 Passiamo ora alla cottura dei ciacci.
Giuliana: una volta il gas non c’era, si faceva il fuoco e sulle braci si mettevano le cottole di ferro, prima delle cotte c’erano le tigelle che servono sia per le crescentine che per i ciacci di castagne.
 Ci spiega il procedimento?
Giuliana: si prendevano le tigelle, si mettevano sul fuoco, il fuoco le rendeva bianche. Quando erano calde, si riprendevano con le molle, si iniziava a mettere una tigella e una foglia di castagno poi il mescolino di impasto, la foglia di castagno, la tigella e via fino in cima. Si iniziava poi a togliere partendo dal fondo. Era una cosa delle nostre bisnonne, poi sono passati alle cotte e al gas che ovviamente è più pratico. Io metto in un piattino un po’ di olio, un uovo a cui togliamo il chiaro, e mettiamo il tuorlo con l’olio, prendiamo una patata tagliata, la intingiamo, apriamo le cotte calde e si passa la patata.
 Perché si usa la patata?
Giuliana: secondo me ha proprietà lievitanti. Si prende a questo punto il nostro impasto, lo mettiamo su una cotta e ci mettiamo sopra l’altra.
 Quindi si stende da solo?
Giuliana: sì, controlliamo poi che si stacchi dalle cotte, questo è un altro problema, e l’uovo riesce a fare staccare l’impasto dalle cotte. L’impasto si gira, due minuti ed è pronto.
 Una volta con che cosa si mangiavano i ciacci?
Giuliana: una volta si metteva un po’ di ricotta delle nostre mucche, perché logicamente chi aveva le mucche aveva il latte, aveva la ricotta, il burro, il formaggio, la panna, erano gli alimenti poveri di una volta che ancora adesso si possono trovare ma forse non più genuini come allora.
 Giuliana, con la farina di castagno cosa si faceva oltre al ciaccio?
Giuliana: con la farine di castagne oltre ai ciacci si faceva la polenta. Si usava il paiolo alla catena, si metteva acqua, un pochino di sale, quando bolliva l’acqua si metteva la farina di castagne e si mescolava come per la polenta di mais, si metteva poi sul tavolo e si mangiava sempre con ricotta, formaggio oppure se uno aveva il maiale, poteva avere la salsiccia ma questo nelle famiglie più benestanti. La polenta si preparava a mezzogiorno; la sera invece c’erano i menni, sempre un impasto fatto con la farina di castagne, sempre cotto nel paiolo ma tenuto molto più tenero, era una specie della colla dei ciacci ma cotto, si metteva in un piatto e sopra si metteva il latte o la panna fresca.
 Si preparavano anche dei dolci?
Giuliana: sì, si faceva il castagnaccio, un dolce povero perché anche in quello ci vanno pochi ingredienti e anche le castagne lesse secche che si facevano cuocere tre ore, poi venivano passate.
 Nel ripieno si metteva un cucchiaio di marmellata, chi ce l’aveva fatta in casa, facevano una sfoglia di pasta dolce, a forma di mezze lune, e venivano chiamati gli scarpaccioli, e ci mettevano il ripieno dentro aggiungendo anche le noci, le nocciole: erano i dolci nostri dell’inverno.
 Si faceva anche una minestra con le castagne?
Giuliana: si fa una minestra anche con le castagne verdi, quando si va a raccogliere le castagne nel castagneto, si mettono in padella come fare le caldarroste, si tirano un attimo che si riescono a sbucciare poi si mettono a cuocere o nell’acqua o nel latte. La chiamano la minestra di castagne verdi.
 Quando ci sono le castagne secche, si mettono a bagno la sera in acqua fredda o tiepida, al mattino seguente, cambiando l’acqua, si mettono a bollire con acqua e un pizzichino di sale, e vengono fatte bollire tre ore: così si prepara la minestra di castagne secche.
 Si usava mangiare questa minestra?
Giuliana: si usava e si usa ancora, io tutti gli anni quando ho le castagne secche la prima cosa che faccio è la minestra. Noi le mangiamo, una volta però il sapore delle nostre castagne, almeno una volta bisogna sentirlo. Le castagne comunque si conservano mettendole in barattoli di vetro chiusi ermeticamente e restano così. Io sia farina che castagne secche consiglio alla gente di metterli in vasi di vetro, in cantina al riparo dalla luce, in un posto in ombra e asciutto. Una volta c’erano anche questi vasi grandi di vetro e poi noi avevamo i cassoni dove stipavano lì la farina, la pigiavano e poi la tagliavano con un coltellaccio perché diventava dura. Cinquant’anni fa questi cassoni contenevano quintali e quintali di farina perché una famiglia ci mangiava tutto l’inverno.