20/07/2006
Cucina
Lama Mocogno
Antonio Mazzieri
e Maria Domenica Grandi Maestri
Antiche ricette di montagna torta di patate, minestra “povera”
PARTE 2
Discorrendo di borlenghi
La cosa che mi colpisce è che a distanza di una vallata
ci sia questo metodo completamente diverso di farli, farli con le cottole,
farli col sole non credo che sia questa la distinzione.
Altra persona: le crescentine per esempio da qua dal fiume
non ci hanno mai messo bicarbonato, nella zona di Acquaria le facevano sempre
col bicarbonato, erano color giallo le crescentine di là.
Mazzieri: anche lì non è poi dire di qua o di là, io mi
ricordo una mia cugina che un pochino di bicarbonato lei ce lo metteva per
farle sollevare di più; certo bisognava metterne pochino, se tu ne mettevi
molto diventavano gialle.
Ma poi il bicarbonato da quando si trova? dagli inizi del ‘900
non credo che prima ci fosse o no?
Mazzieri: ma io non lo so, io parlo per quelle che sono le mie esperienze dirette.
Bisogna poi dire anche una cosa, che adesso si esaltano le crescentine di un
tempo però bisogna anche dire secondo chi le faceva perché in
certe famiglie si mangiava delle crescentine ca n’era mia tant bouni,
certo ci voleva anche della gente che le sapesse fare e le sapesse anche
cuocere bene.
Perché c’è questa differenza tra le cottole
e il sole?
Mazzieri: mah, quello non glielo saprei dire.
Perché le cottole sono specifiche per i borlenghi,
per i ciacci non si fa nient’altro con queste cottole.
Mazzieri: e basta.
Quindi si è inventato un attrezzo solo per queste
cose e a pochi chilometri di distanza degli altri si sono inventati un attrezzo
che usano solo per fare il borlengo anche lì: quando è nata questa
differenza?
Mazzieri: io so che una volta eravamo giù verso Vignola dove usano il
sole, andammo in un ristorante a mangiare e si discuteva, e mi dicevano che
nel loro borlengo giù in pianura ci mettono dentro anche delle uova.
Loro ad esempio lo fanno al mattino per mangiarlo alla sera, poi è molto
molto liquido per cui diventa come un velo che si sbriciola facilmente. Poi
per quanto riguarda il condimento, anziché usare il lardo come facciamo
noi così crudo, lo fanno un pochino sciogliere poi gli danno una spennellatina;
mi dicevano, siccome io parlavo dei borlenghi della montagna, mi dicevano appunto
che i nostri erano dei borlenghi che erano cosa da poveri. Infatti i nostri
sono un po’ più grossi e poi non c’è nessun condimento
dentro perché è acqua farina e sale. Io adesso dico la verità,
quando li faccio ci metto dentro un pochino d’olio appena appena perché vengono
più croccanti, cerco di farli molto sottili anch’io, non diventano
sottili come quelli del Sole però li faccio sottili, molte volte sono
grossi come la lama di questo coltello, non tanto di più.
Abbiamo parlato di pecore e non vi ho chiesto delle capre.
Mazzieri: c’erano anche delle capre, poi le hanno proibite, sa specialmente
dove erano? Erano nella zona di Sassostorno, da noi, perché gli abitanti
di Sassostorno secondo quella tradizione di dare un nomignolo dispregiativo
agli abitanti di ogni frazione venivano chiamati le capre perché tutti
i paesi della nostra montagna c’era un appellativo. Per esempio i porci
erano quelli di Vaglio però anche quelli di Camatta; quelli di Montecreto
gli chiamavano gli asini; quelli di Sestola li chiamavano i curnaciun e
quelli di Fanano erano poi i gavinecio, i capponi, forse glielo avranno
dato quelli di Sestola per l’antagonismo che esisteva a quei tempi; quelli
di Pieve i spurtlai.
Maria Domenica: quelli di Santandrea i brunsi, cioè i bruciati.
Mazzieri: io ho avuto sottomano diversi documenti dove si parlava molte volte
di gente, il cavraro oppure del feudatario di Valdalbero da cui Sassostorno
dipendeva che aveva fatto delle gride dove si condannavano questi caprai e
le capre sono rimaste a Sassostorno, ancora ce n’era qualcuna ancora
prima della seconda guerra mondiale. A Sassostorno erano zone un po’ impervie,
c’erano molti sassi, molti arbusti e lì per le capre era un ambiente
favorevole.
E facevano i formaggi caprini.
Mazzieri: sì, però c’era anche questo; molte volte anche
i pastori stessi avevano una capra in mezzo al loro gregge, molte volte che
però legavano siccome rovinavano molti boschi le capre erano proibite
a meno che uno non usasse particolare attenzione; quelli di Sassostorno li
chiamavano i cavrari, parlo del ‘400-‘500.
E la frutta?
Mazzieri: non è che avessimo della gran frutta qui, a Olina sì che
ne avevano, nella zona bassa.
Altra persona: c’erano quelle peschine che venivano nelle vigne…
Che pesche erano?
Altra persona: erano delle pesche grosse così, piccoline, saporitissime.
Invece mele autunnali?
Altra persona: mah, ce n’erano.
Mazzieri: mele, pere, nocciole …….
ogni agricoltore aveva la sua pianta di mele o di pere …noci per fare
poi il nocino, la noce poi era anche un companatico.
Altra persona: i funghi allora non li consideravano niente, infatti dicevano “fe
noz cui funz” perché uno che voleva fare nozze a buon mercato i
givan l’a fat noz cui funz.
Maria Domenica: con niente.
Che funghi erano, sempre i soliti?
Altra persona: sempre i soliti…era lui l’esperto, andava fuori
di casa e li trovava subito.
Mazzieri: ah sì, una volta is truevan da ver, adesso ormai
non si trova più niente.
E i frutti di bosco?
Mazzieri: i mirtilli una volta non li andava a raccogliere nessuno …e
ce n’erano tanti di mirtilli e di fragole.
Maria Domenica: e lamponi.
Come mai non li raccoglievano? Non si sapeva, non si conoscevano?
Mazzieri: so che quando ero bambino io, il mirtillo cresce un po’ più in
alto nella zona del faggio, e più in alto si va meglio è, ma
ad esempio nella zona del Cantiere dalle piane andando in sù ce n’erano
dei mirtilli che ce n’erano, lassù verso il Cantiere erano grossi
per la miseria, allora nessuno li raccoglieva, li raccoglievano così per
mangiare due mirtilli, qualcuno andava a fragole nei periodi estivi per andare
poi a venderle quando c’erano i villeggianti così come coi funghi.
Anche i funghi nessuno li raccoglieva, li raccoglievano un pochino d’estate
quando arrivavano qualche forestiero, qualche villeggiante che allora anche
nelle osterie qualcuno chiedeva dei funghi. Non era come adesso, si è tutto
sviluppato subito dopo…questa corsa ai funghi, ad esempio, c’è stato
anche un periodo che le castagne nell’immediato secondo dopoguerra le
castagne non avevano più alcun valore: hanno riacquistato valore quando
sono venuti sù dalla pianura, la gente ha incominciato a venire sù dalla
pianura, hanno dato valore al fungo e specialmente ai marroni che sono andati
a rubarli anche a Italo e che Italo stia zitto altrimenti le buscava anche
lui. È successo anche questo fenomeno. C’è stato un periodo
che le castagne non le raccoglieva più nessuno.
Altra persona: ma anche adesso le castagne non le raccoglie più nessuno.
Mazzieri: ma sai, adesso un pochino viene sù gente della pianura,
fanno la festa della castagna, un pochino le vanno a raccogliere, invece prima
caro mio la castagna era il pane dei montanari, ci tenevano pulito sotto questi
castagneti che bisognava vedere, così si potevano raccogliere bene queste
castagne, non ne scappava una. Perché poi una volta raccolte permettevano
ai più poveri di andare a spigolare così come si spigolava il
grano, si andava a spigolare anche le castagne perché rappresentavano
veramente un cibo prezioso per quei tempi. Il rapporto era da tre a una, da
tre bigonci di castagne fresche se ne ricavava uno.
Altra persona: no, due al proprietario e uno al raccoglitore.
Mazzieri: sono diverse le interpretazioni, due al proprietario e uno al mezzadro
perché dicevano che le castagne non erano come il grano che comportava
fatica, bisognava solo raccoglierle, mentre invece anche quelle comportavano
lavoro lo stesso, quindi quando dovevano dividere coi feudatari con questi esosi
padroni, al contadino una e al padrone due.