20/07/2006
Zoboli Marino
Nonantola
Marino Zoboli
Fornaio
Il pane, il lievito-madre, le forme, la cottura
PARTE 2
La sua voglia ancora di fare il pane vuol dire nostalgia dei vecchi
tempi?
Marino: eh... vengo qua... chi zovén chè non sanno mica
la nostra età, noi siamo nati che a-n gh ra ménga tanta abundànza
come a gh è adès, adès i gh han tòtt, ci hanno
tutto e nuetèr a gh ìven poch ma a zerchèven sèimper éd
migliorèr, ai tempi di allora erano così.
Quindi quanti tipi di pane c’erano?
Marino: quando ho cominciato io solo tre tipi, poi dopo abbiamo cominciato a
fare un po’ di pane francese.
Ha lavorato sempre qua lei, al forno Baracca?
Marino: ho cominciato qua che avevo dieci anni, poi sono andato a lavorare anche
in un altro posto, poi sono stato via a militare otto anni. La nostra classe
ha fatto otto anni tra la guerra e una cosa e l’altra, fatalità sono
arrivato qua che il mio maestro si ritirava.
Come si chiamava il suo maestro?
Marino: si chiamava Guido. Mi ha rinunciato tutto, c’era ancora il forno
a legna, era ancora tutto come quando ero un bambino, quando ero un ragazzino.
Il mio maestro è stato con me un po’ di anni poi si è ritirato
perché è diventato vecchio anche lui, poi dopo sono rimasto io
con qualche dipendente e ho tirato avanti sempre il forno.
Quanti anni ci sono voluti per imparare, per diventare fornaio?
Marino: dipende dalla volontà: io avevo grande volontà, a 15-16
anni mi sentivo già abile, un fornaio fatto, finito. Avevo la volontà perché era
un mestiere che cominciavo a costruire un impasto e andavo alla fine della cottura,
quando veniva bene era una grande soddisfazione. E sono ancora qui. Quando sono
venuto a casa da prigioniero non si trovavano dei forni perché c’era
disoccupazione. Dopo avevo trovato da andare a lavorare in città a Modena,
anche là c’era disoccupazione e non si poteva andarci; ho dovuto
rimanere in paese.
È sempre rimasto qua.
Marino: sempre rimasto qua. Sono venuto a lavorare qua dentro a fare il pane.
Quando ha fatto l’esperienza della guerra in quanti eravate
a fare il pane?
Marino: quando ero là prigioniero? Eravamo in duecento panettieri, c’era
quattro squadre da 50 panettieri, si faceva il turno.
Quante persone c’erano da sfamare?
Marino: ah caro mio, eravamo in un campo di concentramento e c’erano 30-40
000 prigionieri, poi hanno cominciato ad arrivare dei tedeschi con gli inglesi,
ce n’erano dei prigionieri... e tutto a mano, eravamo sotto a dei tendoni
con un caldo sui 40-45 gradi, c’erano dei forni a legna... Quando è venuta
la richiesta di panettieri, un po’ di fame c’era, tutti volevano
fare i panettieri, poi siamo andati sotto a una commissione. Volevano capire
un po’ chi era pratico. Prendevano quelli che capivano, che erano un po’ del
mestiere. Avevamo della farina buona perché veniva dall’Australia,
veniva la farina dal Canadà, che farine... c’erano delle farine
che erano uno spettacolo: bianche, con una forza, bastava un pezzettino di pasta
che saltava fuori una pagnotta...forse, non so, ci hanno dei terreni poco sfruttati,
il frumento rendeva molto, ah delle belle farine...
C’erano altri panettieri italiani con lei?
Marino: ah eravamo tutti italiani prigionieri, sotto la guida di un inglese.
Eravamo sotto gli inglesi, eravamo tutti italiani, eravamo in duecento.