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01/08/2006

Acetaia


Documento senza titolo

Castelvetro
Ernesto Stanzani
Consorzio del Balsamela
Il Balsamela: aceto balsamico di mele Saba e neve – Il friggione  

PARTE 2

Il balsamela quanto deve invecchiare?
Stanzani: il balsamela per essere un po’ affinato deve avere almeno 5-6 anni, comincia così a diventare già qualcosa di discreto. Teniamo sempre presente che per acidificare questo succo di mela ci vuole un tantino più tempo che se uno dovesse fare dell’aceto balsamico con del mosto di trebbiamo, perché la mela ha una acidità un pochino più povera che fa un po’ più fatica a partire, perciò minimo 5-6 anni.
Quali caratteristiche organolettiche presenta?
Stanzani: ha le caratteristiche di un prodotto concentrato, innanzitutto va bene come rinfrescante, uno per esempio ha mal di gola, un mezzo bicchiere d’acqua con un paio di cucchiai da caffè e si beve o si fa un gargarismo, perchè disinfetta come tutti gli aceti. Noi (italiani) siamo i più grandi produttori di aceti, abbiamo testimonianze storiche di aceto ritrovato in un’anfora egizia circa 4000 anni fa, con l’analisi del radiocarbonio. L’aceto è un prodotto antichissimo: si fa con le banane, alla noce di cocco con tutti quei sughi di prodotti della terra che hanno in qualche modo la caratteristica di poter attecchire con gli aceti batteri quando il sugo inacidisce.
Ci diceva che ha proprietà disinfettanti, e poi?
Stanzani: disinfettanti, tonificanti, tempo fa veniva usato come toilette da signora, per prendere via gli odori, perché ha un profumo intenso; e soprattutto per la digestione: un cucchiaio di minestra o da caffè di aceto di mela è un toccasana, uno digerisce anche i sassi.
Rispetto al balsamico tradizione, ci può dire quali sono le differenze?
Stanzani: il nostro tradizionale se andiamo a fare un discorso del nostro maestro lo storico, che era Agazzotti, il tradizionale è fatto esclusivamente con mosti d’uva oltretutto il trebbiano e anche le uve nere nostre tipo lambrusco, l’ancellotta, e anche altre uve, ma soprattutto il trebbiano, perché ha quella caratteristica di acidità e di zuccheri che è molto equilibrata per fare questo prodotto. Come ho detto prima l’aceto si fa con tante cose e questo rispetto al trebbiano era un prodotto più povero, perché veniva da una materia molto più povera, e per quello anche meno noto anche perché era una cosa che si faceva in famiglia, per avere qualcosa da insaporire i cibi.
Tutte le famiglie qui facevano l’aceto di mele?
Stanzani: non lo so se tutte le famiglie facevano l’aceto di mele, noi qui ne abbiamo una ventina di batterie familiari, in questa zona; la nostra associazione, la Congrega del balsamela, ha censito, tramite i suoi soci, una ventina di batterie più o meno grandi, con più o meno barili.
Quale era l’uso in cucina di questo aceto di mela?
Stanzani: se ne faceva un uso svariato in cucina, ma soprattutto si usava per condire l’insalata perché l’olio era una rarità. Allora l’insalata molte volte veniva condita con un battuto di lardo sciolto e, per insaporirla, si metteva un goccio di questo aceto. Oppure con l’uovo fritto che si faceva con un po’ di strutto perché il burro, come ho detto prima, non si usava quasi mai o in rare occasioni. Oppure veniva usato con un mangiare che si usava molto spesso nei momenti della cena d’estate, la gente che veniva a casa dai campi a mangiare qualcosa di sostanzioso e mangiava un piatto che era molto alla buona, un piatto che si faceva con quello che dava l’orto: c’era la cipolla o il cipollotto, il pomodoro, c’era anche il peperone, un piatto che si chiama al frizon, poi c’è il frizon alla bolognese, il frizon alla modenese perché come sapete noi abbiamo un sacco di campanili, perciò ogni campanile aveva la sua ricetta. E per questa che vi racconto io, vede queste tre ingredienti, si adoperava generalmente una fetta di pancetta tagliata a dadini, si lasciava soffriggere appena un pochettino poi dopo si mettevano dentro le verdure in base alla loro consistenza di cottura, partendo dalla cipolla, il peperone e per ultimo il pomodoro. Si lasciava cuocere in abbondante acqua perché il grande companatico dei nostri avi ricordatevi sempre che era fare dei grandi tegami con molta acqua dentro perché si intingeva il pane, il vero pasto era il pane. Lo si lasciava a bollire per tre quarti d’ora, ecco pronto che c’era questo sugo abbastanza consistente che aveva la caratteristica di avere il grasso di maiale che si era sciolto, il sapore di tutte le verdure che si erano amalgamate, ma nello stesso tempo il magro della pancetta serviva per avere quel tanto di un po’ di carne.
Sopra magari ci andava un po’ di aceto di mele?
Stanzani: sopra sempre. Sempre crudo. Di solito la massaia che voleva risparmiare ce lo metteva lei, non metteva mai la bottiglia sulla tavola perché altrimenti spariva. Allora, appena cotto, metteva sopra questo aceto di mele, dava una mescolata e il piatto era pronto da servire.
Dove si teneva questa bottiglia di aceto?
Stanzani: la batteria, i legni erano tre-quattro-cinque. In inverno generalmente a gennaio quando andavano a guardare le botti a che livello erano, si chiama il così detto rincalzo, si partiva naturalmente dalla più piccola dove si estraeva un po’ di aceto, quell’aceto che si adoperava durante l’anno, e poi dopo si metteva a livello, diciamo così, alla consistenza giusta tutte le batterie. Poi alla fine si aggiungeva quel mosto cotto l’anno prima, acidificato che vi dicevo all’ultima botte e da lì la primavera, il tempo e la natura facevano il resto.
In tavola l’aceto come si portava?
Stanzani: c’era un contenitore grande in cui veniva preso fuori l’aceto soltanto in quel momento per tutto l’anno. Non è che si andava alla botte ogni qualvolta si aveva bisogno di aceto. Quando facevano i rincalzi prendevano fuori quella quantità che si pensava occorresse per tutto l’anno, lo si teneva sempre dove si aveva l’acetaia, fermo, poi la massaia aveva la bottiglietta ogni qual volta era vuota andava sù con l’imbuto a riempirla e quella se la teneva dentro la dispensa. Un’altra ricetta era quella di adoperare per esempio il balsamela di inverno con la neve, un bicchiere di neve con due cucchiai di aceto balsamico, oppure si faceva anche con un altro prodotto col mosto, la saba ed era la granita di noi ragazzi perché noi la granita la mangiavamo d’inverno, non d’estate perché c’era la neve per farla.
Ernesto, il balsamela si produceva solo per uso della famiglia o si vendeva?
Stanzani: questo prodotto è nato come prodotto famigliare, e poi il nome di balsamela è venuto fuori dal momento in cui abbiamo pensato di fare uno statuto e un regolamento per disciplinare un po’ il tutto. Balsamela è un nome di fantasia che nasce proprio per dare un nome a questo prodotto che non è come l’altro prodotto che è in commercio.
Quindi il balsamela attualmente non si trova in alcun negozio?
Stanzani: no, il balsamela è soltanto un prodotto che hanno gli associati e basta, poi in circolazione ci saranno altri aceti fatto con sugo di mele ma non è sicuramente questo qua.
Voi produttori quindi avete deciso di unirvi.
Stanzani: sì, la cosa è nata molto semplicemente come nascono tante cose. Una sera ci siamo trovati in un agriturismo dove c’è un nostro amico, ci siamo messi a chiacchierare di queste cose e fra un bicchiere e l’altro ci siamo detti “perché non costituiamo una cosa così, facciamo una associazione?”. Sembrava uno scherzo. Poi ci siamo messi a parlare più seriamente e un anno e mezzo fa abbiamo pensato di dare corpo a questa idea.
Quali sono le finalità di questa associazione?
Stanzani: la prima finalità di questa associazione, e per ora anche l’unica, è quella di recuperare un prodotto del nostro territorio, sicuramente localizzato, magari con qualche frangia nei comuni limitrofi perché le persone si sono spostate e hanno portato questa tradizione.
Per entrare in questa Associazione quali sono i requisiti richiesti?
Stanzani: la prima cosa che abbiamo fatto, è un disciplinare, poi uno stato di fatto degli associati, quelli che erano proprietari di balsamela, abbiamo fatto un censimento delle batterie, della capacità dei legni che sono stati adoperati.
Quanti sono attualmente i produttori di balsamela?
Stanzani: se ricordo bene 17-18, quelli che sono dentro alla nostra associazione; non so se ce ne sono degli altri, qua nel comune di Castelvetro abbiamo appurato che era una cosa comune che le famiglie, almeno le più abbienti, i produttori, i contadini, i proprietari avessero queste batterie.