19/07/2006
Agricoltura
Marzaglia
Giovanni e Adalgisa Sghedoni
Agricoltori
Varietà di frumento – La farina – Vite, vino e aceto – Razze
animali – Vite maritata all’olmo – Canti contadini – Ricette
PARTE 2
Cosa si mangiava la mattina?
Giovanni: alora gh’era an bel ciston ad foie, erano dal sior!
Adalgisa: allora c’erano gli olmi. Ce n’è uno là in
giardino… perchè non ce ne sono più, allora questi
giorni si andava a raccogliere le foglie sugli olmi.
Giovanni: con un bel cesto di foglie la mucca era una signora, allora si faceva
tre buone ore poi dopo arrivava un bel cesto pieno di gnocco.
Adalgisa: per quelli che tiravano avanti…
Giovanni: poi si faceva un’altra orettina, un’ora e mezzo
e poi si veniva a casa.
Giovanni, ci parla un po’ della sua vite, che qualità di
uva c’erano?
Adalgisa: allora c’erano dei tronchi così che adesso i nostri sono
piccoli.
Giovanni: base, l’altezza era due metri e mezzo, e lì ci voleva
la scala a fare tutto, sia la potatura, sia a montarla, sia a raccoglierla che
oggi non la potresti neanche prendere se te la regalano. Però allora c’erano
anche le qualità più adatte, ce n’erano tante, comunque
la qualità adatta era la graspa rossa, la sgaveta e il salamein, quelle
che facevano commercio nel nostro posto, di là dal Secchia, per esempio,
era l’ancelotta. Avevamo anche poco bianco noi allora, perché il
bianco era giù nel modenese, adesso ne abbiamo anc trop, perché il
bianco non va più.
Com’era il sistema di coltivazione dell’uva?
Giovanni: la nostra sistemazione è chiamata la bilancia.
Adalgisa: no... allora.
Giovanni: alura c’era un’intelaiatura da una pianta all’altra
che stava su attaccata a questa.
Adalgisa: c’era l’olmo… c’erano dei tronchi come quello
lì. La vite allora andava su di loro, lo legavano con un salice vicino
al tronco.
Giovanni: anche sei o sette ogni piede, tre tre, tre e tre.
Adalgisa: in una pianta quanti cesti di uva ci veniva?
Giovanni: mah… a nan feva mia d mondi eh…
Adalgisa: eh, dico bene…
Giovanni: perché poi la trattavamo peggio di adesso, perché allora
la vigna si potava un anno sì e un anno no, quando era il secondo anno
non era bella, la chiamavamo l’uva in frasca e non era bella quest’uva,
invece adesso che facciamo la potatura tutti gli anni è un’uva più bella.
Si facevano dei trattamenti all’uva?
Giovanni: sempre verde rame e calce, allora era la parola d’ordine, la
nostra generazione ha sempre pigiato una parte di uva, si diceva sempre che si
comperava il verde rame quando si vendeva il vino. Il vino andava venduto circa
per Natale, consegnavamo il vino i primi dell’anno.
Dove si portava il vino?
Giovanni: noi siamo andati 17-18 anni prima di guerra con uno di Milano, e poi
dopo lui ha smesso e siamo andati con uno di Cremona. Prima ancora andavano con
uno di Correggio. Dopo è venuto su che ci voleva il campione a caricare
il vino e quello là smise, allora venne un boom e arrivarono i privati,
allora noi ci siamo messi a darlo tutto ai privati.
Prima quindi si dava a una cantina?
Adalgisa: no, era un negoziante, loro venivano qui, prendevano il vino in botte,
caricavano le botti sul camion poi loro vendevano le botti.
Che vino si vendeva?
Adalgisa: sempre salamino, sgavetta…
Giovanni: allora non c’era poi mica dei nomi pregiati come ci sono oggi,
il proverbio al dis: “par furment e vein mistura”.
Adalgisa: lui farebbe così, mischierebbe tutto.
Giovanni: è vino mischiato per trovare il vino buono.
Adalgisa: lui fa anche il Sorbara ma questo non è posto.
Giovanni: si adesso faccio un po’ di Sorbara ma non è il suo posto.
Adalgisa: perché ogni qualità ha la sua zona.
Con l’uva si faceva il vino e anche l’aceto?
Adalgisa: sì.
Giovanni: ma l’aceto viene fatto in altro momento perché l’aceto
lo puoi fare anche con dei vini che ti rimangono, l’aceto normale, o una
bottiglia che ti può scappare la metti in aceto.
Adalgisa: sua madre aveva una damigiana bella larga, e quando avanzava una mezza
bottiglia di vino in casa, allora lo metteva dentro questa damigiana e veniva
buono perché tutta questa roba mischiata …
Giovanni: adesso è saltato fuori questo bollito per fare l’aceto
ma allora l’aceto si faceva normale alora al gniva menga al boion…
E gli scarti dell’uva?
Giovanni: andavano alle distillerie. La graspa va buttata, ma questo impasto
la buccia… il torchiato va alla distilleria.
Quindi venivano a prenderle? Aldagisa: anche adesso.
Giovanni: allora potevamo anche buttare, ma adesso non la possiamo mica buttare.
Non possiamo mica dire che abbiamo fatto il vino con l’uva se non abbiamo
consegnato un tot di bucce. Adesso siamo obbligati a consegnarle, allora potevamo
anche buttarle.
Adalgisa: nelle cantine con i gramustein facevano l’olio.
Giovanni: e poi dopo con lo scarto del gramustein che fevan l’olio
i fevan la fugasa.
Adalgisa: da bruciare.
Cos’era esattamente?
Giovanni: prima c’era la forma, adesso invece c’è il panello.
La forma allora era un diametro quasi di 40 alta 3 cm.
Adalgisa: allora non c’era il riscaldamento nelle case. Quando i miei figli
andavano a scuola accendevo la stufa, mettevo questa forma che bruciava e diventava
bella rossa, mettevo le braci a letto col “prete” e alla sera andavamo
a letto coi letti belli caldi.
Giovanni: noi mettiamo ancora il bracere a letto…
Adalgisa: si perché a lui piace allora glielo metto ancora, adesso
abbiamo il riscaldamento e non avremmo bisogno, allora non c’era niente.
Che maiali si allevavano una volta?
Giovanni: ma, io ricordo il bianco che è un maiale reggiano.
Adalgisa: i bianc i n’è mia quei come ades?
Giovanni: ades i è ibridi.
Erano quelli nostrani?
Giovanni: quelli nostrani.
Adalgisa: siccome io vengo dal reggiano abbiamo sempre avuto due scrofe.
Giovanni: tutti avevano due scrofe.
Adalgisa: i bianchi e neri noi non li abbiamo mai avuti perché diceva
mio padre che sono quelli modenesi i maiali bianchi e neri, mentre noi avevamo
una razza tutta bianca.
Giovanni: allora io ricordo che abbiamo ucciso due maiali che la rezdora
l’era tant cuntenta perché avevano un bel grasso…
Adalgisa: il lardo.
Giovanni: un lardo alto… ag ne sta utantasie chilo.
Adalgisa: invece nei reggiani c’era meno lardo, noi abbiamo sempre avuto
quelle due-tre scrofe di famiglia, il modenese non l’abbiamo mai preso
per questo motivo perché aveva più lardo del reggiano.
Giovanni: adesso c’è un ibrido con l’inglese. Quello di adesso è tutta
una altra roba, prova ad avere un porc di due quintali con un lardino
alto due centimetri. Invece allora potevamo avere un maiale di 180 chili con
un lardo così…
In campagna una volta si cantava? Lei ricorda qualche canto contadino?
Giovanni: il canto era una vergogna perché la corale di Modena vinse il
premio italiano con la canzone “O vilan par so chi bo” e
non la cantano mai.
Adalgisa: io l’ho sentita dalla corale ma in campagna no.
Giovanni: e non la cantano mai. C’era la gente che veniva a trebbiare,
tanti agricoltori non volevano questa trebbiatura il sabato. Noi li lasciavamo
venire, si mettevano lì dopo cena questa gente dopo aver lavorato tutto
il giorno a cantare queste cantate, praticamente cantavano “o vilan
par so chi bo”, i canteva la campagnola, stavano lì fino alle
3 di notte, e poi dopo andavano a dormire nella paglia.
Ce ne canta una lei Adalgisa?
Adalgisa: non la so mica, a mio padre piaceva cantare, allora eravamo in tre
fratelli, ci piaceva a tutti “Oh campagnola bella tu sei la sola stella
negli tuoi c’è il sole, c’è il profumo delle viole
delle valli tutte in fior”
Giovanni: eh… ma i canteva tota not!
Adalgisa: mentre noi raccoglievamo le ciliegie che si era per aria, avevamo anche
degli operai a lavorare, era tutta gente giovane, poi là sopra sembrava
un coro ma non mi ricordo neanche più perché a perl anc da
cinquant an fa.
Giovanni: quand i cantevan lo spazzacamino. Per cantarlo bene ci voleva
anche la voce della donna, quando lei dice “mi dispiace giovanetto
perché il mio camin l’è stretto” e la voce
maschile “non dubiti signora so fare il mio dovere su e giù per
il camin”.
Adalgisa: sì, insomma, c’erano delle canzoni adatte per la campagna.
Giovanni: quand i canteva la montanara…