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28/08/2006

Agricoltura


Documento senza titolo

Montalto, Frazione di Montese
Roberto Marchetti e la moglie Dina
Agricoltore
Varietà e tecniche di coltura  

PARTE 3

 Roberto, prima ci ha detto che oltre alle patate qui si coltivava anche il grano, che qualità di grano c’era una volta?
Roberto: quello che ho conosciuto io l’aveva prodotto un contadino qua, allora il grano andava via, con la neve ce n’erano pochi di grani che resistevano, perché venivano due, tre metri di neve. Allora c’era un contadino che aveva seminato del grano e quando è stato a primavera che il grano ha messo fuori la spiga era diverso da quello che aveva seminato, allora quella spiga lì l’ha tenuta, l’anno dopo l’ha seminato, l’anno dopo l’anno seminato ancora, allora è saltato fuori questo grano che in dialetto lo chiamavano il cadiël, era il ‘96 perché forse era stato fatto nel ‘96.
 1896?
Roberto: sì nel 1896 è saltato fuori questo grano, allora ha cominciato anche mio padre a seminarlo.
 Come è che si chiamava?
Roberto: il ‘96, ma noi in dialetto dicevamo cadiël, Casa Giulio perché l’avevano prodotto là questo grano, quello lì resisteva, non andava via come gli altri, prima gli toccava seminare la scandel , la seminavano in marzo perché dopo la neve ci rimaneva, se no non se ne salvava mica, ci rimaneva 2-3 metri di neve, nevicava in novembre e andava via ad aprile. Un altro tipo di grano il vergil – il Virgilio.
 Come era questo grano?
Roberto: era un grano senza resca, era un grano buono, faceva molta paglia, era molto alto e per questo era solito andare giù quando facevano gli acquazzoni, invece dopo hanno cominciato a seminare il mentana che era piccolo e stava più in piedi, gli dava anche un po’ meno noia il vento perché quando venivano le burrasche qui sa cosa facevano? Andavano con una scala in due e lo buttavano giù, lo buttavano per terra.
Dina: perché rimanesse dentro la spiga.
 Roberto: perché in terra il vento non lo rovinava come quando era in piedi, poi dopo voleva preso tutto sù col falcetto… era una fatica da cani, l’ho buttato giù anch’io quello, mi ricordo. C’era poi il san pastore, anche questo piccolo e quindi era meno facile che andasse giù, era un grano buono eh.
 Buono per fare cosa?
Roberto: per fare il pane. Adesso ci sono tante altre razze… sa quanti anni sono che non semino il grano? Perché a noi non conveniva più seminare il grano, ci conveniva lasciare la medica o le patate, il grano nel dopoguerra era caro, adesso sa cosa prendono? 12 euro un quintale di grano.
Dina: poi il nostro terreno è migliore per le patate.
Roberto: noi siamo proprio nella zona tipica delle patate.
 Com’è il terreno adatto alla coltivazione delle patate?
Roberto: vuole una terra dolce, infatti lei mangia le patate, sono saporite, se lei prende delle patate di certi terreni per esempio diciamo Rosola non sono buone perché fanno il sapone.
 Cosa vuol dire?
Roberto: diventano dure da mangiare.
 Il ‘96 da quanto tempo si è smesso di coltivare?
Roberto: da molto tempo, perché dopo è cambiato anche il clima, non viene più quella neve che veniva una volta, è cominciato a nevicare sempre di meno, c’è degli anni che è nevicato due, tre volte 10-12 centimetri, dopo qualche giorno è andata via perché è diventato più caldo, il freddo c’è anche qua ma nevica meno.
 Il mais Roberto si coltivava in questa zona?
Roberto: il mais tempi indietro sì, adesso no, lo mettevamo anche noi il granoturco, poi lo portavamo a macinare al mulino.
 Che qualità di mais mettevate qua sù?
Roberto: io non sono tanto pratico ma adoperavamo …
Dina: al cinquantin.
Roberto: al cinquantin, il sumnem, ma non faceva tanto bene, adoperavano un altro tipo di granoturco che non mi ricordo tanto bene. Io poi non ero tanto grande quando qui seminavano il granoturco, nel ’40 mio padre aveva messo un contadino in un altro piccolo podere, ne abbiamo portati a casa 13-14 quintali e metà poi l’aveva tenuto lui; quando è arrivata la guerra è arrivata una cannonata, è andata dentro nella stanza dove c’era il frumentone, è andato tutto in mezzo alle macerie... niente di buono.
Dina: è andato alle galline.
 Roberto, voi qui eravate proprietari terrieri?
Roberto: mio padre aveva due fondini non tanto grandi, aveva questo poi quell’altro fondo lì, erano cinque ettari di terreno.
 L’altro fondo è sempre qui vicino?
Roberto: sì, qui vicino.
 Li lavoravate solo voi o avevate anche dei contadini?
Roberto: c’è stato anche il contadino, l’abbiamo lavorato anche io e mio fratello quando siamo stati senza contadino, un anno o due.
 Il mezzadro?
Roberto: sì, il mezzadro, poi dopo l’abbiamo affittato perché i contadini non esistevano quasi più, l’affittavamo per un giro di cappello e via.
 All’epoca, di mezzadri ce n’erano da queste parti?
Roberto: ce n’erano tanti, i fondi più belli erano tutti in una tenuta di un signore che si chiamava Garagnani, era un signore, aveva un mucchio di terreni anche giù in pianura, allora erano tutti contadini che si facevano poi dare le uova, i capponi, le galline, si facevano dare quella roba lì.
 Dina: all’inizio una parte al contadino e due parti al proprietario, prima della guerra.
 Roberto: a dig gnanca me che era giusto.
Dina: passata la guerra è venuto il lodo De Gasperi.
 Roberto: 53 a chi lavorava e 47 al padrone, poi via via siamo arrivati al 65.
 Dina: poi la mezzadria è finita.
 Roberto: hanno fatto anche bene, così non campava né il contadino né il padrone.
 Qualche bestia ce l’aveva?
Roberto: sì, avevamo le mucche, noi ne avevamo solo 3-4, dopo poi col tempo ne abbiamo messe insieme di più.
 Le prime razze che avete avuto?
Roberto: la nostrana, la garfagnina.
 Quelle grigie?
Roberto: erano bestie forti, sa.
 Dina: facevano il latte buono.
 Roberto: e da lavorare erano brave, invece adesso ci sono delle mucche che non durano mica, sa.
 La modenese di qua è passata?
Roberto: sì, ma da noi non tante, dopo noi abbiamo avute le brune alpine e dopo le olandesi che facevano tanto latte. Era tempo in cui le mucche rendevano, il latte costava 1000 lire, quel caseificio lì l’abbiamo fatto con la cooperativa e allora si portava lì, c’è stato un anno che abbiamo preso mille lire.
 Che anno era?
Roberto: adesso non mi ricordo bene, penso nel ‘73-‘74, pensi mille lire allora… adesso prendono settecento lire perché questa cooperativa è l’unica che ha fatto abbastanza bene eh… ma li costa l’acqua minerale quei soldì… è una vergogna. Eravamo in 75 soci, pensi un po’, adesso ci sono in 6-7, tutti stalloni, il piccolo è sparito completamente.
 Qualche maiale l’avevate?
Roberto: tutti avevano il maiale.
 Che razze avevate di maiale?
Roberto: beh io non me ne intendo tanto di razze, ma avevano quel maiale che viene dall’Inghilterra, quello bianco, era una razza buona, l’abbiamo tenuto anche noi, dopo quando ha incominciato a farci male la roba l’abbiamo abbandonato.
 Anche le pecore?
Roberto: sì, allora c’erano anche le pecore, noi le abbiamo tenute un po’.
 Avevate dei greggi grossi?
Roberto: no.
 Dina: noi ne avevamo 15 o 16 di pecore, dopo la guerra facevamo i golfini, andavamo a ballare col golfino della lana di pecora, i maglioncini, i berretti, le calze, si filava e si faceva tutto con la lana di pecora.
 E il latte?
Dina: il latte di pecora si mischiava con quello di mucca e si faceva il formaggio misto.
 Roberto, torniamo alla rotazione in campagna, ha detto prima che si metteva la patata…
Roberto: il grano e la medica.
 Dopo la medica si riprendeva il ciclo?
Roberto: si rompeva il pezzo dove c’era stata la medica prima, perché era già finito e non rendeva più, e poi si seminava la nuova medica.
 Quindi la medica quanti anni rimaneva su quel terreno?
Roberto: quattro, cinque anni, adesso non durano più, allora invece durava quegli anni.
 Per quale motivo si lasciava così tanto la medica su un terreno? Cosa portava la medica?
Roberto: finché rendeva si evitavano delle spese, perché la medica bisognava comperare il seme, bisognava arare la terra, allora finché rendeva si lasciava, poi dopo si cambiava appezzamento e si metteva la nuova da una altra parte, dove si era messo le patate tante volte invece di mettere il grano si metteva la medica perché c’era già la terra pronta.
 Qui si produce vino?
Roberto: no, andavamo a comperare l’uva, poi si portava a casa e facevamo noi il vino.
 Dove andavate a comprarla?
Roberto: andavamo a Castelvetro, dalla parte dei Colli Bolognesi, là è migliore il vino, c’è più alcool.
 Cosa compravate? Il lambrusco, a Castelvetro grasparossa…
Roberto: il trebbiano, sangiovese.
 A Bologna invece?
Roberto: a Bologna c’era il pignoletto, l’albana, il sauvignon che era un’uva buonissima.
 Ci vuole spiegare a cosa servivano questi attrezzi?
Roberto: questa è la pila dove si mettevano le castagne una volta tolte dal seccatoio, poi questa la mettevano qui dentro e la facevano andare sù è giù nelle castagne secche. Se uno era dritto adoperava la gamba dritta, se era mancino la girava dall’altra parte e si faceva questo movimento sù e giù. Poi quando erano pulite dalla buccia le vuotavano in terra, poi con quella lì, la vassora, ci andavano sotto.
 Facendo così le castagne si alzano, allora quando tornano giù con l’aria andava fuori la polvere, la sansa , sempre con questo movimento.
 Era un lavoro che facevano le donne?
Roberto: no, gli uomini perché era un lavoro pesante, poi bisognava stare attenti perché se uno sudava, tante volte prendevano anche la bronchite perché quella roba lì si respirava, tanti si mettevano un fazzoletto contro la bocca e contro il naso perché era fastidiosa questa polvere.
 Poi le castagne dovevano essere pulite ulteriormente?
Roberto: bisognava metterle sul tavolo e passarle una ad una, quella che c’era un beghino veniva scartata, quella buona si vendeva e andavano poi come castagne cotte, e quell’altra che si spezzavano… perché con questo attrezzo qui si rompevano, guardi che punte che ha…
Ha un nome questo attrezzo?
Dina: la stanga.
 Con quelle rotte quindi cosa si faceva?
Roberto: quelle rotte si tenevano tutte e poi si andavano a macinare.
 Dina: erano i mnozal, i frammenti.
 Roberto: e la farina era buona come quella sana.
 Dina: poi c’erano i guson, che erano castagne che rimanevano col guscio.
 Roberto: che non si pulivano.
 Dina: e si faceva un cesto a parte pieno di queste castagne con il guscio.
 Roberto: era roba che i maiali mangiavano volentieri.
 Dina: ma Roberto i guson non si macinavano?
Roberto: no, si bollivano per i maiali.