25/07/2006
Serafini Germano, Battilani Elisabetta
Recovato, Frazione di Nonantola
Germano Serafini e Elisabetta Battilani
Agricoltore e rezdora
La coltivazione della canapa
PARTE 1
Germano, quanti anni sono che vivete su questo fondo?
Germano: in questo fondo dal 1929.
È sempre appartenuto alla vostra famiglia?
Germano: sì.
Elisabetta: però non eravamo solo noi, eravamo con i genitori.
Germano: è stato acquistato da mio nonno. Mio nonno aveva tre figli,
abitava a Panzano, qua poco distante. Lui era una persona molta economica e ha
cercato di acquistare un fondo per ogni figlio: di fatti il mio papà era
il terzo figlio ed è stato il terzo che ha avuto il fondo, è stato
del 1929, era un fondino piccolo, diciamo un ettaro, un ettaro sono 10.000 metri
perché in vendita qua in zona c’era solo quel fondino lì.
Dopo in famiglia eravamo io e lei, ci siamo sposati nel 1950. Mio fratello più vecchio
si era sposato del ’45, abbiamo lavorato assieme. Qua c’era una grande
azienda che ha messo in vendita un po’ di terreno, allora mio papà d’accordo
con noi figli ha detto: “se stiamo uniti acquistiamo un po‘ di terreno”.
Abbiamo così allargato il nostro fondo, da un ettaro sono diventati 9.
Poi dopo assieme io e lei, mio fratello e mia cognata abbiamo lavorato cinque,
sei anni, per poter guadagnare qualcosa in più avevamo fatto una specie
di vivaio da vendere le piantine, le viti, gli olmi perché dopo la guerra
c’era stato il lodo De Gasperi per potere dare sviluppo all’agricoltura.
E per poter dare sviluppo all’agricoltura si dovevano piantare parecchi
filari di viti, perché era tutto lasciato andare con la guerra. Così allora
noi ci siamo buttati in questo commercio, andavamo giù a Minerbio, nel
ferrarese, dove c’erano i vivai di viti piccole, si andava là con
un camioncino, un residuo di guerra, io o mio fratello a caricare ‘ste
migliaia di piantine di viti che poi qua in zona si vendevano alle aziende che
volevano allargarsi, ci siamo dati da fare anche così.
Lei ci ha parlato del commercio delle viti.
Germano: sì, del commercio delle viti perché dopo la guerra si è divulgata
un po’ la voglia di allargare questa agricoltura che era vecchia, tradizionale.
C’erano nelle aziende agricole i vecchi filari di una volta con l’olmo
che si andavano poi a potare a mano col falcione, poi si tenevano i stanghetti nuetar
i a ciamevan: erano i rami grossi che poi si facevano gli stecchini piccoli
che si bruciavano. Le nostre nonne avevano in ogni casa un camino o anche due,
perché facevano la polenta con le braci del camino, sempre col fuoco,
non c’era gas, non c’era niente allora, si teneva da conto anche
gli stecchi, si faceva le fascine oppure le stanghe grosse che quelle erano un
pregio, chi aveva bisogno di soldi vendeva un po’ all’industria i
pezzi più grossi.
Parlando di vitigni che specie vendeva lei, cosa si vendeva? Cosa
si piantava?
Germano: nuetar …nella nostra zona di Castelfranco si andava
con l’Albana, era il vitigno più commerciabile sia l’Albini
che Longhi erano le due cantine più grosse nella zona di Castelfranco,
lavoravano molto volentieri il bianco perché Castelfranco è la
zona del bianco. Allora andava l’Albana, meno il vino rosso, il Sorbara,
il Grasparossa che erano più di Bomporto e della zona vicino al Reggiano.
E l’uva bianca di Spagna?
Germano: no.
Elisabetta: è un nome che non conosciamo.
Germano: era Albana, molto Montuni. Poi, dopo, si andava verso qualche filare
di nera, il vino si è sempre prodotto in ogni famiglia, si pigiava coi
piedi… avevamo quelle tinozze piccolette e poi si mettevano a pestare
le donne. Una volta messa in succo si vuotava dentro un tino, ogni cantina aveva
un bel tino di legno alto, si buttava lì, si lasciava lì un paio
di giorni perché fermentava un po’, le graspe venivano a galla e
poi si spillava sotto il mosto e il mosto si metteva nelle botti di legno, si
lasciava lì sei, sette giorni poi si cominciava a travasare perché il
travaso è importante pulirlo subito dalle feccia il vino. Ogni famiglia
si è sempre fatta il vino da sola e in più ne portava anche alle
cantine industriali: a Castelfranco c’era questo famoso Pini e Longhi che
avevano le cantine, il di più si portava lì.
Di che anni stiamo parlando?
Germano: dal ’30 in su.
Cosa si coltivava nei vostri campi?
Germano: il grano sempre, però anche seminato a mano perché non
c’erano le macchine allora, si tiravano fine le zolle, il terreno o con
le zappe a mano che erano abbastanza faticose oppure con le mucche e degli erpici
rudimentali e si cercava di tirare molto fine la terra. Poi c’era qualche
persona anziana che aveva un pugno favorevole, la spargeva in modo uniforme e sti granini
nascevano, perché poi una volta sparso così si girava con le mucche
e l’erpice a coprire un po’ o anche coi rastrelli a mano per poter
coprire il grano perché anche i passeri e gli uccellini ne mangiavano.
Che grano si seminava?
Germano: il mentana era il nome del grano preferito allora, era il più apprezzato
per il mulino perché poi nella nostra zona ogni 500 metri, 1 km al massimo
c’era un mulino. Perché era solo il mulino che macinava, ma non
macinava come adesso che ti danno proprio il fior fiore, macinavano il grano
ma veniva giù con la crusca, e le donne poi con il setaccio dovevano passare,
tutto così a mano e si faceva volentieri perché poi con queste
farine la nonna faceva la sfoglia… forse ha imparato anche lei a fare
la sfoglia.
Elisabetta: forse…
Germano: della nonna.
Elisabetta: ho imparato sì, dalla mia mamma.
Si ricorda come si chiamavano gli altri tipi di grano?
Germano: se lo chiede a Ezio (il mugnaio) lui lì sa sicuramente tutti… cirio
mi sembra che uno fosse.
Elisabetta: ma se c’è adesso il cirio…
Germano: ma al gh’era anche alora….mi sfugge ora… il
mentana era il grano preferito perché aveva una farina molto valida.
Elisabetta: molto valida per gli impasti da pane e pasta.
Germano: la mia mamma alla mattina con quella farina faceva il gnocco fritto
o delle focacce perché come ho detto avevamo i camini e le braci c’erano
sempre.