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25/08/2006

Agricoltura


Documento senza titolo

Castellaro – Località Fontanaccia, Frazione di Sestola
Cesare Bonacorsi
Vignaiolo e allevatore
Il vino e le varietà di vitigni

PARTE 2

Qui siamo sotto un albero di pere: di che varietà sono?
Cesare: sono una varietà del posto.
 Sa come si chiamano?
Cesare: non lo so.
 Sembrano quelle che chiamano pera pistone.
Cesare: quelli di mezzo sono i pistoni ma questi no, hanno un po’ il sapore del moscato, sono buone.
 Quando maturano?
Cesare: queste tra un mese sono pronte. A ottobre, prima del 20 ottobre vogliono prese via, poi si mettono nella paglia in casa e fanno la maturazione completa. Le pere pistone lo stesso, quelle si prendono un po’ prima perché durano di meno, avevamo anche delle mele qui…
Che varietà avevate?
Cesare: la rosa romana, quella che dura e che adesso non si trova neanche più, andava avanti fino alla maturazione delle prime. c’era anche la renetta che era pronta il 20 settembre. Nella frutta io non è che ci sia dentro tanto, a me piace averne qualche pianta ma io dei filari non ne ho mai messi, perché è una spesa, andarle a lavorare. Oggi giorno bisogna guardare alla manodopera, io avevo un contadino, un giorno gli dissi: “guarda qui non viviamo né io né te, sai cosa facciamo? io mi prendo la mia terra e tu ti trovi un lavoro” e così sono andati a lavorare in ceramica e sono stati contenti. È inutile, dagli pure il 53 ma era poco lo stesso e poi io faccio come voglio. Ho avuto anche una vacca che ha fatto i primi 50 litri di latte in tutta la provincia di Modena, lui non ci dava farina e come si fa’ allora quando ho preso in mano io avevo vacche che la meno faceva 30 Kg. Allora si faceva del colpo, con un servitore io e mia moglie abbiamo fatto 450 quintali di latte a quei tempi lì, saltano fuori i soldi adesso, allora si prendeva 500 lire del latte. Io ho fatto il presidente tanto tempo, quasi 600 lire le ultime volte, li prendono adesso quei soldi lì ma la farina allora costava 12.000 lire al quintale, adesso poveri disgraziati hanno da fare a saltarci fuori. Con gli stalloni hanno un mucchio di vacche, fanno 2- 3000 quintali di latte, è diverso… anch’io se avessi avuto un figlio anziché due figlie lo facevo anch’io lo stallone.
 L’uva dal campo arrivava alla cantina e qui siamo all’ingresso della cantina…
Cesare: sì, qui siamo all’ingresso della cantina, questa qui si teneva fuori tante volte, quando era brutto si metteva dentro.
 Che cos’è questa?
Cesare: la pigiatrice manuale. L’uva si metteva dentro qui, poi si faceva girare la ruota e qui veniva fuori il mosto. C’era un mastello grande e quando era pieno bisognava buttarlo sù, c’erano i bigongi allora, non è mica come adesso. Noi si cominciava a sgualcire tante volte la sera e si andava avanti tutta la notte perché il babbo aveva quella mania lì, io invece preferisco lavorare di giorno. Si usava fare così allora.
 Questa svecciatrice di che periodo è?
Cesare: questa è una delle prime, avrà cento anni! È stata fatta da Martinelli.
 Ci racconta un po’ questi tini da dove arrivano?
Cesare: questi tini sono nati qui, li facevano dentro il posto, perché portarli dentro non sapevano come fare, allora li faceva qui, c’erano quelli che facevano questi lavori. Questo tino è di quercia, quello li è di castagno, anche questo di castagno.
 Chi erano questi bottai?
Cesare: qui ce n’erano quattro o cinque, lavoravano tutti insieme, sono poi morti. Adesso non c’è più nessuno, se rompi un tino a rimetterlo a posto… Prima era un mestiere, venivano lavorare a casa, mi ricordo che se alle altre persone si davano 5 lire da mangiare e da bere, a loro se ne davano 20.
 Qui si metteva già il mosto?
Cesare: no, proprio l’uva, veniva giù di sopra, c’è la ribalta.
 Per pigiarla?
Cesare: una volta con i piedi e poi con la pigiatrice sopra, e veniva giù già pigiata. Adesso abbiamo la pigiatrice che in due minuti….io ho sempre cercato di modernizzarmi, insomma di non essere antico in quei lavori. Con la nuova pigiatrice non si fa in tempo a buttare dentro l’uva che è già là e poi le graspe vanno via. Adesso alle viti non si da più il verde rame, perché il verde rame non faceva niente, adesso con tutti i cancher che c’è dentro…se no le pompe non lo ricevono, il verde rame non si può più dare perché si trova ma non va fuori dalla pompe perché intasa col calce.
 Quindi, l’uva veniva pigiata, quella che usciva dopo dove andava? La prendevano e la mettevano dentro le botti? Questo è il mastello?
Cesare: questo è il mastello dove andava dentro quando si levava il vino e quando si buttava sù, un pochino andava sempre fuori e allora andava dentro questi mastelli che lo raccoglievano, erano poi due….Si prendeva il mosto con i bigongi, si portava nelle botti: c’ero io e un altro ragazzo, facevamo sempre questo lavoro, a riempire queste botti la sera le spalle erano…dicono che hanno fatto dei soldi, abbiamo fatto dei soldi sì, ma ce li siamo anche guadagnati.
 Queste botti di che legno sono?
Cesare: queste botti qua sono di castagno e di quercia.
 Qua dentro quanto rimaneva il mosto?
Cesare: rimaneva fino a primavera ma bisognava fare il travaso, da una botte se ne passava ad un’altra, quando ce n’era una vuota, dalle più grandi alle più piccole, perché bisognava fare il travaso prima di venderlo. Ne avrei venduto di vino se ne avessi avuto, perché era nostrano, prendevano il vino e l’anno dopo erano contentissimi perché spumava, qui il vino ha un certo decoro.
 Lo vendeva in damigiane?
Cesare: sì, andava fuori tutto in damigiane.
 È un vino che prendeva spuma questo qua, ha un forte residuo zuccherino?
Cesare: sì.
 Da quando ho smesso la vigna faccio sempre il taglio col lambrusco.
 Prima non c’era il taglio?
Cesare: non c’era bisogno. Avevamo il ciliegiolo, avevamo un po’di dolcetto, ce n’erano di diversi tipi.
 Quindi si usava in purezza e come faceva a prendere la spuma?
Cesare: ah, la prendeva.
 Perché non si svolgeva tutta la fermentazione e rimaneva un residuo zuccherino?
Cesare: sì.
 Oppure aggiungevate qualcosa?
Cesare: niente, io non ho mai aggiunto niente nel vino, e fin che campo non lo aggiungerò mai perché io voglio che il vino sappia di vino!
E i lieviti che usava erano quelli dell’uva?
Cesare: sì, lo lasciavo fermentare dagli 8 ai 10 giorni. Delle volte anche prima lo levavo, dipende dalla bollitura, come viene, perché si sente dal tino. Quando non bolle quasi più bisogna levarlo, e poi facevo un travaso, il bianco lo travasavo due volte e il rosso una volta solo. Poi andava via perché allora c’erano dei posti, io qui avevo Trentino che ne prendeva un mucchio giù, dalla fondo valle venivano tutti a prendere il vino da me.
 Ma il gusto del vino cambiava molto da un anno all’altro?
Cesare: eh cambiava perché il vino che non cambia è un brutto segno, perché c’è l’annata che è più dolce e l’annata che è più secco. Adesso nei cantinoni il vino è sempre uguale perché mettono i mosti della bassa quando è un po’ indietro.
 Lo pastorizzano?
Cesare: lo pastorizzano, invece il vino dovrebbe essere così: quando c’è l’annata buona si sente di un gusto, quando l’annata è più cattiva si sente di un altro gusto.
 Quanto tempo si conservava questo vino?
Cesare: questo qui a vita, ho trovato delle bottiglie del povero babbo che è morto del ’70, c’erano delle bottiglie in fondo che le abbiamo prese su, insomma sempre buono, si beve bene.
 Dopo quanti anni?
Cesare: dopo vent’anni.
 Diventa fermo?
Cesare: no, sempre con la spuma. Dopo frigge meno, perché cambia, ma il nostro vino… sono poi anche le cantine, perché guardate i muri che ci sono qui, d’inverno c’è caldo e d’estate c’è freddo.