I piatti a base di carni e frattaglie
Il posto da dare alla carne nell'alimentazione umana è controverso: si va da chi, come Marvin Harris nel suo classico Buono da mangiare, ne sottolinea la centralità a chi, come i vegetariani, ritiene di escluderla completamente dalla propria dieta.
Ma se una chiara ascendenza carnivora poteva essere rintracciata nella presenza dei canini nella nostra dentatura, la recente scoperta dei recettori per il quinto gusto, quello dell'umami, che è appunto il sapore della carne, o della ciccia, come si direbbe alla modenese, identificato con gli aminoacidi maturi ed in particolare con il glutammato, sembra una prova definitiva, perlomeno se si ritiene che i sensi si siano evoluti anche come uno strumento per l'identificazione del cibo.
Molto del gusto della carne dipende da come l'animale è stato allevato, da cosa ha mangiato, oltre che dalla macellazione e da una buona frollatura.
Non a caso l'aforisma più bello di Storie di terra e di rezdore è certamente quello di Marino Mongiorgi, allevatore di bovini da carne, in particolare di razza bianca modenese valpadana: «la carne ha il sapore del contadino».
Ma è importante anche la cottura, che varia a seconda dell'animale e del taglio.
In generale la carne, (per una spiegazione più dettagliata si veda McGee Il cibo e la cucina, cap. 3) che contiene acqua, proteine e grassi, è principalmente costituita da fibre muscolari, a loro volta composte di due proteine principali, responsabili del movimento, la miosina e l'actina. Le fibre muscolari sono circondate di tessuto connettivo, composto di tre tipi di proteine fondamentali: elastina, reticolino e collageno. Quest'ultimo quando è cotto a lungo si trasforma in gelatina. Nel muscolo si accumulano riserve di energia, cioè zuccheri, sotto forma di glicogeno. L'energia in eccesso viene immagazzinata sotto forma di grasso sia esterno o di deposito, che disperso fra le fibre muscolari (la cosiddetta marezzatura). I grassi si distinguono in saturi, quando non ci sono legami doppi fra gli atomi di carbonio ed insaturi, questi ultimi, tipici del maiale, dell'agnello, del pollo, ma anche dei pesci, molto più morbidi e solubili.
Come sostiene McGee, (cit. p. 101) «la cottura può trasformare la carne da tenera a dura e viceversa […] generalmente, si può affermare che la carne è dura quando le fibre muscolari sono grosse piuttosto che sottili, quando contiene molto tessuto connettivo e quando è magra […] quando l'animale è giovane e i suoi muscoli sono stati usati poco, le fibre muscolari sono sottili». Più l'animale si muove e più le fibre muscolari si ingrossano: se si vuole mantenerli teneri occorre ridurre al minimo l'attività dell'animale e i tagli più teneri saranno quelli ricavati dalle parti che si muovono meno (in genere la schiena).
«D'altra parte più l'animale è giovane meno è probabile che la sua carne contenga grasso, soprattutto sotto forma di marezzatura», mentre conterrà più tessuto connettivo.
«In generale la carne più dura proveniente da muscoli sottoposti a sforzi è più saporita della carne più tenera e sottoposta a sforzi più lievi».
Da queste considerazioni che sono di carattere generale e che trovano smentite nelle esperienze quotidiane, discende che nella cottura bisognerà stare molto attenti nel valutare i diversi elementi, tra cui anche che, in generale, la cottura produce una certa perdita di liquidi, tanto maggiore quanto più lunga è la cottura e che la rosolatura esterna produce una reazione di caramellizzazione che incide sul sapore.
I tagli teneri e ben marezzati potranno essere cotti al sangue alla griglia, o rosati arrosto, conservando tutta la loro succosità e sfruttando la caramellizzazione esterna. I tagli più duri dovranno essere cotti più a lungo, puntando ad ottenere sia una buona gelatinizzazione del collageno, che avviene a temperature intorno ai 100 gradi, sia che il muscolo, pur perdendo tutta la sua succulenza, si sfibri fino a diventare tenero: è quanto succede nel muscolo lessato dove tutti i succhi finiscono nel brodo ed in certi arrosti in tegame e stufati in cui i succhi perduti vengono recuperati nel sugo.
I principali metodi di cottura della carne si distinguono in asciutti e umidi.
Fra i primi, arrostire nel forno, grigliare e friggere, fra i secondi bollire, cuocere a vapore, stufare e arrostire in tegame o brasare.
Nelle tradizioni gastronomiche modenesi la carne ha avuto un ruolo davvero importante: basti pensare alla esistenza fin dal secolo xiv degli statuti comunali della corporazione dei beccai (i macellai, in dialetto pcar), poi affiancati dai salaroli e dai lardaroli, che pure avevano a che fare con la confezione e la conservazione delle carni (e del pesce), in particolare del suino.
Tuttavia il ruolo della carne nell'alimentazione contadina è sempre stato modesto.
I bovini venivano allevati per il lavoro e per il latte, i vitelli normalmente venduti, i pochi capi che venivano macellati venivano suddivisi fra le famiglie di mezzadri. Venivano usati soprattutto i tagli meno nobili: per il brodo, da macinare per il ragù, la braghetta (il diaframma) da fare arrosto, il cosiddetto quinto quarto, dalla lingua, al fegato, le cervella, la trippa.
Anche il maiale veniva ingrassato per il lardo e per fare gli insaccati, più che per mangiare la carne fresca.
Cosí nelle tavole contadine era presente soprattutto la carne degli animali da cortile, il pollame ed il coniglio, i piccioni allevati in piccionaia.
Un bel vassoio di bolliti, che è un piatto davvero ricco, come quello raccontato nel filmato da Maria Bozzali è perciò un'acquisizione recente, frutto dell'abbondanza che si diffuse nel dopoguerra, parallelamente all'abbandono della terra da parte di migliaia di contadini e che portò a crescere le generazioni nate negli anni cinquanta a carne quasi tutti i giorni.
In alcuni ristoranti modenesi si diffuse la pratica di presentare con grande effetto al cliente un bel carrello dei bolliti, tenuti in immersione nel loro brodo e tagliati all'istante: il più famoso carrello era certo quello del ristorante Fini di Modena, il primo ristorante modenese a cui venne attribuita una stella dalla prestigiosa Guida Michelin. Lo racconta Lino Fini durante la sua intervista.
Ma i bolliti di manzo e di gallina o cappone venivano fatti soprattutto per il brodo.
è nota la diatriba tra chi afferma che la carne vada messa nell'acqua fredda per fare il brodo ed in quella bollente per fare il lesso: in verità è talmente lunga la cottura che un metodo o l'altro è lo stesso, sia per il gusto della carne che per quello del brodo, ma mettendo la carne quando l'acqua bolle il brodo resta più torbido. Non a caso le ricette presentate prevedono tutte la variante a freddo.
Altra disquisizione è quella sull'aggiunta nel brodo delle verdure: qui le posizioni si dividono, come si potrà constatare leggendo le diverse testimonianze.
I bolliti di insaccati di maiale sono certo quelli che hanno reso famosa Modena, innanzitutto il cotechino che nella concia contiene una certa percentuale di cotenna macinata, poi quelli che la cotenna la utilizzano come contenitore per la carne macinata, dallo zampone, al cappello da prete, al sassolino.
Nel filmato dei lessi della Bozzali non manca il cotechino, che viene presentato anche nella testimonianza di Ermanna Corbelli, con i fagioloni bianchi in umido.
Un posto a parte meritano il polpettone e le polpette che, come il ragù, fanno uso della carne macinata. Se ne presentano due versioni, una classica della pianura che mescola alla carne, uova, parmigiano e pan grattato, l'altra della collina che utilizza, per economizzare sulla carne, anche qualche patata.
Nei ristoranti, insieme al carrello dei bolliti, spesso veniva presentato anche il carrello degli arrosti, che poteva comprendere gli arrosti di maiale (soprattutto l'arista e il prosciutto), il manzo, il vitello, la gallina faraona o altri animali da cortile (anitra, tacchino, coniglio).
Fra le testimonianze vengono presentati gli arrosti della trattoria Aldina di Modena e la ricetta della punta alla romana di Pina Bonaccini.
Le carni più diffuse nella quotidianità, per chi poteva permettersele, erano probabilmente quelle di coniglio e di pollo e la preparazione più comune era quella in umido con il pomodoro, la cacciatora, ancor oggi proposta in tante trattorie magari insieme alle crescentine.
Per il coniglio, tuttavia, nel filmato, si è scelta una versione diversa, sempre in tegame, con il succo del tarocco al posto del pomodoro, impreziosita dalla presenza dell'aceto balsamico tradizionale, che certo non compariva nelle tavole contadine.
Non mancano tuttavia, fra le ricette collaterali, più versioni della cacciatora di coniglio, una col peperone, l'altra soltanto con cipolla e pomodoro, oltre che quella della lepre che ci ricorda che il tipo di preparazione in umido denominata cacciatora deve la sua denominazione alla preparazione della cacciagione.
Ed è una cacciatora la ricetta filmata del pollo presentata da Liliana Magri, che utilizza il pomodoro fresco, cosa che era possibile soltanto in estate, mentre nel resto dell'anno veniva sostituito da un po' di conserva.
Come spesso accade per la gastronomia italiana, che è basata sull'arte di arrangiarsi e di ottenere piatti buoni e gustosi anche dalle materie prime più povere, le ricette che colpiscono di più in fatto di carne sono quelle legate alle interiora, alle frattaglie, a cominciare dalla trippa, presentata nel filmato ancora da Liliana Magri.
Non sempre le budella del bovino erano cosí apprezzate, almeno non come a Firenze, tant'è che molti contadini dell'Appennino, in particolare nel versante verso la Toscana, l'Alto Frignano, nelle loro interviste per Storie di terra e di rezdore hanno raccontato che le trippe venivano vendute a commercianti che poi le portavano al mercato di Rifredi.
Tuttavia, la trippa era un piatto importante anche nella Provincia di Modena, in particolare soprattutto a Carpi, dove c'erano tripperie che la vendevano già pronta.
Ma il ricettario modenese del quinto quarto è molto più vasto: testa, guancia, lingua, cervella, polmone, diaframma, fegato, reni, cuore, sangue, non c'è parte che non fosse oggetto di una qualche preparazione culinaria.
Fra le ricette presentate spiccano le tante testimonianze intorno alle frittelle di sangue di maiale che venivano preparate nel giorno dell'uccisione del maiale e che oggi si fanno molto raramente, o la frittura con le budella ed il fegato di maiale descritta da Giorgio Gherardini.
Infine, di incerta collocazione, viene presentata in questo capitolo anche una ricetta a base di lumache, un mollusco molto apprezzato nella zona fra Nonantola e Finale Emilia, ai confini col ferrarese, ed in particolare a Casumaro, dove ogni anno si tiene anche una sagra. Non a caso ne parla Sergio Coa, di Reno Finalese.