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Le polente



C'è un bel passaggio in un'intervista di Storie di terra e di rezdore, a Lorenzo Giovinetti, quando racconta che a casa sua si mangiava polenta perchè c'erano tanti ragazzi. Il lettore automaticamente pensa allo stereotipo della saracca che pendeva al centro della tavola e tutti che ci strofinavano sopra un pezzo di polenta di granoturco. Lui invece sta ricordando la polenta di castagne, che mangiavano con panna e ricotta. Poi racconta anche di quella di mais, come Romano Morselli che, in un'altra intervista, parla proprio della polenta e della saracca.

Farina che bolle e l'acqua pian-pianino viene assorbita dall'amido o evapora fino al punto in cui non si riesce più a girare la polenta.

La cottura della polenta ci riporta ancora davanti al camino, con la pentola di rame stagnato, la calderina, come racconta Dina Rossi, attaccata alla catena, dentro cui si cucinava di tutto.

Della polenta di castagna, come ben illustrano le diverse testimonianze che si riportano, c'erano due versioni, quella più densa, mangiata anche col salato e quella tenera dei menni o memfet mangiata soprattutto per colazione con il latte, la panna o la ricotta.

Piatti piuttosto veloci perchè le castagne di fatto cuocevano già durante l'essiccazione nei metati.

Viceversa la farina di frumento, per lo meno nella memoria degli intervistati di Storie di terra e di rezdore, non veniva cotta a polenta, forse proprio perchè la farina di grano tenero, macinata molto fine, non si prestava come invece si sono sempre prestati, fin dall'epoca romana, quando la polenta si chiamava puls, i semolini da grani duri, da farro, orzo, spelta, miglio ovvero da grano saraceno, con cui si otteneva la polenta bigia resa famosa da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi.

Quanto alla polenta di mais, essa è il contributo più originale del vecchio continente all'uso in cucina del mais da quando è stato importato dall'America, ed è entrata a far parte stabilmente anche della alimentazione dei contadini modenesi soprattutto in pianura, assumendo il ruolo di alimento principale solo quando venivano a scarseggiare altri ingredienti, d'inverno e a primavera.

Come si è sottolineato nell'introduzione, le carenze nutrizionali del mais, venivano colmate, nelle tradizioni alimentari degli indios americani, grazie ad un trattamento con la calce cui veniva sottoposta la farina di granturco e con l'abitudine di consumare il mais con i fagioli.

è interessante sottolineare che, nella gastronomia modenese, è questo l'abbinamento più diffuso, un po' in tutta la provincia: una polenta di mais cui viene unito un umido di fagioli.

Un'integrazione fra una graminacea ed una leguminosa quanto mai appropriata, anche se, a dire il vero, diffusa un po' in tutta la regione, ed anche nel Veneto (polenta infasulada).

Se ne avanzava, il giorno dopo veniva tagliata a fette e arrostita ovvero fritta nello strutto. Era talmente saporito questo piatto di riuso che è invalsa l'abitudine di prepararlo direttamente per friggerlo, come fa Gina Piccinini con i calzagatti. C'erano varianti in altre zone della provincia, come la paparocia della bassa carpigiana, cotta nel brodo di fagioli ed il cacíuf di Finale Emilia, di influenza ferrarese, che prevede oltre ai fagioli e alla pancetta o lardo anche l'aggiunta di salsiccia.

Ma la fantasia nel condire la polenta è stata pari alla necessità di variarne il sapore e di renderla più sostanziosa, tipica di una cucina di penuria: in coda alla ricetta dei calzagatti se ne presentano diversi esempi, dalla polenta unta a quella col polmone e la braghetta (il diaframma), fino a polenta e saba.