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I secondi a base di pesci



In una provincia con una gastronomia fortemente legata alle proprie tradizioni agricole, la cucina di pesce non può che avere un contenuto più limitato ma, non per questo, meno significativo: i precetti religiosi riguardanti il mangiare di magro hanno imposto d'autorità il consumo del pesce che nel mercato di Modena si trovava a prezzi calmierati, spesso inferiori a quelli della carne.

C'è sempre stata una cucina di pesce fresco legata alla pesca d'acqua dolce, a cui si è fatto cenno nell'introduzione, quando l'acqua dei canali e dei fiumi era limpida, mentre il pesce di mare più consumato dai contadini modenesi, nonostante la relativa vicinanza al Mar Adriatico, è stato il merluzzo proveniente dai mari del Nord, sia essiccato, lo stoccafisso, che salato, il baccalà.

Le frittelle di baccalà, in particolare, erano uno dei piatti più diffusi nelle trattorie intorno ai mercati dove si poteva acquistare la materia prima e la ricetta presentata nel filmato da Sergio Coa è un giusto riconoscimento a tale consuetudine, peraltro estremamente diffusa come attestano le diverse testimonianze che vengono presentate.

Insieme al merluzzo, un altro pesce conservato era l'aringa sotto sale, la saracca, su cui si strofinava la polenta ma, attenzione: quando si parla di saracca a Modena, bisogna ricordare che in dialetto al sarachi, secondo la testimonianza di Danilo Bertani in Memorie di un pescatore della Sacca era anche un pesce d'acqua dolce, ormai estinto, la cheppia, che veniva fritto, marinato e conservato nell'aceto bianco, con pepe e alloro.

In Appennino ancor oggi è diffusa la pesca della trota, quasi sempre d'allevamento, cucinata fritta con gli aromi o lessata. La ricetta delle trote rosolate nelle bietole è una bella testimonianza di un modo di cucinarle non cosí comune.

Ricetta di lesso anche per il luccio che, fra i pesci d'acqua dolce, in qualità di predatore, era quello la cui sopravvivenza dipendeva di più dall'abbondanza d'altro pesce, per cui anche questo va scomparendo.

L'importanza dell'abbinamento pesce-polenta, già richiamato per la saracca, viene ulteriormente testimoniata dalla ricetta dell'anguilla in umido descritta da Serafini o del pesce gatto – un pesce importato dall'America del Nord all'inizio del Novecento – in umido coi piselli, descritta da Coa, che si mangiavano con la polenta, come tutti gli umidi del resto, come spiega lo stesso Coa, che descrive anche la ricetta delle rane in umido.

Ma sia le rane che l'anguilla che il pesce gatto, che il pesce piccolo in genere si facevano soprattutto fritti.

Ed il fritto rimasto veniva marinato in aceto o in agrodolce, eventualmente con aggiunta di pomodoro: forse l'esempio più famoso di questa consuetudine è la fritturina di pès putanein più volte ricordata da Sandro Bellei nei suoi scritti.