31/08/2006
Cantore
Riolunato
Nicolino e don Ezio Nicioli,
Emilio Rocchiccioli e Livio
Cantori del Maggio
Il maggio delle anime e delle ragazze
Giochi di un tempo
PARTE 4
La castagna che ruolo aveva?
Don Ezio: il ruolo che non ha fatto patire la fame al tempo di guerra, si faceva
tutto di castagna.
Come era mangiare sempre castagne?
Emilio: ci eravamo abituati.
Don Ezio: due domeniche fa in piazza qui della chiesa il circolo parrocchiale
ha organizzato una festa tutto a base di castagne. I menni, i ciacci, la polenta,
c’era pieno così, hanno dato via quindici kg di ricotta nei ciacci.
Emilio: adesso se la mangiamo ci fa venire il bruciore, una volta la mangiavamo
sempre.
Voi ne mangiate ancora? Non vi ha stancato questa castagna?
Emilio: ogni tanto ne mangiamo.
Don Ezio: oramai nessuno le raccoglie più.
Nicolino: sono poi tutti seccati i castagni, non ci sono più di una volta,
una volta su di lì erano tutti castagni, adesso è tutto bosco.
Emilio: c’è anche di quelli che ne semina ancora, costa cara la
farina, sa?
Don Ezio: poi questo oramai l’hanno messo sù anche negli altri paesi
vicino, ma allora era di Riolunato lo scoccino del lunedì di Pasqua. C’erano
delle file di uova e poi contavano. Chi vinceva sceglieva il primo di qua o il
primo di là, il secondo il secondo, poi cominciavano a passare: uno metteva
sotto e l’altro picchiava, chi rompeva perdeva e doveva dare l’uovo,
uno poteva passare anche cinque o sei uova e vincere, poi quando rompevano il
suo continuava quell’altro, oppure la sfida l’uno con l’uno.
Erano uova di gallina?
Don Ezio:erano uova di gallina colorate.
Livio: con cosa coloravano le uova?
Don Ezio: con la caligine.
Nicolino: i marroni, poi c’erano quelle tinte dell’iride, coloravano
anche con le erbe.
Emilio: lo fanno ancora il lunedì di Pasqua qui a Riolunato.
Nicolino: allora chi vinceva un uovo era contento, non voglio esagerare ma quando
ero ragazzo io andavano spaccati in una giornata 7, 8, 10.000 uova sicuro sicuro,
tutti giocavano, tutti picchiavano.
Emilio: adesso le rompono e poi le buttano via.
Don Ezio: però colorano le uova con dei colori che trapassano il guscio,
si sguscia e prende il colore anche l’uovo.
Nicolino: ci avevamo una voglia di mangiare in quella settimana dopo Pasqua,
mangiavamo solo uova e a nessuno facevano male.
Don Ezio: c’era anche chi imbrogliava, prendeva un uovo di faraona piuttosto
grossino che assomigliava a quello di gallina che rompe tutte le uova di gallina,
non lo metteva mica in fila perché in fila tocca un uovo che non è mica
il suo…
Nicolino: una canzone che canto sempre quando sono in baracca è stata
scritta nel 1910 e la so ancora, la devo cantare quando sono un po’ di
spirito, “quando di maggio”. Quella è stata scritta nel 1910,
quindi ha oramai più di 100 anni, io ero un ragazzino alto così quando
la sentivo cantare da un vecchietto. L’ho imparata e l’ho sempre
cantata, tutte le feste, se non la cantavo non ero soddisfatto.
Don Ezio: in un mercatino ho trovato una cassetta dove c’è anche
quella canzone. Cantala così senza musica.
Nicolino: ma non ci vuole mica della musica per cantare, ci vorrebbe della voce,
vi canto solo tre strofe di quelle centrali che sono le più belle:
Quando di maggio le ciliegie sono nere
con che piacere a raccoglierle si va
Lei sulla scala io di sotto che la reggo
e tutto veggo foglie rami e c’era ancor
Quando il cesto è pieno e vuoto lei discende a modo in un cattivo chiodo
la veste impiglia lei si scompiglia
scende ancora ma si straccia
lei mi cade in braccia si fa rossa in faccia
sotto il ciliegio l’amore si fa
Quando di giugno il bel grano è maturato
Rosina al prato cantando va
e con la falce se ne miete tratto tratto
Mentre io sto quatto sto a mirar le sue beltà
E quelle braccia stanche quelle braccia bianche
con l’andar dell’anche
mi da tormento o Dio che sento
corro a darle un bel bacione lei mi da uno ceffone si fa un ruzzolone
In mezzo al grano l’amore si fa
Quando d’ottobre l’uva a vendemmiar ne viene
come sta bene l’uva a pigiar
Tinello vecchio gambe bianche e vino novo
conta il tesoro il padron guadagnerà
Se ti (?) un poco si complica il gioco ma mi rechi il fuoco
Grappol maturo ma cuore duro
Lei mi dice vien vicino stai rivolto al tino perché sciupi il vino
E vendemmiando l’amore si fa
Nicolino: ce ne sono sette di strofe, queste sono le centrali, le più caratteristiche;
poi ne avevo un’altra perché non trovavo queste canzoni e sapevo
che ce n’erano, allora la scrissi io per le castagne:
Quando in autunno le castagne si raccoglie
nascosto da foglie io la sto a mirar
chi la raccoglie fin che il cesto non trabocca
allor sulla bocca va de baci ancor
alla sera la fiammella dentro la padella scoppia pure quella
castagna cotta ma non balotta
se il calor ti fa piacere se ti fa godere non è più il braciere
ma sono le castagne che effetto ti fan
Nicolino: questa l’ho scritta io, perché non la trovavo, poi adesso
l’ho abbandonata perché le ho trovate tutte, me le ha date Gigi… con
la donna sulla tavola bisogna fare la scena completa.
Don Ezio: a proposito di matrimonio, mi ricordo quando ero ragazzo che se lo
sposo riusciva a entrare dentro la casa o mandava uno a rappresentarlo della
sposa, allora gliela davano subito altrimenti andava a casa a chiedere la sposa,
gliene facevano vedere una: “no non è questa”, andavano avanti
per un’ora o due.
Livio: lo facevano tribolare.
Don Ezio: e in Chiesa aspettavano delle ore, molte volte incaricavano mio papà che
era guardia comunale di andare. Allora lui diceva “son qui di passaggio” “venite
dentro a bere un bicchiere di vino”, entrava dentro e diceva “io
rappresento lo sposo” quindi non potevano fare più arrabbiare lo
sposo; poi partivano da questa casa in corteo e andavano in Chiesa, quando uscivano
noi bambini tiravamo dei nastri da una parte e dall’altra di modo che dovevano
passare di lì e non potevano, dovevano darci dei confetti. Se ci davano
una manciata di confetti allora tiravamo via il nastro e passavano… erano
tutti modi di allora.
I pranzi nuziali dove si facevano?
Don Ezio: nelle case private, a casa della sposa.
Cosa si mangiava?
Don Ezio: di tutto, i tortellini certamente.
Emilio: e gli arrosti.
Don Ezio: un’altra tradizione. Ogni invitato, la donna, doveva portare
una torta e quando veniva via gli davano un quarto della sua torta e un pezzettino
di ogni torta che avevano portato le donne. Io mi ricordo che non vedevo l’ora
che mia mamma andasse a un matrimonio per portare a casa un fagotto di torte.
Nicolino: quando si cantava il maggio dopo le ragazze portavano la torta al banchetto
e ci davano indietro un quarto di torta, quel quarto di torta lì si trovava
col fidanzato, andavano a casa loro ed era un’altra baldoria. Io so che
un anno che feci l’ambasciata per otto giorni, tutte le sere eravamo a
mangiare, era poi una scusa la torta…
Don Ezio: Nicolino poi è andato a sposare una di pianura che era venuta
ostetrica in paese, una di Colombaro e ha conosciuto lui…
Nicolino: il destino non si sa mica come è messo… quell’anno
lì quante veglie, contenti… delle volte si faceva cantare l’ambasciata
a una che conoscevi appena appena…
Emilio fa l’ultima suonata
Don Ezio:anche musicalmente penso che come Riolunato non c’era nessun
paese che cantasse come qui allora, quando ero ragazzo io, i canti in Chiesa
quelli folcloristici, c’era la settimana santa con dei canti…
Nicolino: allora si cantava… quando ero ragazzo io, al tempo di guerra,
la corriera alla sera con la posta arrivava tardi, allora fin che non arrivava
ci mettevamo lì e cantavamo… un cerchio e tutti i giovani cantavano.
Adesso se canta uno è ubriaco… come era bello ragazzi. Quando
venne fuori “notte limpida e serena” al tempo di guerra io venivo
a veglia qua a casa di mia nonna, sentivo là cantare che mi veniva voglia
di tornare indietro… la sentivo cantare e pensavo: “torno indietro
o vado a trovare la nonna?”... perché io ho sempre cantato in
cima alle corna del diavolo.
Don Ezio: lo invitavano sempre ai matrimoni perché facesse gli stornelli,
le zirudele… scriveva una battuta con l’altra.
Nicolino: io se avessi tenuto tutte le mie poesie, avrei fatto un libro. Purtroppo
le ho strappate tutte, non le tenevo io, ma ho avuto anche tante soddisfazioni
perché io scrivevo le poesie, le scrivevo mentre mangiavo… ma allora
era così, mi sono tanto pentito di non averle tenute, certo che oggi non
ci vedo, ce ne sono due o tre in giro perché una l’hanno pubblicata
in un libro…