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09/08/2006

Norcineria


Documento senza titolo

Renno, Frazione di Pavullo nel Frignano
Giorgio Gherardini
Norcino e cacciatore  
Macellazione del maiale e preparazioni derivate – La caccia  

PARTE 2

Io ho sentito dire che in pianura, passando ai cotechini, li facevano anche con il fegato?
Giorgio: i cutghin con i fedag? io non ne ho mai sentito parlare. I fegatini da noi si usava, a volte io lo faccio ancora, si tiene la rete del maiale e poi si tagliano a pezzettini circa di 2-3 cm poi si condiscono con sale, pepe e spezie, quelle vanno un po’ a gusti. Poi la rete di maiale si bagna nell’acqua calda, si stende la rete, si mette un pezzettino… prima si passa tutto il fegato nel condimento, poi si prende il pezzettino di fegato, si stende sulla rete, si arrotola con una foglia di alloro ogni fegatino con uno stuzzicadenti, si ferma e poi si taglia. Si mettono in un tegame, si lasciano lì una settimana in frigo naturalmente - allora il frigo non c’era e si mangiavano subito, comunque era inverno perché il maiale si ammazza quando è freddo - fatti alla griglia penso che siano una cosa favolosa, con la polenta sono davvero favolosi, si mangiavano anche con la polenta di castagno, ci si metteva anche un po’ di finocchina anche.
 Con le frattaglie invece del maiale cosa si faceva?
Giorgio: non è che ci fossero delle gran frattaglie, c’erano dei rognoni che una volta non li mangiava nessuno…
La trippa?
Giorgio: la trippa si metteva dentro la coppa d’estate.
 Cos’è la coppa d’estate?
Giorgio: è il capocollo.
 È il pezzo più alto del lombo, praticamente quello più vicino alla spalla. Ci sono cinque costole e poi si taglia, quella lì è il capocollo, si sala in un tegame con le solite spezie, io salo a peso così sono tranquillo che vanno bene, poi si lasciano lì quindici giorni. Dopo si arrotolano dentro allo stomaco, lo stomaco e l’ultima parte dell’intestino serve per rivestire il capocollo.
 La trippa invece?
Giorgio: la trippa è poi quella lì, il trippino del maiale è lo stomaco, in dialetto as ciama al cagiarat.
 Adesso Giorgio siamo passati a un’altra fase, qua vedo che ha un suo salame, che salame è questo qua?
Giorgio: questo è un alpino nostro, tipico delle nostre parti.
 Quanto l’ha fatto stagionare?
Giorgio: questo l’ho fatto il mese di dicembre, questo è stagionato in cantina dalla fine di dicembre a venire adesso quindi, cosa sono?… 8 mesi circa.
 Questo è il momento migliore per mangiare il salame?
Giorgio: sì, per il salame conta molto l’ambiente.
 Io ho mangiato dei salami che avevano più di un anno, ed erano molto buoni. Poi tanta gente fa il salame molto magro: il salame molto magro va mangiato nel giro di 4-5 mesi; se voi guardate questo, è un salame che ha una certa quantità di grasso però è sempre morbido e per far durare i salami vogliono fatti così, cioè vogliono fatti con un po’ di grasso.
 Dicevamo prima delle salsicce vostre di montagna, c’erano delle differenze con quelle preparate in pianura?
Giorgio: da qua, passato il fiume, ognuno ha un modo di fare la roba, dalla pianura a noi può variare il sale, più sale meno sale, più spezie meno spezie, però il modo diciamo era sempre lo stesso.
 Come si faceva la salsiccia?
Giorgio: la salsiccia? si metteva la budella dell’intestino tenue. Si infilava, la macchina ha l’imbuto, si infilava lì dentro, poi giravi e mentre spingeva avanti si tirava fuori, si forava con quelle forchette di ferro vecchie, poi si appendeva sulle stanghe di legno, si lasciava ad asciugare fino a che non era asciutta poi naturalmente si metteva in cantina, per farla appassire quando era asciutta. Ci voleva un ambiente un po’ umido perché facesse un po’ di muffa, perché se non faceva la muffa si seccava e faceva i buchi. I salami fanno i buchi, dicono: “il macellaio mi ha lasciato i buchi nel salame”. Non è vero, perché se uno mette il salame in un ambiente molto secco, la carne esterna si incrosta, attaccata alla budella. Quando la carne col tempo cala, perché la carne tende a calare, la budella ha la carne insaccata, non gli va più dentro e gli vengono i buchi.
 La vostra salsiccia come era?
Giorgio: lunga.
 Non facevate i nodini?
Giorgio: no, noi facevamo la salsiccia lunga, diciamo anche 1 metro e mezzo due metri. L’intestino tenue viene arrotolato su una matassa attorno alle braccia, poi si taglia quindi di questa lunghezza qua tagliata da un parte - possono essere un metro e mezzo - poi si raschiava con una spatola o col coltello, si tirava via tutto il grasso che veniva come carta e con quello venivano insaccate.
 Quando si ammazzava il maiale, si andava dal contadino, si faceva una festa?
Giorgio: era una festa, ogni volta noi le chiamavamo le baracche, erano sempre baracche. Una volta da noi nella case dove ammazzavano il maiale c’era abbondanza di vino, facevano anche del vino buono, e anche da mangiare ce n’era, cioè le crescenti ci sono sempre state perché da noi si usava mangiare le crescenti anche due volte al giorno. Le crescenti erano uno degli alimenti principali, crescenti, polenta di castagno e quella roba lì. Quando si ammazzava era festa… io mi ricordo i primi, avevo 13-14 anni, l’appetito c’era... era una festa, ma una festa enorme, era un richiamo anche per tanta gente che veniva lì a mangiare, era una cosa bella.
 Una volta chi andava a fare sù il maiale come veniva pagato?
Giorgio: spesso mai… sono cose che ho sempre fatte a livello di amicizia. I primi venivo anche pagato perché allora non è che ci fosse una grande abbondanza.
 Che anni erano?
Giorgio: allora era il ’53-’54-’55. Allora c’era della miseria, per andare fuori la sera avere 50 lire non era mica facile, i primi maiali che andavo ad ammazzare mi facevo anche pagare ma non mi ricordo a dire la verità la cifra.
 Magari le regalavano qualcosa…?
Giorgio: ma anche, una volta c’era gente che mi dava in cambio un po’ di salsiccia… ma quando ero ragazzino tenevo più che mi dessero 2-3 mila lire, mi servivano. La salsiccia la portava a casa mio padre che allora faceva quel lavoro lì.
 Questo mestiere lei lo ha insegnato a qualcuno?
Giorgio: ho mio figlio che riesce, mio figlio ha fatto il lavoro non dei maiali, però ha lavorato 10-15 anni nel campo del manzo, ormai sono capaci. Ho un ragazzo che lavora con me, Alberto, e mio figlio ormai gliela fanno.
 Come si diventa dei bravi norcini?
Giorgio: le dosi sono la cosa più importante, diciamo per le salature e quelle cose lì, e poi saper scegliere la carne perché è importante.
 Vedo che ha anche un prosciutto lì davanti, l’ha sempre fatto lei?
Giorgio: sì, però i prosciutti a casa… una volta erano buoni sempre, per il discorso che facevano più companatico. Se era salato uno ne mangiava una fettina ed era a posto. A casa non è facile salare i prosciutti perché abbiamo le stagioni che non sono mai uguali, a salare un prosciutto con l’alta pressione in un mese può non essere salato, ma salare il prosciutto in un tempo di scirocco in una settimana può essere salato perché il sale corre e con l’alta pressione si secca lì attaccato. Ci vuole l’occhio di vedere quando è salato, io un po’ lo conosco perché ho lavorato nel campo della salatura, un po’ riesco a capirlo però anch’io non ci prendo sempre. Questo è un buon prosciutto però a volte si fa salato perché non è facile. Gli stabilimenti hanno le celle di refrigerazione con sempre quell’umidità, sempre quella temperatura, con un tot di lavorazione; in una settimana si sala il prosciutto mentre a casa non è facile. Normalmente il prosciutto in campagna lo salava il proprietario del maiale, si metteva sotto sale appena ammazzato poi dopo ci pensava lui “io ce lo lascio un mese perché il prosciutto quando è salato non ne tira più del sale” e invece non è mica vero…
Il rischio è che siano salati?
Giorgio: quasi sempre, quasi sempre sono salati, a volte fai dei prosciutti che sono favolosi però ci prendi una volta ogni tanto. Io sono convinto che il prosciutto buono è più facile salarlo in una salatura e poi magari la stagionatura farla in un ambiente a casa, perché in uno stabilimento ci sono delle migliaia di prosciutti tutti insieme e l’aria non può essere tanto pulita, invece in una stanza avere due prosciutti attaccati vengono meglio.
 Guardavo quello che ha qui, ha un bello strato di grasso e delle buone infiltrazioni da vedere…
Giorgio: per mangiare un prosciutto buono bisogna mangiare un prosciutto dai 10 kg in avanti. Quei prosciutti che hanno quel mezzo centimetro di grasso sono dei prosciutti che vengono dall’estero e non sono mai buoni, se invecchiano diventano secchi come il baccalà, e se lo mangia fresco è come mangiare della carne.
 Invece i prosciutti ci vogliono minimo di 10kg, salato, con due centimetri di grasso: allora si mangia del buon prosciutto e invecchiato nell’ambiente adatto… allora si mangia del buon prosciutto.
 La stagionatura va in base al prosciutto?
Giorgio: va in base al prosciutto. Se il prosciutto è naturalmente grasso ci vuole… io questo qua è un prosciutto di due anni e mezzo, però due anni, diciassette, diciotto mesi può essere un buon prosciutto.
 Dicono che è buona la mortadella, ma quando è buono è buono anche il prosciutto; poi io faccio anche i culatelli… non sono un grande esperto però li ho fatti e sono buoni, per adesso sono andati bene.
 Siccome salare i prosciutti oggi costa, ti prendono 50 mila lire per salare un prosciutto, quasi quasi si compera già salato… ho detto, provo a fare i culatelli con qualche vaga informazione. Il prosciutto lo disossiamo, cerchiamo di dare alla parte più grossa una forma rotonda e lì facciamo il culatello, dall’altra parte facciamo il fiocco; con la pera si fa il culatello e la falsa pera è il fiocco. Anche quello lo salo a peso per sicurezza, lo metto in un contenitore con tanti kg, 10 kg 250 grammi di sale, con aromi, una bottiglia di vino nero, un po’ di aglio, un po’ di alloro, un po’ di aromi diversi. Lo lascio lì, lo muovo tutti i giorni fino a che vedo che è asciutto e ha tirato tutta quella roba lì, poi lo lavo e lo fascio con delle budella grandi e lo lego bello stretto.
 Quanti mesi lo fa stagionare il suo culatello?
Giorgio: secondo me anche lì conta molto l’ambiente ma il culatello vuol mangiato prima dell’anno, per me, perché dopo può fare qualche crepa.