18/07/2006
Acetaia
Montagnana, Frazione di Serramazzoni
Giorgio Muzzarelli
Ristoratore
Acetaia e museo di oggetti del passato
PARTE 2
Come si sa per fare il balsamico tradizionale bisogna usare il sottotetto
dove ci sono escursioni termiche che vanno dal freddo invernale al caldo estivo,
l’aceto non è permaloso come il vino, il vino teme gli sbalzi
di temperatura, non vuole vibrazioni, teme la luce, è molto permaloso.
Per l’aceto non ha importanza se c’è luce e vibrazioni,
ha solo paura dell’umidità, quindi l’acetaia essendo in
sottotetto non può avere una umidità persistente nel tempo, ci
può essere una giornata umida però poi passa quando viene il
sole, invece la cantina ha umidità persistente, l’aceto teme
le muffe più che altro. Qui c’è la conformazione estiva
che permette la concentrazione, quindi l’aceto balsamico tradizionale è concentrato,
se ha molti anni quindi ha subito molte concentrazioni, molte estati. Gli aceti
balsamici fasulli sono già concentrati appena nati perché vengono
fatti con mosto cotto molto molto denso per dargli impressione di essere aceto
balsamico. Questo è sbagliato, un aceto può permettersi di essere
molto denso solo se è molto vecchio, altrimenti no, infatti gli aceti
di 10-12 anni dovrebbero essere belli liquidi, adatti anche per insalate, per
certi tipi di carne, però non certamente molto denso, altrimenti dopo
25 anni a cosa arriviamo come densità? È ancora giovane anche
se si chiama stravecchio, l’aceto balsamico deve avere minimo 50 anni
per essere chiamato balsamico, questo era il pensiero dei nostri vecchi. Questo
ha 75 anni per esempio, è molto denso perché ha subito evaporazioni
di 75 estati calde, è molto denso, però oltre a questa densità non
bisogna andare e fare in modo con le operazioni di acetaia che si mantenga
la densità ma non diventi eccessiva, altrimenti si cristallizza e diventa
un solido; questo aceto in particolare è andato un po’ oltre la
densità massima, per cui d’inverno diventa un solido e d’estate
si liquefa, come il sangue di San Gennaro.
Voi siete produttori di aceto balsamico da sempre?
Giorgio: sì, abbiamo parlato anche dell’acetaia di famiglia distrutta
dai tedeschi però mia zia ha raccolto quello che è rimasto dentro
ai barili sotto al livello di uscita, il foro aperto, e si è formata l’acetaia.
Sono i padri che fanno l’aceto per i figli.
E lei sta facendo lo stesso per i suoi?
Giorgio: sto facendo anch’io la stessa cosa per i miei, c’è la
batteria di Davide che è nato nel 1980 e quindi è un aceto che
ha già 25 anni e poi quella di Elisa che è partita nel 1982, con
questo aceto ho partecipato al palio Ghirlandina e ho vinto il primo premio sulla
terra di Montecuccoli cioè l’Appennino modenese.
Come mai questi sassi sui barili?
Giorgio: adesso non sono più necessari, perché un volta il solaio
chiamato graner conteneva anche degli alimenti quindi topi, colombi
o anche altri animali entravano dal tetto o dalle finestre e cercavano di entrare
nel barile per succhiare l’aceto balsamico. Quindi col sasso si poteva
avere il barile aperto in modo che potesse respirare l’aceto e nello stesso
tempo un ostacolo a fare entrare questi animali. Tra l’altro il topo, chiamato
ratto dei tetti, immergeva la coda nell’aceto poi la succhiava per poter
godere dell’aceto senza cadervi dentro. Ma non solo il sasso si scioglieva
se era appartenuto ai fiumi Secchia o Panaro, perché ha una granulometria
particolare per cui l’esalazioni dell’acido acetico corrodono il
sasso e questa corrosione provoca una polvere di carbonato di calcio che si combinava
con le parti acetiche più graffianti depositandosi sul fondo, rendendo
l’aceto meno graffiante, più morbido. Ma solo coi sassi del Secchia
e del Panaro. Qui ne ho di diversi esempi. A un certo punto si bucavano i sassi.
Ho preso questo sasso da un fiume in Trentino, nonostante che sono decenni che è sul
barile non è stato intaccato minimamente dalle esalazioni dell’acido
acetico. Visto che adesso non servono più, visto che l’acetaia è chiusa
da vetri e zanzariere, gli animali non entrano, visto che non abbiamo bisogno
di fare precipitare l’acidità troppo forte perché usiamo
dei mosti molto dolci, a cosa servono i sassi? Adesso non servirebbero più,
però qualche barile dei miei ce li ha ancora a ricordare la storicità della
produzione del balsamico. Un altro aspetto del sasso è che accumula calore
durante il giorno, quindi fa un pochino da pompa aspirando una parte di umidità che
ristagna sul liquido tirandola sù un pochino. Strumenti di lavoro
Giorgio: questo è il ceppo che ha usato mio nonno nella sua vita di lavorazione
della carne, l’Usl secondo me non darebbe la licenza di lavorare su un
ceppo del genere perché adesso le regole sono cambiate, ma una volta erano
tutti così, più avevano lavorato più si vedeva la traccia
della concavità che hanno. La concavità è dovuta anche al
lavoro di questa lama particolare che serviva per tritare le parti che erano
più dure. Gli oggetti che portano le tracce del duro lavoro sono quelli
che secondo me hanno vero valore, sono più preziosi. Io penso che loro,
quelli che li hanno usati, non li amano, infatti se possono se ne liberano, non
danno valore a questi oggetti perché gli ricordano degli anni veramente
duri della loro vita, di sacrifici molto forti.
Ci vuole illustrare questo altro attrezzo?
Giorgio: questo attrezzo veniva usato alla Noce dai bambini perché potevano
anche con pochi muscoli riuscire a macinare il caffè o l’orzo. Si
mettevano a cavalcioni qua su questa panca e giravano questa manovella, è un
oggetto che si trovava sul solaio. Qui ci sono tracce dei tedeschi, questo era
un piccone. Questo invece la mia bisnonna lo usava per filare la lana, prima
di questo che serviva per svolgere la matassa della lana c’era l’avvolgitore
della lana che era questo, nel filarino a sinistra si faceva il filo della lana
il quale si avvolgeva su questo che ha la manovella e faceva sù la matassa,
poi veniva riposta. Questo qua per far su e questo per disfare.