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28/08/2006

Rosoline


Documento senza titolo

Montalto, Frazione di Montese 
Dina Rossi 
Rezdora 
Ricette di collina    

PARTE 1

Lei è sempre vissuta qui a Montalto?  
Dina: no, a Semelano, una parrocchia che confina con questa parrocchia, sono due frazioni del Comune di Montese, per 19 anni a Semelano, poi questo signore mi ha portata qui e non mi sono più mossa da qua. 
Semelano è un paesino piccolo? Quanti abitanti fa?  
Dina: è un paesino più piccolo di questo, adesso ci sono pochissime persone, all’epoca quando c’ero eravamo in duecento, adesso molte meno. 
Poi si è trasferita qui perché si è sposata e quanti anni sono che siete sposati?  
Dina: lui non se lo ricorda. Roberto: nel ’49. 
Dina: il 24 aprile del 1949, sono 57 anni passati già. 
Qual è stata la sua mansione principale in questa famiglia, in questa casa?  
Dina: un po’ di tutto, le donne facevano un po’ di tutto perché andavamo nei campi, poi venivamo a casa, facevamo da mangiare, non eravamo specialisti in nessun campo, più che altro le donne facevano da mangiare. 
Era una famiglia numerosa la vostra?  
Dina: quando mi sono sposata sono venuta qua insieme ai miei suoceri perché allora ci si sposava ma non si avevano i mezzi per vivere da soli, mettere sù famiglia, siamo stati insieme due anni e mezzo poi i miei suoceri si sono trasferiti a Castelvetro e siamo rimasti qua io e lui, abbiamo avuto una figlia e poi un figlio, in quattro siamo sempre stati. 
Parlando della cucina, quali sono le specialità che preparava?  
Dina: le cose che facevamo anche da ragazza da mia mamma, facevamo di tutto, allora in tutti i poderi nelle piccole famiglie c’era una mucca e lì c’era il latte, la ricotta, il formaggio, c’era tutto. Del formaggio c’era quello tenero, quello un po’ stagionato e quello che si grattugiava, perché si comperava quasi niente alla bottega, si faceva con quello che si aveva in casa. Una cosa che si preparava ogni tanto erano le polpette di ricotta dolci, le chiamavamo dolze e brosc , si prendeva la ricotta un pochino durettina, si metteva zucchero, uova, un po’ di pinoli se c’erano, o mandorle tritate, l’odorino del limone, un goccino di liquore se c’era, del liquore non si comperava la bottiglia ma si prendevano dei boccettini di estratto dei liquori di allora come la mandorla amara, il sassolino, un po’ di alcool, zucchero e si faceva la bottiglia, era più conveniente che comprarla. Si faceva allora l’impasto con la ricotta, preparava un piatto a parte con dentro la farina e pan grattato, si prendeva sù con un cucchiaio, si metteva nel piatto con la farina e si facevano delle pallottoline tutte infarinate e si mettevano nell’olio bollente, si facevano dorare, poi si mettevano su una carta che assorbisse e si facevano raffreddare. A parte si metteva del vin brulè in un tegame, e questo è il fatto del brusco, si faceva calare a forza di bollire, diventava più fitto e poi si doveva mettere un cucchiaio di farina e si faceva filare dentro, diventava un sughino denso con gli odori della cannella, del vin brulè; però non lo consumavamo solo come dolce, noi ci facevamo la cena, con il pane la mangiavamo ‘sta roba. A Natale era d’obbligo fare la Colomba, che non si faceva a Pasqua ma a Natale, si poteva fare anche durante l’anno ma a Natale era d’obbligo. Si faceva con la pasta della ciambella un po’ più ricca di burro, poi due o tre strati ,a seconda della bravura della cuoca, di marmellata, di pinoli, c’è chi la faceva più ricca chi meno, l’odorino del liquore e poi c’era una cosa che io non sapevo che cosa volesse dire, perché allora si comperava tutto dalla bottegaia. Non è che ci fosse il lievito in bustine allora, la bottegaia sapeva lei dosare, tanto che io ho sempre chiamato non lievito ma la dose, andavo a comprare da lei e dicevo “voglio la dose per mezzo chilo di ciambella, voglio la dose per fare la colomba” e lei sapeva quello che ci voleva in questo cartoccino di carta gialla e un mezzo etto di zucchero di vaniglia. In tutti i dolci c’era la vaniglia che era un odorino..ora non si trova più, questo cartoccino che mi dava la bottegaia noi lo chiamavamo in dialetto mistienza che significa mescolanza, erano profumi, erano odori, io non so cosa c’era lì ma dava un saporino a questa marmellata che profumava tutta la ciambella, tutta la colomba. La ciambella noi qua sù l’abbiamo sempre chiamato il gnocco, ed è un dolce. 
Quello che in pianura chiamano il bensone?  
Dina: sì, quello lì e tutte la massaie lo sapevano fare e si faceva perché era una cosa non tanto ricca e nemmeno tanto costosa, c’era uova, burro, farina, lievito e nient’altro. 
Questo gnocco si faceva alla domenica?  
Dina: non tutte, ogni tanto per festeggiare, e poi c’era la torta, la più fine in assoluto, ma speciale: la torta di tagliatelline fatta di mandorle, il cedro, il burro, lo zucchero, le uova, il liquore, lo zucchero di vaniglia. Si faceva una sfoglia e si tagliano, perché la fanno ancora, le tagliatelline fini fini. 
Le stesse tagliatelline che si fanno per la pasta?  
Dina: sì, con la sfoglia fatta solo di farina e uova, però erano molto fini come i capellini d’angelo, una principiante non la sa fare di sicuro. 
Le tagliatelline diventano poi come caramellate, diventano dolci?  
Dina: sì, diventano dolci perché va messo poi in superficie tutta questa cosa qua, cotta nel forno, quando esce dal forno ancora calda cominciano a versar sopra del liquore. 
Che liquore si usa?  
Dina: non ricordo bene.
Il sassolino forse?  
Dina: più che altro direi il liquore di mandorla amara, dato che ci sono le mandorle… anche il sassolino, ma di più penso mandorla amara. Questa torta si faceva se c’era un matrimonio oppure la sagra, la festa grossa. 
La sagra quando è qui?  
Dina: il 3 settembre, allora si faceva la seconda domenica di settembre, adesso hanno anticipato perché ci sono i villeggianti, dopo vanno via. 
E cosa si prepara secondo la tradizione il giorno della sagra?  
Dina: per lo più tortellini, poi l’arrosto di coniglio, di pollo, quando loro erano cacciatori – adesso non caccia più – di lepre, selvaggina, la carne quella che c’era. Come dolci facevo spesso il budino di latte, il fior di latte, quello penso che lo facciano da per tutto: si fa bollire il latte e ci si mette un pugno di grani da caffè, si fa bollire molto con la scorza di limone, si mettono poi i tuorli d’uovo e facendo bollire tutto che cali si mette in uno stampo e si cuoce al forno. 
Parlando di dolci, ai matrimoni cosa si preparava?  
Dina: ai matrimoni facevamo gli zuccherini, quelli canditi con intorno lo zucchero, si facevano in casa, io non li facevo, so che li cuocevano in forno, lì ci mettevano l’anice come liquore, usavano uova, zucchero e quando erano cotti nel forno per candirli so che li mettevano in una pentola di rame con lo zucchero e li mescolavano, ho visto che li facevano così. Quelli invece di pasta frolla erano proprio fatti con la pasta che si fa la ciambella, poi avevano gli stampini a forma di cuore, di stella, tanti altri, poi li bagnavano con l’alchermes che è rosso, con il liquore, poi ci mettevano con la marina, si diceva in dialetto, erano dei granellini bianchi, rossi e verdi che mettevamo sopra per farli belli. Si facevano poi i funghi, i cuzzolotti, in dialetto dicevamo i cuzlot, erano i porcini che facevano, con la cosa della pasticceria sopra ci mettevano la cioccolata, il cappello diventava così bello scuro e sotto bianco con il bianco d’uovo, il gambo: erano uguali al porcino, le nostre cuoche erano bravissime, il porcino uguale. Facevano gli ovuli con il cappello che era arancione e sotto giallo, le mettevano dentro in ceste con le foglie dei castagni perché sembravano funghi veri, invece erano dolci, il dialetto li chiamavamo buledar, l’ovulo aperto. 
Erano a base di zucchero?  
Dina: penso che fosse la stessa pasta della ciambella.