22/08/2006
Mietitore Trebbiatore
Montecreto
Giuseppe Fontana
Agricoltore
Agricoltura di montagna
Le medde – Le patate Razze, usi e alimentazione delle vacche
PARTE 1
Signor Fontana, lei ha avuto oltre all’attività edilizia
una attività agricola, che cosa coltivava?
Giuseppe: costruirono questa stalla nel 1953, la prima stalla in provincia di
Modena approvata dalla Forestale. Allora era la Forestale che approvava i contributi
ai coltivatori diretti, quando vennero a collaudarla il povero Dottore Corradi
disse: “Orpo, non avevo mai visto una stalla così elegante e in
ordine” fatta all’antica poi, due corsie, due file di poste e via.
Io ero in Sardegna a murare, ho iniziato a otto anni a seccare le castagne a
Magrignana perché l’abbiamo ancora il castagneto ma fu rovinato
in tempo di guerra per portare la legna in città, ci tagliarono i migliori
castagneti, delle piante da 300, 400 anni o 500, ce ne tagliarono più di
30 piante, d’accordo i commercianti di legna con la forestale di Sestola.
Magrignana dipendeva da Sestola come forestale perché a Montecreto non
c’è mai stata la forestale di quei tempi, nel ’42-’43.
Quante mucche ci stavano in questa stalla?
Giuseppe: ce ne stavano 16. Dopo nel ’67, quella parte lì intonacata
l’ho fatta io che avevo aggiunto un box da vitelli e una posta unica da
5-6 manze. Fino al ’70 potevo disporre di circa 22 capi, 16 capi grossi
e poi delle manze.
Aveva bestie da latte?
Giuseppe: eh avevamo il caseificio qui, il caseificio fu costruito nel ’52, è già qualche
anno che è chiuso perché qui in zona non c’è più una
mucca.
Che razze aveva?
Giuseppe: io ero appassionato di brune alpine, sono stato tante volte in Alta
Italia, avevo trovato degli amici, dei Bianchini a Berbenno dopo il ’56
e fino al ’72. Nel ’70 feci quest’altra stalla qua giù che
poteva tenere fino a cinquanta capi, 25 capi da mungere e altrettanti da allevamento.
Sempre brune alpine?
Giuseppe: sì.
Ma prima della bruna alpina cosa ha tenuto?
Giuseppe: avevamo la vacca montanara, quella dal mantello un po’ grigio,
con poca forma. Ce n’erano delle ottime da latte anche in quella razza
lì, ma certamente era meno redditizia perché quando si vendeva
un animale o un vitello, quei vitellini con le culatte piatte, la razza non essendo
mai stata incrociata andava sempre peggiorando. Come anche seminare sempre quel
seme in un campo…
Le usavate anche a lavorare?
Giuseppe: naturalmente si allevava anche dei buoi. Come potenza di tiro… qui
c’era tutto prato fino sulla strada, quando c’era da trebbiare il
grano si facevano i cumuli, le medde, che io e il padre di un ragazzo
qui, di Berdardi Walter, eravamo i medai più specializzati della
zona. Bernardi Giuseppe era della classe 1905, io sono del ’26: facevamo
delle medde quasi come i campanili di un paese, alti come questi abeti.
A scendere io non usavo la scala, scendevo giù a testa avanti e gli ultimi
due metri mi voltavo, non avevo il bisogno del paracadute e neanche della scala.
Quale era la tecnica per fare questi cumuli?
Giuseppe: è tutta questione di esperienza. Si faceva un cumulo anche
nei campi di queste medde dove ci si metteva da 200 covoni in su. Delle
volte anche 300-400, perché in un campo di un ettaro se ne faceva anche
5 o 6 di questi cumuli, noi li chiamavamo le medde: ho visto delle fotografie
della Corea del Nord, le medde sono fatte come da noi. Quando si portavano
i covoni nell’aia con i carri agricoli, tanti li portavano anche in spalla,
magari 10-15 covoni legati bene. Chi non aveva una strada da andare con un carro
o con delle vacche, con dei buoi, con un asinello, li portava anche in spalla.
Bisognava tenere sempre colmo dalla parte della spiga e tutta una tecnica… sarei
capace ancora di fare, ma avendo tutte le ginocchia rovinata da vene…
Questa tecnica la potrebbe insegnare a me, spiegandomela?
Giuseppe: per dire, Bernardi Giuseppe aveva l’abitudine di prendere due-tre
pezzi di legna per fare un cumulo in centro tanto che iniziava con la prima fila
di covoni. Se il terreno era pendente, faceva una mezza fila, una mezza luna
lì e poi ripartiva. Si cercava sempre di tenere pendente a monte, perché facendo
poi l’assestamento, quando era terminato - perché in un cumulo da
300 covoni più o meno c’erano 300 o 400 ql di grano - il peso della
paglia poteva anche andare a pendere e crollare a valle se non era stato tenuto
conto… Come fare un muro lungo la scarpata: se non ci si dà la
giusta pendenza… Poi gira gira gira, si ritirava sempre di qualche centimetro
ogni fila di covoni, all’ultimo giro ci potevano stare al massimo 15 covoni,
i covoni poi erano grossi così, non erano esagerati, facevano la media
di un kg di grano quando era proprio bello, anche un chilo e qualcosa; dipendeva
poi dall’abitudine di chi li faceva più grossi o più piccoli.
Lei sta parlando dei covoni fatti a mano?
Giuseppe: io poi comprai anche la mietilega. Con la mietilega venivano ancora
più piccoli. Non vale più la pena seminare, il grano qui veniva
bene perché io ho fatto anche i 23-24 per ettaro, 28.
Questo nell’ultimo periodo perché una volta se
ne faceva molto meno di sementi?
Giuseppe: certamente, nel 39 il 9 agosto venne una tempestata. Il grano era stato
terminato di tagliare fino qui alla Giardini, il marzuolo che si seminava di
marzo non era ancora ben maturo, ci volevano 10-15 giorni da potere tagliare,
a mano poi, dal 9 agosto al 1 settembre che era di venerdì mio padre mi
disse “voglio fare un esperimento, prendiamo l’aratrino vecchio
con due vacche – perché c’era molto folto, era caduto molto
seme, non era ben maturo. Ma nei 20 giorni successivi venne il bel tempo, il
seme si era stagionato, non occorreva nemmeno fare il trattamento come si faceva
a darci, una volta dicevano “incalcinare il grano”, un terreno qui
perché temeva molto. Ad esempio di là dal torrente c’è un
terreno argilloso come la zona di Acquaria, giù a Strettara. Qui invece
no, è un terreno sciolto che dopo un giorno o due che non piove più è già asciutto.
Questo piccolo aratro di legno coprì il marzuolo, un vecchietto che si
chiamava Pietro Fiorenza andava lì all’osteria a bere un quartino,
lo chiamavano la foietta, quando arriva lì gli veniva in mente “torno
a bere un’altra foietta”… Tornato indietro passa
di lì, vede mio padre che seminava - perchè li c’era il pollaio
di una vecchietta che si chiamava Silvia Fontana, erano confinanti e avevano
beccato lì, allora buttò del grano nostrano che magari era un
secolo che lo seminavano - questo Pietro disse “Pietro, Pietro seminate
nell’era d’agosto, mangerete poco pane meno grosti”, dice “voglio
provare”. Avevamo 10-12 pecore oltre le vacche; per San Martino se non
si pascolavano mica le pecore metteva la spiga, allora tentammo di farlo radere
fino a terra. L’estate del ’39 era il più bel grano della
zona, da marzolo si era trasformato come grano nostrano dalla spiga con l’aresta,
assomigliava un po’ all’ariete ma l’ariete alzava troppo, si
allettava quando venivano i temporali ed era già in spiga. Fu il miglior
grano della zona che forse non l’aveva mai fatto nessuno questa prova.
Io tutti gli anni quando faccio la piantagione delle patate che abbiamo l’attrezzatura
e le seminiamo da sempre con la piantatrice, uno seduto qua, uno là gira
questo congegno, mette il tubero nel punto, gira il solcatore, passa e copre
già: l’ho comperata nel bolognese.