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08/08/2006

Cucina


Documento senza titolo

Savoniero di Palagano
Bruno Ricchi e Graziano Albicini
Compagnia del Ciaccio e Frittellozzo
Preparazione del Ciaccio e del Frittellozzo di castagne  

PARTE 1

Lei come si chiama?
Bruno: mi chiamo Bruno Ricchi.
Detto?
Bruno: Zamba di Val Dragone, perché io farei anche il poeta dialettale.
Però oggi non ci racconta delle poesie, ma ci fa i ciacci...
Bruno: questo è il primo ma la cotta è troppo calda, lo devo eliminare.
Ci dice come vengono preparati i ciacci?
Bruno: per fare questo impasto ho preso della farina 0. Erano quattro chili, più 30 grammi di sale per chilo: 120 gr. Ho messo in quel bidone là, circa un palmo d’acqua, bisogna stare sul tranquillo, perché altrimenti dopo c’è da dover aggiungere della farina, pian pianino l’ho diluita e soprattutto ho cercato all’inizio di mescolare molto perché non rimangano dei nodi. Andrebbe impastata circa tre ore prima così le molecole di acqua e di farina si amalgamano meglio, altrimenti se noi la facciamo e poi immediatamente la usiamo, quando la versiamo sulla cotta bollente, l’acqua schizza su. Va lasciata lì circa tre ore poi è pronta. Scaldiamo un attimo le cotte che una volta erano di ferro, adesso ne facciamo molti. Ai mercatini del mercoledì per esempio facciamo 7-800 ciacci, abbiamo le signore e le ragazze in tre che condiscono. I nostri vecchi quando li facevano usavano el sulad, che deriva da suolo, la padella rotonda che era quella che usavano sia per la torta di riso e patate sia per questi qua, u sël erano in genere rotondi grandi in rame.
Cosa usa per ungere le cotte?
Bruno: dell’olio di semi vari, e per spanderlo uso mezza patata ma potrei anche usare mezza mela, mezzo limone.
Si è sempre usato l’olio o si usava qualcosa d’altro?
Bruno: no, si usava la cotenna del maiale, però se ci imbattiamo in un maiale di quelli che puzzano sembra di essere nella porcilaia… nelle case si può.
Ci interessava sapere quelli che si facevano a casa?
Bruno: io non è che fossi figlio di contadini però venivo da mia zia lì vicino e loro proprio lì facevano così, loro facevano un impasto molto più denso, lo mettevano al centro e con un pezzo di legno schiacciavano per farlo diventare largo come la cotta. Noi li facciamo un po’ più secchi, perché si digeriscono bene, o un po’ più morbidi.
Ma una volta come erano?
Bruno: secondo me più morbidi. Io ho delle reminiscenze del ’46-’47, avevo 5-6 anni. Noi li mangiavamo con il lardo o nei periodi in cui c’erano le vacche in fattura, facevano il formaggino in casa, con qualche pezzettino di formaggio.
Le chiedo una curiosità se lo sa, che differenza c’è tra i ciacci che sta facendo lei e i borlenghi?
Bruno: la differenza c’è ma può non esserci, a Modena ad Asso di gusto la compagnia della Cunza di Guiglia aveva finito l’impasto: hanno preso del nostro, hanno aggiunto acqua e poi l’hanno usato, vuol dire che la differenza è minima. Intanto nel vero borlengo ci mettono dentro l’albume d’uovo, come qui qualcuno ci mette mezzo bicchiere d’olio o un po’ di latte. Noi facciamo la cosa proprio più povera come li facevano una volta. Poi loro fanno i borlenghi nei padelloni enormi, in pratica quella lì è quasi acqua, diventa come una carta, non mettono dentro come noi sette-otto grammi di lardo, loro soltanto con la forchetta avvolta in pancetta e lardo lo sfiorano e basta, quindi uno mangia la pasta sottilissima però non mettono dentro un certo quantitativo di lardo.
Le cotte invece?
Bruno: le cotte erano sempre di ferro, forse le prime le abbiamo fatte quando facemmo il gruppo nel ’83-’84 e chiedemmo al nostro amico e sponsor Marasti che aveva la ferramenta. Lui le prese da una azienda di Casalecchio di Reno che faceva gli stampi di queste cose, e abbiamo cominciato a usare queste che sono leggerissime e si scaldano molto meglio. Le altre sono pesanti, addirittura erano battute dai fabbri e non erano belle pari, quindi al sulad di una volta o le crescentine venivano cotte su queste forme che non era belle lisce come le nostre. Queste sono un po’ porose ma quando hanno assorbito quel po’ d’olio sono funzionali al massimo, perché si scaldano in fretta. In una sera con dieci-dodici fuochi, ogni 4 minuti sforniamo 10-12 ciacci. Albicini, che è uno dei nostri manager, tiene dietro anche a tre-quattro cotte, con quattro fuochi: basta alternarsi bene. Alla fine facciamo una variante solo per gli amici, alla fine la nutella fa un po’ schifo ma se sulla nutella ci mette un paio di cucchiaini di grappa buona…