01/08/2006
Agricoltura
Vignola
Luigi Ori
Coltivatore
La ciliegia di Vignola: varietà tecniche colturali e sperimentazioni
PARTE 2
Ci vuole dire quali varietà di ciliegie c’erano qui?
Luigi: la prima varietà era chiamata ciliegia primaticcia ma valeva poco.
Era piccoletta, rossiccia, non bella scura e luccicante come la Mora, e maturava
alla fine di maggio, dipendeva comunque dall’andamento della stagione.
La varietà più vecchia, che sta scomparendo, è la Mora di
Vignola che è quella che ha iniziato la storia delle ciliegie di Vignola.
Ci parli delle caratteristiche della Mora.
Luigi: ha il gambo lungo e questo facilita la raccolta, è molto dolce,
si presta a fare le torte e i dolci. Non può essere commercializzata per
un tempo molto lungo perché è tenera e non resiste molto. Questo
fatto non facilitava le esportazioni che per l’80 % avvenivano in Inghilterra
e in Olanda.
Ci parli ora delle altre varietà antiche.
Luigi: dopo la Mora venne il durone cosiddetto Nero Primo che è più bello,
più pregiato, grosso, piatto, scuro, luccicante. La lucidità è data
dal terreno. Venivano piantumati e innestati in scala in modo da avere le raccolte
a distanza di 10, 15 giorni, bisognava avere le mazze adatte per fare la scala.
Le varietà del durone erano il Nero Primo, il Nero Secondo, il Nero Terzo
e il piccolo duroncino, che chiamavano duron curnalen, che era piccolo,
duro e resistente e maturava anche verso la fine di giugno. Si presentava col
gambo corto e piuttosto duro. Tra tutti i duroni il più saporito era il
Nero Secondo. Aveva un sapore dolce-amarognolo e resisteva di più. Un’altra
varietà era il Marchigiano che aveva una sua originalità. Era bianco
e rosso, grosso, dal peduncolo lungo, ed ancora oggi questa è la varietà che
usa Toschi per mettere le ciliegie sotto spirito. Poi c’erano le Visciole,
varietà più piccola, che mia moglie metteva dentro ai vasi con
il sassolino; c’erano le Amarene grosse dette Amarenone, l’Amarena
comune e poi un’altra qualità selvatica che veniva dagli alberi
selvatici, ed erano piccoline e a volte non si mangiavano neanche.
Torniamo all’argomento degli innesti. Ci spieghi meglio come
avvenivano.
Luigi: all’origine c’è il portainnesto. Ci sono tante varietà di
portinnesti. Noi le chiamavamo salvadeg, prendevamo un innesto che nasceva
da solo, anche nei boschi. Il portinnesto era la mazza cioè era la qualità che
si voleva avere, altrimenti produceva roba immangiabile. Dopo alcuni anni l’albero
cominciava a dare frutti. L’innesto era l’innovazione che consentiva
di avere frutti migliori. Allora si lavorava e si dormiva, non c’era tempo
per divertirsi. Quando si arrivava alla fine della raccoglitura si era distrutti.
Si lavorava dall’alba al tramonto. Fino a quando c’era luce si raccoglieva.
Alla fine della raccoglitura si faceva un grande pranzo con tutti i raccoglitori
che erano venuti a dare una mano. La rezdora faceva le cose migliori,
le torte, i tortellini, il gnocco fritto col salame. Si stava attorno ad un grande
tavolo ricavato dal legno dei ciliegi.
Ci spieghi meglio questa cosa. Col legno dei ciliegi cosa si faceva?
Luigi: allora, quando l’albero moriva, anziché utilizzarlo come
legna da ardere, i contadini andavano dai fratelli Toschi che avevano una sega
apposita, tagliavano questi rami a fette, a grandi tavole, e le mettevano una
sopra l’altra a stagionare per due o tre anni fino a quando la legna diventava
bella dura e non faceva più crepe. Quando si sposava il figlio o la figlia
facevano del mobilio per la stanza, l’armadio, il comò. Si facevano
anche delle grandi tavole con le prolunghe in modo che ci stessero 14 o 15 persone.
Quanto durava la raccolta?
Luigi: un mese, grosso modo. Dipendeva anche dalla produzione. Non sempre andava
bene, c’erano anche degli anni che beccavi la gelata e allora la partita
diventava dura.
I raccoglitori erano tutti del posto?
Luigi: i primi anni erano quasi tutti del posto e a mano a mano che c’è stato
lo sviluppo e la società da agricola è diventata industriale, di
raccoglitori se ne trovavano sempre meno e allora si andava in montagna a cercare
la manodopera. Venivano giù, stavano qua a mangiare e a dormire. C’era
la stanza per i raccoglitori e alla fine del mese tornavano sù.
Quanto venivano pagati i raccoglitori?
Luigi: non mi ricordo esattamente. C’è chi andava a giornata e chi
no. Ma non ricordo.
Per raccogliere si usavano delle scale molto alte?
Luigi: sì, e c’erano anche degli inconvenienti. Specialmente dopo
la pioggia qualcuno scivolava e tutti gli anni ci scappava un morto oppure qualcuno
si rompeva le gambe. Una scala era alta anche 12 metri e questo significava arrampicarsi
per un altro metro e mezzo. Là sopra ero come un uccello, stavo da re.
Le scale le facevate voi?
Luigi: a casa ne ho ancora una. Per i contadini dell’impresa Mancini e
forse anche per quelli delle basse, e per basse si intendono quelli della parte
inferiore al di sotto del ponte Muratori, c’era il Toschi che aveva un’impresa
che lavorava il legname, e a primavera veniva a chiedere chi voleva dei pialen, i
montanti delle scale. Toschi andava in Trentino e nella Foresta Nera con un camion
lungo come un Tir e portava giù un camion di tronchi tagliati in due e
li lavorava. Quando si sapeva il giorno esatto si facevano le corse per essere
i primi a scegliere i montanti più belli. Li portavo a casa e poi andavamo
nei boschi a prendere il legno di acacia che è un legno duro che tiene,
e si ricavavano i pioli. Si piolavano bene bene perché questi montanti
venivano giù con la corteccia, venivano ben puliti, si facevano i buchi
nei montanti, si prendevano le misure esatte, si mettevano assieme, e quando
la scala era finita si dava la vernice. La vernice serviva a salvare il legno
altrimenti si deteriorava.