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22/08/2006

Sacerdozio


Documento senza titolo

Pievepelago
Don Antonio Galli
Sacerdote  
Il ruolo del sacerdote in montagna  

PARTE 3

Qui a Pieve so che avete delle belle feste religiose?
Don Antonio: per i matrimoni c’erano delle consuetudini anche comiche, c’erano delle usanze stranissime che adesso sono completamente abbandonate.
 Ad esempio?
Don Antonio:se un vedovo si sposava gli facevano la tamplada, la tampellata. Mettevano insieme una quantità di strumenti i più fantasiosi che si possa immaginare: trombe, tamburi, fischietti, campanacci e poi andavano sotto la finestra la notte, quando erano a letto, e cominciavano una sinfonia che non ti dico. Allora tanti per potersi liberare da questo fastidio buttavano dei soldi, allora cessava la tampellata e andavano a fare una festa da ballo da qualche parte.
 Il banchetto dei matrimoni dove si faceva? C’era l’usanza di festeggiarli anche in canonica?
Don Antonio: no, in canonica no, in Chiesa venivano a fare il rito religioso, tutti si sposavano in Chiesa, allora il rito civile non c’era. Qualche trattoria c’era e tanti andavano lì, io per esempio quando si è sposata mia nipote ho fatto il pranzo in un ex oratorio che serviva per l’adunanza dei ragazzi, una specie di sala ricreativa.
 Molti una volta festeggiavano il matrimonio in casa?
Don Antonio:sì, come le nascite che avvenivano tutte in casa, c’era la levatrice.
 Lei veniva sempre invitato a questi pranzi?
Don Antonio: sempre.
 Poi si facevano le poesie, le barzellette, il parroco partecipava intimamente, era una specie di famiglia.
 C’era l’usanza per il parroco di andare la domenica a mangiare a casa delle famiglie?
Don Antonio: no, ogni parroco allora aveva la sua perpetua. Adesso i parroci sono quasi tutti soli e si fanno da mangiare da soli, anche quello di Sant’Andrea. Allora c’era la perpetua, la donna di servizio: ci pensava lei a far da mangiare ecc. Io poi ho avuto sempre dei parenti con me, beh a dire il vero per un periodo di dieci anni che sono stato da solo veniva una donna mezzogiorno e sera a farmi da mangiare. Adesso i preti sono soli, si arrangiano da soli, non è una bella condizione anche dal punto di vista umano.
 Nel tempo quindi secondo lei è cambiato il rapporto tra il sacerdote e i parrocchiani?
Don Antonio: qui da noi veramente c’è ancora, il sentimento religioso è ancora molto sentito, questo attaccamento alle tradizioni anche religiose… ci tengono molto; prima molto, poi c’è stato un collasso, adesso si sta riprendendo un po’. Anche la messa è abbastanza frequentata e poi il parroco è rispettato.
 È sempre un punto di riferimento?
Don Antonio:è sempre un punto di riferimento, specialmente nel campo sociale, coi malati, per cercare di raccogliere quando c’è bisogno delle offerte per aiutare qualche persona che vive in disagio. Resta quindi sempre un punto di riferimento da un punto di vista sociale oltre che ecclesiastico.
 E questi preti stranieri che vengono qui come si trovano?
Don Antonio: si adattano, la popolazione li accoglie anche con simpatia oserei dire, benché le omelie siano fatte in qualche maniera perché oh… un nigeriano che deve parlare in italiano non è mica una cosa tanto facile...  anche un polacco... ma insomma ci riescono, e poi i polacchi chissà, imparano meravigliosamente la lingua italiana, gli slavi hanno questa facilità di imparare le lingue straniere, poliglotti veramente sono.
 Ci diceva che lei si era dato da fare anche per il turismo, cosa intendeva?
Don Antonio: qui il turismo è una fonte principale, adesso poi si è aggiunta la stagione invernale con gli sci, anzi il turismo adesso è più invernale che estivo vorrei dire. Ultimamente c’è stato un cambiamento, il turismo non è più come una volta che si andava in un albergo e si stava un mese o due, adesso c’è il turismo week-end, settimanale, cioè vengono il giovedì, venerdì, sabato e domenica e poi vanno da un’altra parte; non c’è più quella abitudine di stare per lungo tempo nello stesso albergo.
 Stessa cosa anche d’inverno: vengono il weekend, c’è stato una quantità di gente tra Sestola e l’Abetone, una cosa incredibile quanta gente viene. Quest’anno poi che c’è stata la neve da novembre ad aprile, è stato un anno d’oro per questi albergatori, questi operatori turistici.
 Qui negli anni cosa si è fatto per favorire il turismo?
Don Antonio:nel campo mio personale praticamente vendendo un pezzo di terra dove ci hanno fatto quattro case popolari quando c’era il piano Fanfani che ha fatto costruire tante case dopo subito la guerra. E poi in questo senso ho favorito la costruzione di un albergo Pineta vendendo il terreno all’Onorevole Gorrieri. Fui un po’criticato ma poi, visto che è stato un andazzo generale, hanno venduto tutto quasi quel terreno lì, che una volta lo volevano tenere, anche perché vendere la terra della Chiesa, vendere la terra dei vecchi che hanno lasciato la terra… ma bisogna ammodernarsi; adesso vedo che sono contenti tutti. L’albergo Pineta è stato fatto e poi anche la Fit, la federazione italiana per il tennis per i campi sportivi che hanno fatto: da tutte le parti d’Italia vengono questi giovani per l’estate, c’è l’albergo e vengono a imparare il tennis, anche i grandi tennisti hanno fatto la loro iniziazione qui a Pieve, Panatta ecc. Fu un bravo sindaco, mio cugino, che ebbe questa iniziativa: per molto tempo venne anche l’Accademia Militare di Modena che è stata a fare le manovre qua sù, anche quello era un riempitivo per il turismo. Per i campi di tennis feci apparire - mi disse appunto il sindaco - che servivano per la parrocchia e avrebbero dato il finanziamento con molta facilità. Io dissi che servivano appunto per la parrocchia, servivano poi per la parrocchia e per la gente; è stata un’opera di carattere pubblico dove sono stati fatti quattordici o quindici campi da tennis. Così diedi un aiuto di questo genere… favorire, favorire lo sviluppo. Se leggete questo articolo da Adolfo Bellasini è molto interessante anche perché entra nel campo psicologico, parlavano anche dell’immigrazione.
 Metà dei miei parrocchiani sono in America, ho scritto anche una relazione sul flusso migratorio della valle del Pelago nel tempo, specialmente quando c’è stato il grande esodo verso l’America… una relazione abbastanza dettagliata, sono migliaia quelli che sono a Chicago. Poi vengono, ritornano, alcuni vengono a passare la vecchiaia qui, sono attaccati ancora alla loro patria, anche i figli e i nipoti vengono per dire “mio papà è nato qui”. C’è un certo legame che conservano. Qui in particolare per gli abitanti di Pievepelago l’attaccamento è per un santuario che abbiamo qui vicino: si chiama Ponticello, è in una posizione incantevole, sulla strada che va al Lago Santo. Io l’ho raddoppiato perché era piccolo e poi mio cugino che era sindaco, Galli, ma anche scultore, ha fatto un bassorilievo in marmo che orna la facciata. Rappresenta la madonna della pace. Subito dopo la guerra ho fatto fare questo lavoro. Questi americani, specialmente quelli che sono della zona lassù, hanno un affetto particolare verso questo santuario; cinque anni fa ci furono due balordi che diedero fuoco al santuario e bruciarono fortunatamente solo la canonica, l’oratorio rimase intatto. Ebbene per ricostruirlo quante offerte sono venute da questi americani e poi il giorno stesso dell’inaugurazione c’erano varie famiglie americane che erano venute apposta per poter vivere una giornata nel paese con i loro compaesani in questo santuario che raccoglie una devozione particolare nei fedeli di Pieve ma anche fuori nelle altre parrocchie. È una piccola Lourdes, ecco.