24/07/2006
Pontiroli Giovanna
Bomporto
Giovanna Pontiroli
Il lavoro in cantina
Lambrusco fermentato naturalmente
Giovanna, lei quando ha incominciato a lavorare nella Cantina
Bellei?
Giovanna: mi sono sposata nel ’48, avevo 23 anni e sono ancora qua. Ho
cominciato allora, sono rimasta vedova, poi mi hanno richiamato allora vengo
ad aiutarli; con la morte di mio marito io mi sono ritirata, è rimasta
la roba a loro, ero già da sola perché i miei figli erano sposati.
Si ricorda della vita di una volta in cantina?
Giovanna: sì, altrochè, tutte le fatiche, tante… la vita
in cantina era questa, si veniva al mattino prestino…
Presto a che ora?
Giovanna: sette e mezza, otto. Poi non c’erano gli orari, allora c’eravamo
io e mio marito, magari avevamo un operaio, mio cognato era fuori a vendere e
noi facevamo tutto il resto.
Che cosa facevate?
Giovanna: quando loro andavano fuori a vendere bisognava attaccare le etichette.
Le etichette andavano attaccate a mano, io avevo un tegamino con un po’ di
colla, con le dita mettevo la colla, mio suocero le tirava via, me le metteva
nelle cassette, c’erano già le bottiglie messe come adesso, non
tanto alte che ci arrivavo, poi via che andavo e mettevo le etichette, le mettevamo
dentro le cassette e quando c’era da partire da portarle fuori le bottiglie
erano già pronte.
Questo in che anni?
Giovanna: parliamo del ‘49-‘50, non di più.
Le etichette chi le faceva?
Giovanna: le etichette andavano fatte in tipografia a Bomporto ma penso che andassero
a Modena, venivano fatte a Modena perché non c’era la tipografia
a Bomporto allora; c’era un tipo di vino che ci andavano le etichette rosse,
quello speciale ne andava un’altra.
Che vino era quello speciale?
Giovanna: quello speciale era il lambrusco, quello lì era molto speciale.
E l’altro invece?
Giovanna: per dividere quello che costava un po’ meno e quello che costava
un po’ di più, uno andava l’etichetta rossa e lo speciale
andava l’etichetta bianca, andavano tutte etichettate una sopra l’altra.
Si faceva più vino speciale o l’altra qualità?
Giovanna: più speciale, tanto speciale.
Poi cosa facevate in cantina?
Giovanna: facevamo quel lavoro lì, poi arrivavano a casa i camion con
le bottiglie vuote perché allora le recuperavano le bottiglie, le mettevamo
fuori tutte accatastate, poi quando era il periodo di imbottigliare a gennaio
le portavamo tutte dentro. Avevamo un gran mastello, ci stavano dentro duecento
bottiglie, con i coltelli si andava a tirare via tutte le etichette, facevamo
fuoco con la legna dentro il mastellone grande e si faceva quel lavoro
lì. Dopo si incominciava a riempire, c’erano i tini di rovere grossi
grossi, lì si metteva la spina, poi avevamo la vaschetta per mettere dentro
le bottiglie, nove o dieci becchi li chiamavamo, poi c’era una che li tirava
via, uno che tappava e io e un altro che mettevamo il laccio con lo spago; allora
a mettere lo spago io usavo una lametta, me la tenevo in bocca e tactac, si doveva
essere svelti a fare quel lavoro lì.
Quanti eravate in cantina?
Giovanna: il periodo dell’imbottigliamento in sei, sette persone.
Si chiamavano quindi delle persone in più a darvi una mano?
Giovanna: sì, anzi gli piaceva venire quando era il periodo, perché erano
a casa in campagna d’inverno e venivano volentieri.
Quanto durava l’imbottigliamento?
Giovanna: dunque, cominciavamo in gennaio perché ci voleva del tempo a
pulirle a lavarle, cominciavamo dopo l’Epifania e andavamo verso il 20-25
aprile circa… questo era il nostro lavoro.
Per quanti anni l’ha fatto?
Giovanna: l’ho fatto tanti anni, da allora a adesso.
Adesso cosa è cambiato rispetto allora?
Giovanna: oh cara, è cambiato tutto, è tutto superato, tutto fatto
meglio, tutto meno faticoso... era molto faticoso sa… perché arrivavano
col camion dell’uva, allora io per mandarla giù dentro la garolla dovevo
tutta sbranarla così con le mani, mi arrivavano delle forchettate di
uva addosso che non le dico… coi pali, coi forconi… questo era
il nostro lavoro, si lavorava, si stava bene perché si mangiava bene,
perché in questa casa non è mai mancata la bistecca. Questo era
importante, mia suocero era molto bravo… era un gangster.
Lì come ha imparato il lavoro di cantina?
Giovanna: eh, qua dentro appena si arriva, si parte eccome, senza fermarsi e
quando c’era da caricare queste casse, erano 33 bottiglie, andavano caricate
sul camion, mio suocero e mio marito me le allungavano la cassetta, io ero sul
camion, me la mettevano lì, io la prendevo con le mani, andavo sotto col
ginocchio poi le mettevo: una, due e tre…
Quante ore si lavorava?
Giovanna: beh, non ci facevamo caso, magari poteva esserci il giorno che facevo
due o tre ore e quel giorno che si lavorava di più, essendo un lavoro
familiare lo facevamo noi.
Quando arrivava l’uva?
Giovanna: quando arrivava l’uva era una gioia, però c’era
tanto lavoro, poi l’uva pigiata andava dentro quei tini enormi. Poi quando
avevano fermentato si tirava via il vino, si teneva la vinaccia che andava messa
dentro i torchi, io ero dentro al torchio che la pestavo perché ce ne
stesse di più, quando venivo fuori ero nera fin qui… però era
bello lo stesso perché c’eravamo tutti, non mi sono mai lamentata
del lavoro che facevo. Poi quando era pronto arrivava lui: “c’è da
portar via mille bottiglie” allora eravamo anche orgogliosi di dire: abbiamo
fatto un prodotto che lui vendeva, lo ripeto sempre che lui era speciale per
vendere.
Il signor Bruno ?
Giovanna: sì, questo non gli si può negare come era bravo a comprare
l’uva, andava nei vigneti con mio suocero, tutti e due… perché mettere
sotto il torchio c’erano dei binari, perché il torchio era enorme.
Quando sbagliavamo il binario erano dolori tirarlo fuori così pieno, e
tornare a mettere dentro… delle fatiche, delle fatiche enormi però,
mi ripeto, ci andavamo. Poi sono rimasta vedova nell’81, abitavo con loro
nella casa lì, siamo stati tutti dentro nella casina vecchia.
Quando ha smesso lei di andare dentro nel torchio?
Giovanna: ho smesso quando hanno cominciato a fare questo tipo di pigiatura che
non c’è bisogno di andar dentro, perché vien fuori già pronto.
In che anni c’è stato questo passaggio?
Giovanna: ho smesso nell’80 circa, andavo là dentro con gli stivaloni
poi non c’era bisogno di darsi lo smalto sulle unghie eh… si usciva
che si era neri però… tutto a posto.
Si ricorda le qualità di uva di una volta?
Giovanna: sì. C’era il lambrusco, c’era il salamino, c’era
un po’ d’uva d’oro, non tanta, poi quando pigiavamo l’uva
dovevamo tenerla separata. Dentro un tino c’era il salamino, dentro un
tino c’era il lambrusco che veniva poi usata a fare il taglio del vino,
però dentro i tini andavano separati.
Qual’era quella che secondo lei rendeva di più?
Giovanna: ma rendeva tutta, l’uva d’oro faceva molto liquido, allora
era meglio sempre il salamino e il lambrusco, erano meglio ecco, di uva d’oro
non è che ne comprassero poi tanta però un tantino ci andava.
Le procedure di lavorazione delle diverse qualità di uva erano
le stesse?
Giovanna: sempre la stessa, andavano coi tubi dentro ai tini così grossi,
si alzava sù e usciva il vino, quando andava in fermentazione la graspa
si faceva così.